martedì 2 maggio 2017

Patti Smith, "Higher Learning" ( esposizione fotografica a Parma)









Patti Smith a proposito di “Higher Learning” la mostra fotografica a lei consacrata in occasione della Laurea Ad Honorem ricevuta il 3 maggio a Parma afferma:


“In termini di formazione è l'omaggio a un altra forma di sapere, l'università della vita, dei libri, dei poeti e dei viaggi”.

“Queste immagini”, spiega la Smith introducendo la raccolta inedita di centoventi polaroid in bianco e nero, poi di citazioni e opere letterarie che hanno ispirato il suo lavoro nel corso degli anni “sono rappresentazioni visive del pellegrinaggio e della gratitudine, un infinito amore e rispetto per quelli che rappresentano le voci della nostra cultura attraverso le loro più grandi opere e l'umiltà dei loro più piccoli gesti o strumenti”.


Le immagine, scattate con una vecchia macchina fotografia Land 250 Polaroid e stampate in copia argentea ad edizione limitata di dieci copie raccontano i viaggi, le peregrinazioni, gli spostamenti, tracciano la storia delle influenze letterarie, la serie di voci poetiche e artistiche che hanno accompagnato o seguito il cammino della compositrice punk rocker e poetessa Patti Smith nel corso degli anni. Scandagliano, in particolare, i dettagli, gli oggetti, una serie di indici e indizi visivi che ci pongono sulle tracce di una storia culturale condivisa e insieme personale della Smith come in una inedita creazione letteraria nata da tali peregrinazioni attraverso il globo.


Vi compaiono manoscritti, macchine da scrivere, interni di atelier o abitazioni dove scrittori e artisti-amici hanno impresso le stigmate della loro vita e opere, poi corsetti, stampelle, medicinali, dettagli di luoghi che si riallacciano simbolicamente a singole biografie - uno per tutti la sedia rilegata in pelle lucida dall’eleganza assoluta e ineguagliabile di Roberto Bolano, infine i sepolcri dove scrittori e poeti hanno lasciato la loro memoria per l’eternità.

E ancora sono polaroid in autoritratto, una vestaglia discinta distesa su un letto, l’abito nero appeso di Beuys, la bandana di William Borrough, istantanee riprese nel corso dei diversi viaggi in Europa, una croce vicino al mare, le insegne dei caffè che hanno segnato il percorso dell’artista da Detroit a Berlino, da Venezia a Marsiglia; infine l’eterno Café Ino, nello scorcio tra il tavolino d'angolo e la finestra. Là è l’antro silenzioso dove la scrittrice si rifugiava a leggere, riflettere o semplicemente osservare e lasciar fluire di fronte agli occhi sorseggiando caffè nero in solitudine.



Una più alta idea di formazione apre il percorso di “Higher learning” intesa come processo di apprendimento non solo di un sapere ma dell'esistenza tutta attraverso le multiple esperienze del cammino, del viaggio, dell'esplorazione e della perdita, tracciano in ogni caso un percorso, accidentato o meno, fatto di accelerazioni, ascese, sospensioni o vicoli ciechi, soste obbligate, deviazioni e ritorni sotto la guida delle invisibili grandi voci, poetiche e umane che, in filigrana hanno accompagnato come i maestri la nostra esistenza tutta: 

menti, cuori e lavoro di mani che hanno continuato e continuano a contribuire al calderone di conoscenza di un più alto sapere.”

 Come nel collage di oggetti appesi all’ingresso della prima sala, una bacheca si trasforma in un ipnotico scrittoio, un tavolo di lavoro aleatorio dove si ricongiungono disordinatamente appunti, note, disegni o schizzi solo accennati, stralci di libri o frammenti di poesie, pagine scritte o bozze appena corrette.





Perché, come afferma il testo della canzone nella prima sala, "i figli dispersi sulla terra", un bambinetto perso nel mondo, ma anche i semi deposti scavano profondamente il suolo; sedimentano dentro la terra e, ogni volta sommersi, in apparenza non visti lasciano generare, crescere e attecchire germogli dentro l’innato humus del mondo.

 “Ogni volta che diamo aggiungiamo una parola, lasciamo udire un respiro, gettiamo una nota, lasciamo germogliare un nuovo bocciolo o attecchire una piccola perla sul bracciale di tutta la conoscenza del mondo”[1]. 

Allo stesso modo la poetessa depone simbolicamente un filo di minuscole perle trasparenti e azzurrine sul sepolcro di Rimbaud a Charleville - quelle pietruzze che venivano dall’Abissinia dove non era potuto tornare morendo a Marsiglia prima del suo ultimo viaggio- e più tardi raccoglie sassi sul sepolcro di Genet ricordando che quelle piccole polaroid racchiudevano una “missione stessa che aveva dimenticato da tempo”[2].


Come Patti Smith scrive nella biografia pubblicata nel 2016 “M train ”: 


Per come la vedo io, tutto è possibile. La vita è in fondo alle cose e la fede in cima mentre l’impulso creativo dimorando al centro dà forma a tutto(…) Quando i miei figli erano piccoli costruivano bastimenti come quello: Li facevo navigare anche se non salivo a bordo. Raramente lasciavo il perimetro della casa. La sera recitavo le mie preghiere in riva al canale coperto da antichi salici piangenti. Le cose che toccavo erano vive. Le dita di mio marito, i soffioni, un ginocchio sbucciato. Non cercavo di incorniciare quei momenti, passavano senza souvenir. Ma Adesso attraverso gli oceani al solo scopo di possedere un’unica immagine, il cappello di paglia di Robert Graves, la macchina da scrivere di Hesse, gli occhiali di Beckett, il letto in cui giaceva  Keats”[3].






Le immagini si susseguono silenziose e senza commenti una sala dopo l’altra incorniciate in piccole dimensioni- rigorosamente in bianco e nero- su un fondale bianco, poi sulle pareti svuotate della galleria.



  La macchina da scrivere di Herman Hesse. Una tastiera nera, immensi bottoni bianchi, candidi e circolari procedono verso l’infinito e poi di ritorno come candele o bianche fiamme inviando a un più alto sé spirituale. Il solco diviene passaggio, cammino sul sentiero infinito della scrittura.



 


 Il manoscritto non-finito di Genet: una stele e una sindone impressa di sangue e sudore, impronte di dita di un corpo invisibile, dileguato e scomparso, crocifisso sulla pagina. Una pagina scritta come una croce, minuscoli caratteri ridisegnano in controluce l’impronta a vivo di un corpo trasudante di parole e stigmate sulla superficie combusta di una pergamena sofferta come la sua esistenza.



  Il letto di Keat: una distesa piumata, un paradiso soffice e rigoglioso rigurgitante di vita e di passione, la lotta a ridosso della malattia in nottate insonni e travagliate di attacchi e crisi respiratorie. Un copriletto chiaro, una massa lieve, morbida e ascendente come parole di poesia. Immerso nell’oscurità ma trafitto da punti di luce. Bianca ispirazione abbeverandosi direttamente alle fonti della creazione.

Un fiume corre, l’Ouse, ripreso in fotografia su una strada aperta verso un infinito della natura: grigio-bianca vallata d’acqua, un letto aperto perdendosi oltre il nostro sguardo.

Oggetti simbolici e insieme fonti di riferimento letterarie scorrono sui muri: le stampelle di Frida Khalo ovvero arte e vita annodate nel laccio serrato dell'esistenza dolorosamente esperita e della pittura come trasmutazione. Incorniciate, appaiono accanto al bastone da passeggio di Virginia Woolf, uncinato contro un muro neutrale come segno opaco, intransitivo e assoluto evocando tutto un universo poetico  e di scrittura al di sotto. E ancora, il corsetto di un corpo simbolico, indice di creazione in Frida Khalo impresso delle sue mutilazioni, mutazioni, protesi e trasmutazioni in autoritratto. Vediamo la sua stanza da letto e ancora un copriletto bianco, un ammasso di coltri spiegazzate, impresse a vivo dello scheletro smantellato e ricomposto del suo corpo. Lenzuola vi appaiono trasudanti e segnate, violate e stigmatizzate a immagine dello scheletro di una figura anatomica appesa al di sopra.

Nella polaroid accanto il letto bianco è ricomposto nella perfezione immacolata di una tela ricamata a vivo sui rovi della sua bianca immobilità. Una croce luminosa lo trafigge trasversalmente come luce che rifrange tracciando la sua diagonale all’angolo della finestra.

Le pagine fotografate, ancora, sono quelle degli Atlanti di viaggio sfogliati, maneggiati e accartocciati di Rimbaud evocando le alchimie immaginarie, i deliri o la potenza di visione, poetica e folgorante, delle sue Illuminazioni. Scrive la Smith in M Train: “Quello che ho perso e non riesco a ritrovare lo ricordo. Quello che non riesco a vedere provo a richiamarlo. Lavorando su una sequenza di impulsi, sfiorando l’illuminazione”.

Nel lavoro di Patti Smith l’impulso poetico dalla musica alla fotografia alla scrittura è proprio questa 
legge o necessità interiore, questo fluire e scorrere di un sentire e di un corpo, di un ritmo e di un linguaggio che si impone come un richiamo essenziale permettendole di mettersi in contatto con un più alto sé, divino e spirituale in essenza, per riuscire a "toccare o abbracciare il cuore delle persone" attraverso le esperienze o le immagini  più semplici e straordinarie :“qualche volta solamente guardare il cielo, un pezzo di lavoro che componi e trovi eccezionale , una persona che ami o ancora vedere i tuoi figli”.

Nella serie di polaroid “My house” è come un occhiello aperto su un fondale oscuro, un primo piano su una casa vista attraverso una lente di ingrandimento fotografico. La casa è un rifugio, una costruzione in legno fatiscente a un solo piano, isolata, vuota, ma gli antri aperti e luminosi dell’esterno portano verso l’interno come verso gli antri segreti del proprio essere .
 Aprono questa via luminosa a uno spazio vuoto dell’interno, lo svuotare e il lasciar fluire o affiorare nella solitudine, nel silenzio, nella sottrazione di presenza e di materia come se un lungo papiro di carta si dispiegasse giorno dopo giorno di fronte ai nostri occhi scrivendo. Un passaggio attraverso un deserto immutato.

La casa è uno scrittoio. L'amalgama di un sogno. Casa è i gatti, i miei libri, il mio lavoro che non faccio mai. Tutte le cose perdute che potranno un giorno chiamarmi, le facce dei miei figli che un giorno mi chiameranno. Forse non possiamo materializzare le nostre fantasie ne trovare uno sperone impolverato ma possiamo raccogliere il sogno stesso e riportarlo nella sua unica integrità”[4].






Attraverso la fotografia, afferma la Smith, possiamo raccogliere un sogno, la vertigine di qualcosa di infinitesimale, sfuggente, invisibile ad occhio nudo e mostrarlo o riportarlo visivamente alla sua integrità. Come il primo piano su antri aperti conduce verso l'interno della psiche e del pensiero, le pietre sepolcrali con i fiori deposti intorno e sopra simbolicamente restituiscono un pezzetto dell'anima, del nome di chi lì  riposa.


 Fiori deposti intorno al sepolcro di Sylvia Plath, sulla pietra selvaggia e spoglia di Jean Genet; una croce piantata sull'ammasso di terra di Dylan Thomas. Una rosa per Samuel Becket sulla sua pietra spoglia sprovvista d'ogni altro carattere se non la data di vita e morte incise sulla pietra di Montparnasse. Un angelo scrive sulla tomba di Rubin, un altro veglia su quella di Mozart a Vienna. Una pistola nera, traslucida e riflettente in primo piano appare, quella con cui Verlaine sparò a Rimbaud nell’abisso di una “stagione all'Inferno”. 
L'abito bianco di un fanciulletto, poi la colonna lapidare dell'amico scrittore Wiliam Borrough, dai caratteri maiuscoli e incisi mentre lei,  minuscola in remissione appare seduta accanto . Infine un omaggio a Pasolini: sulla pietra slavata dell'immagine un mazzo di fiori e una luce iridescente rischiarano il nome inciso a caratteri chiari, maiuscoli e magnificenti.

Dall' autobiografia M Train : “Credo nel movimento. Credo in quel pallone spensierato: il mondo. Credo nella mezzanotte e nel mezzogiorno. Ma in cos'altro credo? Certe volte a tutto, certe volte a niente. Fluttua come luce che volteggi su uno stagno. Credo nella vita che un giorno ciascuno di noi perderà. Da giovani pensiamo che non accadrà, che siamo diversi. Da bambina pensavo che non sarei mai cresciuta se lo volevo. E poi ho capito, abbastanza di recente, che avevo oltrepassato una linea, nascosta inconsapevolmente nella verità della mia cronologia. Adesso sono più vecchia del mio amore, dei miei amici scomparsi..ma continuerei ugualmente a vivere, rifiutando di consegnare la penna”.



In “Self-portrait” il volto appare a raso dell'obbiettivo quasi uscendo dall'inquadratura per vedersi osservare il mondo, scrutare, ricevere o gettare il proprio sguardo all'esterno per fare traccia, incidere l'esperienza, rendere alla poesia il proprio segno ritmico, musicale, visivo o propriamente del linguaggio poetico. Il primo piano su un viso di una piccola polaroid in bianco e nero. 
 Gli occhi socchiusi, il volto colto a scorcio nella semi-oscurità. Sfuggente si rende schivo alla visione diretta, frontale e luminosa della macchina . 
E' nella ricerca di sé, nella captazione dell'istante, 
nel fluire del movimento vitale, nella ritorsione da un io condiscendente e borghese, nella rivolta voluta o invocata attraverso l'idea democratica di tecnologia e potere riscattato dalle persone. 
Si dona a noi obliquamente, indirettamente anche se in primissimo piano come un volto e una voce dell'inquietudine creatrice, della tormentata non-quietezza dell'essere; lei, nell'interrogativo sull'esistenza ma, soprattutto, nell'invocazione costante alla bellezza e alla forza di vita.











[1] Cfr. Patti Smith, “Higher Learning”
[2] Patti Smith, M Train, p. 233
[3] Ibid., pag. 233
[4] Ibid., Smith, p. 235