giovedì 9 novembre 2023

A proposito di “BurriRavennaOro”, al Mar di Ravenna

 









Alberto Burri, artista dal linguaggio poliedrico e assolutamente originale di cui non possiamo non ricordare le composizioni nei materiali più desueti come il catrame, i sacchi di tela juta, le plastiche e le loro combustioni approda al Mar di Ravenna con una monografia esclusiva, BurriRavennaOro, una selezione di opere ispirate alla cultura musiva della città in concomitanza con la parallela  Biennale di Mosaico Contemporaneo in corso.  Tra le cento opere in mostra la serie di tele denominate “Nero e Oro” (1993) attraverso la quale Burri rende omaggio in una sua interpretazione informale e prettamente materica alla grande tradizione degli ori bizantini mentre con il ciclo “San Vitale” realizza grandi monocromi neri in cellotex  cercando una via per trarre quella stessa luce intrinseca da sempre ai mosaici ravennati partendo da una valenza cromatica come il nero,  in sé stessa priva di luce. Altrove, infine,  pone al centro il contrasto netto tra l’oro e il nero, l’ombra e la luce. In questa stessa prospettiva si affiancano le serie di opere grafiche incentrate sull’ astrazione del segno ma ugualmente immerse in una grande potenza cromatica. Il nome dell’artista resta inoltre legato alla città attraverso l’opera in esterno al Palazzo Mauro de André del  “Grande ferro R” (1990) dove la propulsione della materia riemerge nel metallo in vernice arancio plasmato come un grande antro architettonico_ una gigantesca falange uncinata_ nella più grande libertà espressiva dell’artista.


“Oro”( 1992) una tra i primi monocromi esposti in foglia d’oro su cellotex appare come l’opera idiosincratica del rapporto tra l’artista e la città, attraverso la palese evocazione in termini informali e materici del sostrato di lucentezza emanato dai mosaici bizantini nella memoria collettiva. Tessuto di foglie d’oro splendenti irradiano dalla tela brillante come l’emanazione di un’energia che è propria della superficie buriana, lì dove si manifesta l’evento stesso dell’opera: segno, incisione o fessura nella sua sintesi ultima e estrema. Nella tela successiva “Sacco11” ( 1954) siamo posti di fronte alla combustione di materiali poveri, semplici o riutilizzati come la tela juta, poi ricomposti in collage insieme a colla, oro e lembi di sacchi bruciati. All’inizio dell’informale negli anni ’50 si sperimenta con il recupero dal basso dei più svariati materiali nel gesto di fare arte, nell’esplorazione di modalità espressive che spaziano dall’ happening, al dripping Pollockiano, alla polisemia di tracce e scrittura gestuale sulla tela . L’oro ritorna qui, ancora una volta, in margine all’opera, come l’esito finale e la metamorfosi ultima del sacco precedentemente bruciato, lacerato e ricucito in alchemica trasformazione mentre in una versione successiva esso scaturisce da un lembo di rosso colore.



Nero e Oro ( dalla serie “cretti, neri e oro”)



Aprire un varco, una strada concreta e materica, di corpo e di spazio su una superficie piana e astratta. Dare tridimensionalità, spessore e senso al fare dell’arte, così come dare nuova vibrazione al monocromo nero che poi si trasformerà in rifulgere d’oro. Si parte dalla bidimensionalità piatta del quadro per arrivare all’esubero di materia che esce dal piano e prende corpo, consistenza e vita. Una strada si apre di sassi, pietra e detriti in mezzo alla distesa piana e astratta del fondo nero in “Cretto” del 1973. Simile a crepa o fenditura, il “cretto” scavato dal sisma della cittadina siciliana di Gibellina cui Burri restituisce una memoria nell’omonima installazione in loco, ritorna in quest’opera informale come il varco che si apre sul rilievo in acrilico nero. Scrive Recalcati a tal proposito sull’opera di Burri: “L’arte non può accontentarsi di celebrare il visibile e il suo ordine, deve discendere nell’abisso dell’informe dove incontriamo insieme alle macerie del mondo le nostre.” Tale, precisamente, il tema dell’approccio informale in Burri secondo Recalcati, un discendere “ al cuore dell’urto, nell’abisso della materia e in quel mentre elevare il sisma, il vuoto della perdita a grande cicatrice plasmata dall’energia e dalla superficie dell’opera astratta. Dunque in “Nero e Oro  ( 1993) l’oro in foglia su tela rifulge in questa espansione luminosa, vibratoria e magnificente che si alterna e si intercala al monocromo ritagliato in nero dal quale sgorga per contrasto e complementarietà: rilucente come una sottile lamina dorata. Nella composizione successiva non è più il piano ma il rilievo, la concrezione materica del nero che emerge dalla superficie ancora in contrasto con il sottilissimo, lieve foglio d’oro. In un’ultima versione del 1994, “Cretto Nero e Oro”, la roccia bianca, arida e secca, screpolata da spaccature e distesa in acrilico a crepe sulla tela rinvia inevitabilmente alla grande installazione realizzata dall’artista a Gibellina nel luogo dove sorgeva l’antica città distrutta dal terremoto nel 1968. Là, una serie di blocchi di cemento e calce bianca composti con le macerie dei vecchi edifici rendono omaggio, ancora oggi, alla memoria storica della città scomparsa e disegnano grandi solchi simili a fenditure, “cretti” appunto,  che si intercalano tra un blocco e l’altro di cemento. Quella stessa cicatrice del territorio ricompare sulla tela di Burri, astratta e materica insieme, dove si contrappone alla controparte nera e si instaura, infine come cerniera d’oro, margine rilucente tra il bianco e il nero. Qui,  l’oro emerge come vibrazione luminosa e intrinseca alla materia che può emanare secondo Burri da ogni entità cromatica in sé, bianca o nera, chiara o scura che sia, immersa o sprovvista di luce propria.






Opere Grafiche

Nell’ultima parte della mostra appare una selezione di opere grafiche dove si intrecciano rigore estremo della forma e purezza espressiva nella cromia, opere che hanno valso a Burri il premio nazionale dei Lincei nel 1973. Nella serie degli “Otto cretti”, si ritorna al tema del grande “Gretto di Gibellina” con le sue fenditure e superfici in rilievo qui non incise sul territorio ma sui fogli di carta bianca utilizzando il retro della tecnica tradizionale dell’ acquaforte per creare il rilievo. Ancora nella serie serigrafica la rugosità, la screpolatura e l’infrazione della superficie piana rinviano alla crepa, cioè al cretto del grande sisma nell’opera ambientale di Burri. E’ il trarre il bianco dal nero, il nero dal bianco da un quadro all’altro della serie in una metamorfosi tonale dove gli opposti si ritrovano: dai  varchi sulla pietra ai  rilievi sul piano nel contrasto estremo dei monocromi.

 

 Serigrafia : trittico (1994)



La carta sottile accoglie al meglio l’alternarsi del nero, dell’oro e del bianco stampati mentre le foglie d’oro sono applicate finemente a mano sulla superficie piana in nette figure geometrizzanti che la luce delimita nei contorni. Siamo di fronte alla trasmutazione, alla metamorfosi: dal nero all’oro, dall’oro al nero, dal nero al bianco. Gradi di vibrazioni luminose si alternano scaturite da colori che per loro natura portano in sé la luce o la sua totale assenza. Le forme derivano da quella vibrazione  che definisce gli spazi, simile all’aurea spirituale che avvolge i mosaici nelle basiliche bizantine cui Burri rende omaggio tacitamente, sancendo come nella mostra, una sincronicità implicita tra la città e l’artista.