domenica 12 agosto 2012

da "Uraniborg", Laurent Grasso, Jeu de Paume, Parigi







Il dispositivo, nel lavoro di Laurent Grasso, è un sistema di “captazione" e insieme di "cattura”,  una costruzione pensata per spostare la nostra prospettiva sulla realtà e proiettarci verso altre dimensioni percettive, spaziali o temporali ma, anche, una trappola tesa, studiata nei minimi dettagli  per intercettare intensità sensibili, catturare presenze, forze invisibili che verrebbero da uno spazio e tempo paralleli, immaginari, altri. Una macchina di finzione atta a portarci fuori da un insieme di certezze o evidenze di realtà, scienza, o sapere anche appoggiandosi sulle défaillance, il disfunzionamento, le falle del suo interno sistema.

Ipnotici e singolari dispositivi d’esposizione permettono all’artista di rendere visibile, mettere lo spettatore di fronte a esperienze inedite di percezione, zone di dubbio, di vacillamento delle proprie certezze razionali, 
di raggiustamento tra l’evidenza della realtà o del sapere e le forze fluide che circolano nell’intra-materia, le manifestazioni dell’invisibile, infine gli spostamenti dal famigliare al perturbante attraverso strategie che alterano i parametri della nostra interna esperienza.

Il percorso sotterraneo che siamo chiamati a percorrere in Uraniborg funziona esattamente a partire da questa logica; attraversiamo un dispositivo concepito come un corridoio-labirinto lungo, stretto, serrato e oscuro dal quale si apriranno finestre, antri buii come varchi sulle pareti per farci sprofondare in piani altri di irrealtà, in installazioni visive o sonore funzionanti sulla base d’una pura logica immaginativa. In ognuna di queste grandi "stanze" compositive scorgeremo assemblaggi incongrui d’oggetti tenuti insieme per la strana coercizione d’una logica paradossale, apparentemente barocca: opere grafiche o pittoriche di diverse epoche e stili, rifacimenti di quadri dal passato che confondono le referenze e spostano sottilmente l’originale, estratti video visti prima dall’esterno del corridoio, poi dall’interno delle stanze, scorci, frammenti dei medesimi in primissimo piano poi a distanza, infine piccole ricostruzioni di dispositivi quali radar, antenne o satelliti per captare onde ultrasonore o magnetiche. Attraverso quel percorso giungeremo, infine, all’installazione audio-video al centro di ognuna delle cinque  "stanze" passando verso l’interno,  dall’altro lato del corridoio, “ l'altro lato dello specchio”, per accedere al mondo parallelo che l’artista intende convocare attraverso le falle, gli spiragli, le fessure del reale. Noi per primi saremo messi di fronte ai nostri limiti conoscitivi, confrontati all'evidenza delle nostre certezze razionali.

I dispositivi-stanze come trappole audio-visuali funzionano nel duplice senso d’una captazione e d’una cattura: restituiscono l’evidenza di immagini in finzioni volutamente date in una visibilità apparente, ma, come trappole, catturano, convocano, anche, queste tracce o interferenze d’invisibilità. Producono scivolamenti sulla realtà, confondono le referenze temporali, costruiscono finzioni che mettono alla prova i nostri limiti di realtà, di razionalità. Lo spettatore è lui stesso catturato in questo gioco che confonde, in questo percorso-labirinto aperto dove dall’apparente linearità del corridoio si aprono una serie di sprofondamenti, di stanze o nuclei nodali in una demoltiplicazione di punti di vista dove lui stesso deve accedere come a uno spazio d’esperienza.

Tali catture partono sempre dal punto in cui le nostre certezze conoscitive cominciano a vacillare, là dove si sfiorano queste zone di insondabilità ai margini dell’evidenza razionale; le installazioni video come esperienze devono permettere allo spettatore di passare dall’altra parte dello specchio, dai corridoi alle stanze buie immerse nell’oscurità, in dispositivi d’immagine che volutamente imbrogliano le referenze temporali, condensano rifacimenti pittorici del passato con intrusioni d'elementi astrali dal futuro, creano false memorie, perdite di punti di riferimento attraverso gli effetti sonori, acustici o luminosi.
Sono le presenze perturbanti, le forme fantastiche, le statue di pietra animate da forze sopranaturali che popolano il video di “Bomarzo”; sono le prospettive aeree, i punti di vista fluttuanti, instabili, mobili sulla realtà vista attraverso il volo d’un falco in “On Air”. Sono le onde fluide, magnetiche, invisibili che attraversano il cosmo captate filmando in immagini elettroniche i movimenti delle nuvole, gli sciami di fumo o di nebbia, i  nugoli d’uccelli filmati come onde circolari, ellittiche, forme smaterializzate o zone fluttuanti. Sono le rappresentazioni di pitture italiane o fiamminghe del XV, XVI secolo con l’intrusione di corpi estranei, meteoriti, costellazioni o eclissi solari che irrompono entro le loro simulazioni fittizie. Sono i disegni ripresi a néon dal “Sidereus Nuncius” di Galileo o da altri trattati d’astronomia popolare della fine del '500 che si situano esattamente su questo spartiacque nell’epoca in cui la scienza e la nuova visione copernicana del cosmo cominciano a emergere in stretta influenza ancora con la loro controparte di credenza, mistero, metafisica e mito popolare. I dispositivi audio-video in Grasso  convocano tali fenomeni legati alla luce, al magnetismo dei corpi, all’elettricità, ai fluidi dell’energia cosmica.





Bomarzo

Figure perturbanti, sculture stravaganti, eccessive, grottesche dalle dimensioni smisurate  provenienti dalla mitologia classica sono filmate nel giardino di Bomarzo, detto anche “giardino dei mostri” fatto costruire dal conte Orsini verso il 1550 nella sua villa vicino a Viterbo. Una voce fuori campo riporta le iscrizioni in pietra sulle sculture smisurate che appaiono in mezzo alla vegetazione boschiva narrando  la storia e il destino di questo luogo misterioso, popolato da presenze fantastiche, da forze sopranaturali, orchi e draghi che prevengono come in un’ammonizione i visitatori incauti al loro accesso al sito.

Vera e propria trappola-dimora, giardino-enigma incantato dove il tempo sembra essersi arrestato per l’eternità, selva boschiva lasciata all’espansione selvaggia della propria vegetazione, alberi, felci e grovigli di cespugli ricoprendone ogni andito dove i visitatori si aprono a fatica il cammino. 
Statue d’esseri mostruosi dalle proporzioni smisurate, disumane sono intagliate a vivo nella pietra, direttamente dentro la roccia, lasciate al non-finito della loro materia grezza, alla corrosione d’agenti atmosferici che pure ne hanno intaccato la superficie. 
Ogni pietra dimora come un enigma dell’intera struttura in questo luogo chiuso, immerso di terrore e mistero, dominato dalle forze irriducibili della natura, da elementi sovra-naturali, da entità magiche forse demoniache. 
Siamo di fronte allo spettacolo orrifico di gole aperte, di bocche spalancate, di fantasmi di pietra che tormentano i visitatori, d’orchi e draghi con artigli sporgenti dalle loro estremità e ali ravvolte alla loro schiena, e ancora di fronte alla gola del più grande mostro di Bomarzo come una cavità scavata all’entrata d’una grotta facendoci sprofondare con lo sguardo entro la sua interna, spaventosa oscurità.
Lasciato all'arbitrio di tali forze naturali il giardino porta in sé l’impronta, il passaggio di queste potenze dell’invisibile attraverso i segni scritti sui suoi strati visibili. Luogo dove l’immagine chiara,
la visione razionale, l’idealità e l’armonia classica espresse dall’estetica rinascimentale lasciano il posto all’eccesso, alla dismisura, al groviglio d’un labirinto in cui perdersi, al vertice opposto di un’oscurità obliante, vertigine d’un irrazionale che potremmo definire anti-rinascimento. 









Gli Stormi

Nuvole, masse informi di fumo, nubi di materia liquida o gassosa avanzano, invadono le strade di Parigi; nugoli d’uccelli o stormi  si spostano attraversando l’aria, liberi sopra i cieli di Roma nei video di Laurent Grasso.

In “Les Oiseaux” : stormi d’uccelli captati alla linea dell’orizzonte, sopra il Vaticano, sopra i tetti di Roma al crepuscolo, si spostano in nugolo, a frotti, in numero impressionante visti a distanza come massa di pulviscoli neri, informe.
Visione crepuscolare come una nebulosa di punti neri, lo stormo é visto qui in lontananza come un’immagine mobile, fluttuante che dematerializza la propria presenza in movimenti erratici, ellittici qualche volta minacciosi. Disegna figure, segni grafici, strani  simboli volteggianti in aria nell’oscuramento che precede la discesa della notte.   

 Un’infinità di questi punti neri, quasi invisibili singolarmente, si muove a macchia sullo sfondo d'un cielo rosato  trafitto di luce.
Sogno come di questo fondo limpido, chiaro, roseo, sogno come di questo crepuscolo luminoso e irradiante sul controluce netto, oscuro della cupola, contro il profilo morbido delle case tracciate in una linea frastagliata di luce all’orizzonte.
 Passaggi repentini di forme mobili, inarrestabili, fluttuanti nell’abbozzo di figure, macchie che si tracciano su quel fondo prima di eclissarsi all’orizzonte. Scomparse e ricomparse. Annunciano segni d’oscurità, scritte e rigature d’inchiostro, ombre di nero fumo su quel fondo di rosa lucente.
Diventano invasive, estensive come macchie oscure dilatandosi; danzano nell’aria, si disegnano e poi scompaiono per riapparire in sciami, sotto altre configurazioni, in nebulosità fluttuanti. Ora vengono riassorbite dalle nuvole spumose, eteree, ora lasciano tracce nere, striature in cielo, ora si disperdono in una miriade di pulviscoli, si diffondono in endemica epidemia, espansione che occulta la luce, la ricopre come d’uno schermo contaminante portando l’oscurità, la discesa della notte.

Nebulose di cielo stellato. Accumulazioni e altrettanto rapide eclissi.
Macchie, punti neri, nuvole di neri presagi oppure semplicemente onde d’oscurità indistinta.
Attraversamenti rapidi che passano e poi scompaiono per ritornare sotto altra forma.
 Il cielo al tramonto, irradiato, e poi l’uscurità discendendo insieme alla notte sulla città.
Nuvole serali si confondono a queste onde indistinte di stormi, forse annunciando sinistri segni: un diluvio, l’irrompere d’una tempesta, uno sciame epidemico, la discesa del nero su terra, ma la cupola della cattedrale risplende imponente nel controluce d’ombra al tramonto, magnifica, maestosa.


Vertigo( video- istallazione)

Punti e filamenti luminosi volgono su loro stessi contro un fondo blu stellato.  Piccole scintille baluginanti nello spazio infinito, filamentose e luccicanti in minuscoli punti, in momentanee esplosioni. Costellazioni luminose si disegnano e si cancellano istantaneamente come fossero il risultato d’una programmazione numerica infinita in ricodificazione libera su schermo digitale.

Fluttuante diviene cio’ che é in relazione a un’immagine sfuocata, “fuori focus”, ripresa da una lente o telecamera mobile, nell’instabilità della propria visione aerea, volutamente movente. Immagine che confonde i contorni di realtà, puo’ essere prodotta da aberrazioni ottiche dovute a difetti o disfunzionamenti della telecamera, della retina, oppure nel tentativo ricercato di creare una condizione di possibilità paradossale alla visione. L’immagine elettronica smaterializzata, fluttuante evoca fenomeni quali il flusso, il fluido, lo scorrimento, le onde elettriche, le nebulosa incerte, la disintegrazione delle forme cellulari, il passaggio dalla materia al vuoto  ricollegandosi al fondo di invisibilità al quale i dispositivo-video di Grasso fanno segno. 







Uraniborg

Il palazzo di Uranio, oggi scomparso, costruto nel 1576 sull’isola di Ven tra Danimarca e Svezia era il più grande osservatorio astronomico d’Europa dove si facevano ricerche sulle costellazioni, la configurazione delle stelle, i movimenti planetari. Era un castello concepito come un dispositivo con numerose aperture volte verso il cielo, dotato di punti d’osservazione aperti direttamente sul firmamento. Le immagini convocano misteriosamente la sua memoria partendo da un’invisibilità manifesta, attraverso l’aurea di mistero che ancora permane sull’isola, aleggia nel luogo  a partire della sua storia captato in segni tangibili, sensibilmente dal fondo della sua non-presenza.

Il mare tenebroso di Danimarca con i suoi ammasi di nuvole oscure, grigie incombenti sulla terra fluttua lentamente sulla superficie delle acque nordiche sotto il chiarore lunare diffuso della notte. L’anima  dell’astronomo  che vi dedico’ la vita appare qui imprigionata nella figura pietra volta verso l’alto a scrutare il firmamento.

Cielo stellato riempito di punti brillanti, firmamento luminoso e immobile, ora rischiarato dai primi bagliori dell’alba. L’isola é vista dall’alto in ripresa aerea come un punto perduto in mezzo all’oceano,
un nodo di roccia riaffiorato come un eisberg in mezzo alle acque; ora é ripreso con un punto di vista ravvicinato come un reticolo di linee e punti, una cartografia  di riquadri perpendicolari tagliati da linee oblique oppure in una circumnavigazione strana di motivi ellittici, circolari disegnandosi come tracciati  sulla sua superficie .
Cartografia in primissimo piano come d’un suolo lunare dalla granatura densa, porosa della creta disseminata di crateri, dossi, piccole insenature provenienti da antiche colate laviche riflesse a specchio sul suolo terrestre. L’isola ritorna, infine, vista dal mare a distanza, come una macchia luminosa simile a un’eclissi totale, una sfera che emana fino a perdere i suoi contorni. In questa sua irradiazione inavvicinabile, contro il grigiore denso, pesante di nuvole cariche di pioggia pronte a riversarsi su d’essa nella violenza d’un diluvio fino a sommergerla, investirla, farla sprofondare, ritornare al fondo dell’oceano.

L’oceano-mare freddo etereo, glaciale e brillante attraversato da leggere fluttuazioni d’onde contro il pallore tiepido del sole nordico.      









The silent movie

Realizzato in Spagna sulle coste cartaginesi il video sorvola le installazioni militari cammuffate nel paesaggio costiero. La telecamera passa costantemente da un punto di vista esterno sulla costa a una visione a ridosso d'essa o dall’interno degli edifici e delle fortificazioni. Il sito é filmato come un’ampio dispositivo di sorveglianza proveniente dall’occhio d’una telecamera che incarna un punto di vista unico, un dispositivo di controllo, di trasparenza d’uno stato non più democratico ma disciplinare  nel suo esercizio subliminare e omnisciente del potere . La visibilità assoluta garantita dalle tecnologie di controllo diffuso e insieme l’assenza di un reale soggetto a incarnare quell’occhio invisibile del potere rendono paradossalmente la trasparenza una trappola, la visibilità assoluta, garantita dalle telecamere una forma disciplinare di prigionia volutamente denunciata, messa a nudo dal dispositivo filmico.

Il contatto tra la terra immobile della costa rocciosa e il mare inarrestabile nel suo fremito d’onde attraversa il movimento del travelling cinematografico. La camera agisce in questa demoltiplicazione dei punti di vista dal mare verso la terra, dalla terra verso il mare, dall’esterno all’interno di un bunker fortificato, costeggiando le pareti di roccia, gli scogli a ridosso della costa e poi insinuandosi attraverso le sue interne fortificazioni. Scomparso un soggetto potenziale dietro la telecamera o un reale oggetto d’investigazione resta questo movimento aperto, variabile, indefinito dell’ obbiettivo nella duplice posizione di osservatore e  osservato, nell’andirivieni dei piani, dei punti di vista scelti lasciandoci vacillare nell’incertezza tra chi guarda e chi é guardato, l’atto del vedere e l’oggetto della percezione.

Coste rocciose protese sulle acque in costruzioni e roccaforti di pietra e argilla a ridosso del mare
calmo, denso, immobile quasi.    
Costruzioni fatte di cunicoli, fosse labirintiche scavate nella terra a ridosso delle acque.
La telecamera discende attraverso scale, scalinate d’argilla su uno spiazzo in cemento d’esecuzione militare, macchie di sangue al suolo. 
Il mare in faccia, il rumore, lo strepito violento delle onde contro la scogliera di rocce.
La terra é intagliata in fortificazioni sotterranee che s’aprono come grotte marine, caverne divorate dal mare. Nelle caserme spiragli e feritoie aprono la vista direttamente sulle acque, sul mare brillante dello Jonio,
di Grecia, Creta e Cartagine.
Sentieri labirintici, disegnati sulla terra ritracciano contro il cielo le medesime insenature della costa.
 Il mare avanza, lotta, si infrange contro la terra scagliandosi dal fondo delle sue acque. 
Contro la violenza del mare un labirinto di fortificazioni e caserme dentro le rocce scavate a cielo aperto sul litorale.  






mercoledì 1 agosto 2012

Su danza, magneti e libere improvvisazioni nello spazio...(Santarcangelo festival II)












“Bisogna capire che tutto viene dall’altro”, chi è lì con voi su una scena come un’energia che vi assorbe o vi respinge, vi attrae o vi rigetta, diviene punto d’appiglio o punto d’arresto, facendo dello spazio performativo un campo magnetico, un dispositivo attraversato da forze elettriche,
flusso, corrente e scorrimento da un corpo all’altro oppure blocco, sospensione, barriera al vostro proprio movimento.
L’altro diviene magnete, punto di ricezione in ogni caso iscrivendo lo spazio attraverso una legge d’attrazione o di repulsione; agisce come una presenza che emana, mette in circolo malgrado la sua apparente lontananza o nel suo agire/non-agire, indipendente dal vostro. 

Tali campi di forze  generano nello spazio performativo l’imprevisto, l’incidente, i pieni e i vuoti che si creano nel gioco dell’improvvisazione in una scansione ritmica accordata o differita, in armonia o in contro-tempo tra me e l’altro. Sono le pause, gli arresti mai casuali, o ancora le azioni e reazioni, i ritmi che si instaurano,
le interazioni che malgrado tutto si stabiliscono tra gli esseri, i corpi, le anime, o forse solo i singoli campi magnetici. Passaggi repentini di stato, d’uno stato fisico, d’un livello energetico o d’un complesso emozionale rimbalzano tra un danzatore e l’altro, canali di complicità, di scambio, di fluidificazione s’aprono oppure tensioni, nodi, accozzaglie o caos di non-scorrimento, fino all’apice violento dello scontro.

  Sono circuiti attraenti o repulsivi, campi magnetici che si instaurano tra i corpi su scena; sono quello che non sanno di sapere di loro stessi, sono la complicità che l’altro mi passa e fa che divenga mia, che ascoltando ricevo, percepisco prima di sapere da me stesso come agirò. Sono il caso, l’incidente o lo sbaglio, la contrarietà che accade sul palco come nella vita e fa che la situazione cambi d’un tratto e ci costringa a trasformarci insieme ad essa, 
che altre possibilità impensate, altre soluzioni siano indotte a trovarsi, altre porte o spiragli ad aprirsi in quella storia dove tutto sembrava andare ordinatamente verso la sua fine e le cose stavano estinguendosi in quel modo fino a spegnersi come un fuoco, lentamente, per mancanza di nuovo combustibile.




Cfr Ariane Mnouchine, « Intervista »