lunedì 6 dicembre 2010

Note dallo spettacolo "Nuda Vita" (di Caterina e Carlotta Sagna)



"Chi escludiamo, che cosa escludiamo da noi stessi , quale parte di noi, da che cosa ci escludiamo ? "
C’è nulla di più esclusivo dell’essere totalmente esclusi? Esclusione, quella che si vive, si nutre, si sperimenta o si auto-genera, si subisce o si provoca, si accetta o si rifiuta..





Corpi-marionette, manichini, clown o fantocci di sé, personaggi dell’assurdo, del non-senso beckettiano, dalla percezione tragica e insieme derisoria dell’esistenza sono, come in “Godot”, eternamente sospesi in attesa di non si sa che cosa, nell’annuncio che, sì, arriverà domani ma non oggi, domani forse, nell’attesa occupandosi, cercando delle distrazioni, parole, soprattutto parole, perduta la nozione esatta del tempo e dello spazio. Poi, a tratti, freneticamente scossi da questi va e vieni di proiezioni impulsive, compulsive, espulse all’esterno come emergenze, incursioni della memoria o d’una presunta ricreazione della medesima, fantomatica, fittizia o arbitraria.

L’esclusione è, in un certo senso in Nuda vita, (tale l'espressione giuridica che designava gli schiavi in epoca romana ) la de-possessione dei personaggi, la cecità, il non-accesso a una parte della loro coscienza, alterità radicale del sé, energia o violenza della parte "maledetta” che siamo meno atti a riconoscere in quanto umani: tentacolare e ossessiva,
irriducibile, indicibile o segreta, distruttiva o auto-distruttiva, agente come pulsione di disgregazione, di dissolvimento o di inerzia, quella che opera nel dis-facimento dei sistemi,
nel superamento della logica di causa-effetto, nell’eccesso, nel paradosso, nell’irruzione dell’inumano su una soggettività del tutto umana .
“ Tutto è talmente fluido che ci si domanda che cosa puzzi tanto dietro questa socialità o amabilità di superficie, e se quelli che parlano e danzano percepiscano questo odore di marciume, o se esso sia talmente intrinseco in loro, nella loro natura che possono danzarci sopra senza riconoscerlo, senza rendersene conto. Come queste immondizie, scorie o lasciti che ci trasciniamo addosso, la parte immonda, malsana del sé della quale bisogna pure sbarazzarsi, liberarsi in qualche modo, da qualche parte, espellere come i propri rifiuti ogni giorno.

L’esclusione è quella da una parte di pensiero, selvaggio, delirante o estraneo, che portiamo in noi, schiavi di un’educazione, un’etica, una morale religiosa, d’ un contesto sociale che plasma le nostre vite allineandole su una stessa linea di pensiero: griglie mentali, strutture comportamentali oscillanti tra una presunta innocenza e una sottile, sottocutanea, perversa crudeltà. Un personaggio afferma di doversi muovere, freneticamente, senza ragione, senza sosta muoversi, poi cerca l’uscita da quel luogo asettico, senza tempo , the exit, la via d’uscita, preso da questi movimenti frenetici, continui, non-riflessi di scosse, ansiti, gesti frammentari, imprigionato sembra, un braccio a terra immobilizzato dal peso dell’’altro, trascinandosi al suolo con la forza del solo bacino, una gamba spingendo l’altra anestetizzata, i piedi inerti, privi di vita.

Circolo chiuso di inclusione-escusione, loro esclusi dal resto del mondo in uno spazio intimo di amici, complici o membri d’una stessa famiglia; vicinanza dei corpi che si chiudono a quattro, si ritrovano al centro della scena intorno a un riquadro luminoso, elettrico su fondo neutro. Sono in contatto, si avvicinano, si toccano, compiono gesti bizzarri, rituali o ritornelli ripetitivi, ossessivi, seriali, preda di piccole manie o nevrosi quotidiane. Compiono spostamenti nello spazio , si isolano, poi ritornano a chiudersi in circolo, in dialogo, in eco prolungato senza risposta. Si cercano e poi si allontanano, qualcuno scivola sul corpo d’un altro poi si lascia cadere a terra, spinto, sospinto da un calcio, fatto rotolare al suolo sullo sfondo d’una risata.
Conversazioni fatte di parole vuote o marginali girano in maniera delirante dal singolo al gruppo, si fanno eco in battute e contro-battute, in dialoghi e poi continuano in monologhi solitari, senza risposta.

Chiusi in uno spazio neutro, non-luogo, non-tempo, non determinato, esclusi dal mondo esterno, ora escludendosi l’un l’altro, esclusi da una parte di loro stessi, qualcosa di crudele, mostruoso perché restando fluttuante, inaccessibile, non determinato alla loro coscienza.
Espropriazione, sottrazione di identità, di proprietà, di diritto sul proprio corpo o vita, nuda vita, emerge in frammenti, residui del singolo, ritorna riflessa nella parodia del dialogo.

La danza irrompe a tratti come “la cosa più normale nella situazione più anormale del mondo o forse il contrario”; in una situazione banale, d’una banalità normalmente orribile, un piccolo imprevisto tra gli altri, “il modo più naturale di dire delle cose o forse di non dirle". Il passaggio all’atto, espellere qualcosa nei tratti del proprio viso, del proprio corpo senza dovergli dare forzatamente un senso. E’ l’imprevisto che irrompe inatteso, non voluto, non cercato, quasi un momento di intervallo rispetto alle parole, troppe, sorde, risuonanti come pezzi di metallo vuote all’interno , per rompere la soglia del non-senso opprimente.
La ricerca d’un momento-movimento autentico, più toccante, più giusto, un gesto che apra verso l’alterità, proiettivo, estemporaneo, dunque rompendo il meccanismo d’esclusione auto-referenziale dominante.
E’ come il passaggio a un altro livello, un altro registro scenico, come essere là e darsi, dirsi restando implicitamente opachi, riflettenti in sé stessi. E’ lo spasimo d’un corpo femminile, quello di maggiore presenza scenica tra i quattro, dal movimento scarno, ripetitivo, frammentario passando dall’agonia , all’ansia di rottura, allo sforzo di liberazione, di riappropriazione . In lotta affermando il bisogno di muoversi, inesausto, ossessivo, fine a sé stesso, maschera dal viso deformato, manichino nella secchezza del corpo, infine in agonia, alla ricerca d’una via d’uscita, ripetendo “where is the exit” nella contrazione toccante dei suoi gesti, tentativi ripetuti per uscire.

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