domenica 26 settembre 2010

Gabriel Orozco, scrittura su immagini fotografiche, (Centro Pompidou, Parigi)























L’idea viene dalle foglie e poi dal sole che le attraversa, aspersione di raggi refrattari, rarefatti, moltiplicati in infiniti cerchi di luce al suolo, dispersi in milioni di eclissi attraverso le membra.




Così è chiamato “albero lunare” per via della luce, del chiarore lunare che attraversa le foglie, trapassandole e a metà aspergendole di vibrazioni luminose.





« Tutto é stato detto, troppo, fatto, gridato, iniettato e consumato, divorato e espulso. Tutto è accaduto. Vogliamo solo restare per un momento, e respirare, e poi dimenticare. Dimenticare ogni cosa.”

















“Dopo aver mangiato le arance quello che resta é la buccia, la pelle vuota. Penso al vuoto all’interno dei corpi, all’interno di questi oggetti: alla scatola di scarpe vuote”, al vuoto apparente di molti oggetti banali in cartone, alluminio o plastica sui quali ci imbattiamo nella vita quotidiana, che troviamo ammassati nelle discariche o gettati lungo le strade. Penso al vuoto-pieno di molte figure, immagini o corpi che attraversiamo con lo sguardo senza vedere come fossero iconici, a una sola dimensione, senza spessore né materia, senza segni distintivi né marcature sulla pelle a definirli. Fogli volanti, svolazzanti in aria come aliti di vento, figure ritagliate in seta o sagome di ghiaccio.

Penso ai bronzi in metallo vuoti all’interno, alle statue di gesso risuonanti del proprio eco, alle forme in latta o alluminio accartocciatesi al primo urto.
L’auto, ugualmente, é tagliata e ricomposta, dislocata dalla sue reali proporzioni, infine ricostituita idealmente in scala sul modello originale. Metallizzata, lucida, polita, rifatta su misura, su una misura forse desiderata, più consona, più umana, più vicina a quella di un ideale che possa abitarla. Eppure il modello appare forzato, forzatamente ristretto, compresso, brillante d’una brillantezza epurata, fittizia, vacua o che non fa riflesso.
Eternamente dislocata, un vuoto all’interno.
Lo spazio vuoto, un’azione e poi un’altra, tra due metà al centro un vuoto, come l’impronta del passaggio del tempo sull’oggetto.
Sottrazione: il fatto che ci sia questo vuoto.

Poi penso alla pienezza, alla corposità della materia, della carne, della pelle;
pasta, plastilina o argilla malleabile che puoi tagliare con le dita, modellare, impastare e comporre, appropriare o disfare con le tue mani.
Pieni-vuoti.La densità di momenti, atti, presenze, scambi fulminei caricati di tensioni sotterranee, d’una densità impalpabile allo sguardo; atomi in aggregazione libera nell’universo fluttuando nello spazio vuoto circostante.
Soglie o attraversamenti fulminei dei sensi al limite del cosciente.

Yielding stone, pietra del desiderio, essa stessa materia e ricettacolo, recipiente.
Il volume é espanso da un nucleo di plastilina fatto rotolare al suolo fino a dilatarsi, caricarsi di materia al passaggio, scavarsi, rigandosi, anche, in diversi punti;
impressa di tutte le tracce, le scorie, le polveri, i residui incorporati sul cammino.
Una sfera in caoutchouc riempita d’aria, imponente nelle dimensioni, dando l’illusione di contenere e trasportare qualcosa, poi la plastica d’un pallone forato riempito d’una chiazza d’acqua andata ad annidarsi al suo centro.
Una stella perforata in alluminio precipitata da qualche costellazione celeste nella galassia;
stella di latta in caduta libera nell’universo, rimaneggiata,ritrovata simile a astro cadente/caduto.
Ruote di biciclette incastonate insieme in un movimento rotatorio, labirinto espansivo e inclusivo, spazio roteante su sé stesso delineando un circolo entropico d’energie alla ricerca d’una propria canalizzazione, via uscita.

Continuità di materia-spazio-tempo: rotazione infinita;
fluttuare come spostarsi in diverse direzioni incerte, simultanee e contrastanti.
Non scegliere, non voler decidere ma restare in uno spazio attraversato da tali movimenti,
contemporaneamente e su diversi piani, attraverso tempi e direzioni confliggenti.
Essere questo.







































Tavolo di lavoro: terra cotta e membra di corpo,
scarpe e laccetti,
carta straccia per riempire calzetti fittizi,
argilla su insetti, mina di piombo su osso, matita su disegno.
Pallone da calcio forato, perforato;
pagine di elenco telefonico ritagliate e re-incollate insieme su pergamena giapponese.
Gesso e conchiglie, cartone e metallo, maglia-reticolo in acciaio e bilie in polistirene.
Tavolo di lavoro: laboratorio di manipolazione,“permutazione di tutte le possibilità e impossibilità del fare sculturale”.
Ci sono “oggetti trovati”, abbozzi di lavori in piccole strutture provvisorie, iniziali, indefinite come vedere qualcuno nell’atto di impastare, mescolare, amalgamare, imprimere con le proprie mani,
dare corpo a queste forme nascenti, piccoli frammenti di qualcosa in divenire, a venire,
non chiari, non netti, non distaccati ma ancora a metà amalgamati alla materia malleabile, vista nell’atto di comporsi tra le mani.
Seguono oggetti in una forma finita che saranno proiettati su larga scala nello spazio : un tavolo da scacchi, una serie di conchiglie intagliate, scarpe da viaggio, un cranio inciso sul motivo della scacchiera. E ancora ready-made, detriti, strani dispositivi in terracotta, modellini di reali architetture.
Tavolo di lavoro, banco espositivo, piano di mercato. Tutto è disposto minuziosamente, meticolosamente, tutto trova un proprio posto definito,
un proprio riquadro come su una scacchiera, in un gioco di posizionamenti tra strutture finite, bozze, forme non-finite, lasciate li’ a metà strada, virtuali residui,
ritagli, rimasugli o fondi di mercato.
Li guardo a distanza, li osservo, li conservo tutti. L’insieme forma un processo,
un amalgama, un collage prima del collage, del disegno o del lavoro finito.
Come cliché di cose che utilizzo, ammasso, archivio e poi ritrovo casualmente; tavolo d’atelier dal quale attingo. Tutto è disposto minuziosamente dentro un circuito chiuso, proiettato nel rispecchiamento temporale di fotografie in bianco e nero
riemerse da un mondo scomparso: “collage della felicità” , catalogo di Jacques Henry Lartigue.




Finger Ruler drawing.

Encefalogramma piatto, linea della vita, papiro interrompendosi nel vuoto, inizio e fine improvvisa.
Encefalogramma piatto, linee della vita disegnandosi attraverso, come l’impronta d’una mano, d’un dito tracciandosi sotterraneo sul pentagramma di carta di gesso.
Frammento di linea appena visibile, procede sul bianco all’infinito, prima e dopo il nostro tracciato.

My hands are my heart.
Imprimere una massa d’argilla, malleabile, rossiccia nel palmo delle proprie mani:

massa plastica, dal colore vivo, vivente della terra cotta,
bruciata dal sole assumendo le sembianze del cuore, degli atri, dei ventricoli che portano il sangue al centro dell’organismo e poi dà li’ lo fanno circolare attraverso tutto il corpo.
Forma aperta, messa a nudo di fronte agli occhi di chi guarda;
materia vivente, impressa dalle mani, mostrata al pubblico.
Palmi aperti, ora chiusi, sovrapposizione d’immagine;
figura a torso nudo fissata da una ripresa fotografia successiva.
Ripresa a plat, in visione diretta, frontale, a raso di fronte all’obbiettivo.

L’impronta genera, ugualmente al suolo, ampi semi-cerchi di ghiaccio,
tracce circolari simili a quelle lasciate da ruote di bicicletta sulla patina ghiacciata di brina nelle prime mattine d’ inverno.
Si trasforma in onde d’acqua. Nel solo quadrato nero dove la brina non è rimasta fissata sull’asfalto, dunque in quel minuscolo quadrato o spazio circoscritto,
si disegnano forme circolari,
espansione di fili tracciati al suolo come filigrana di rami, d’alberi riflessi nello specchio d’acqua.

Breath on piano: impronte del respiro, del soffio del corpo,
animus/anima, invisibile, fluttuante, sospesa,
espansa come alone energetico intorno alla figura oppure in fluttuazione costante,
in ondulazione dal basso verso l'alto, risalendo e precipitando come attraverso degli slanci di vita, degli ansiti del respiro fino a imprimersi in forma aleatoria, al limite della visibilità sulla superficie lucida, brillante, del pianoforte.











La poesia nasce dagli incidenti del quotidiano, dal paradosso degli eventi,
dal dis- funzionamento del reale, dallo sbaglio più sordido, dall’incomprensione più banale o grottesca, dall’incongruo che si insinua nelle serie degli eventi prevedibili.
La dislocazione poetica si appoggia sull’ intervento del caso, lavora sulle smagliature, le pieghe, le scuciture del tessuto dell’ esistenza.
Opera come metamorfosi creativa sull’oggetto in quello che d’esso appare troppo grande e smisurato alla nostra comprensione come l’eccesso, l’assurdo, l’illogico, l’ingovernabile dell’esistenza oppure la residualità degli eventi,
il livello basso, quotidiano, marginale della storia come la scoria,
il resto, il fondo, il rifiuto, l’inutilizzabile per eccellenza,
al limite la banalità del quotidiano.

E’ un pallone forato, lasciato su una strada d’asfalto, pezzo di plastica riempito a metà d’acqua densa, stagnante dopo la pioggia, lasciato li', sul cemento della strada. Pallone accartocciato,
resta la plastica forata, inzuppata d’acqua e d’un tratto l’acqua diviene il riflesso della strada,
di forme geometriche venute ad affacciarsi dall’altra parte.
La metamorfosi si opera attraverso lo sguardo.
L’artista messicano la definisce una forma di “empatia con il mondo”,
spontanea, immediata, fuori da ogni teorizzazione pre-esistente,
come restare impigliati nella trama degli accadimenti, nelle maglie della vita o della materia;
di qui la figura del cerchio, della circolarità o ripetizione delle mosse
ripreso dal gioco degli scacchi: gioco delle possibilità combinatorie, dei movimenti virtuali o rotatori disegnati da tali traiettorie.

martedì 7 settembre 2010

Partendo da William Kentridge, "Cinque temi", Jeu de Paume, Parigi
























William Kentridge:

“L’animazione, come io la percepisco, corrisponde all’impermanenza, alla provvisorietà del mondo, tale che esso sembra operare di fronte ai nostri occhi": parete mobile, foglio volante o membrana sottile attraverso la quale stabiliamo un contatto tra noi e l'esterno partendo dalla nostra interna sensibilità.
In senso propriamente letterale, il disegno animato rende visibile quello che conosciamo ma non riusciamo vedere ad occhio nudo.
"Il movimento di una mano: quando osservo la mia mano qui sono costretto a fidarmi della memoria, del sapere che era là precedentemente. Non c’è nulla vedendo la mano ora che indichi che era là un tempo, che quel lasso di tempo è passato. Con l’animazione disegno una mano, la cancello, poi la ridisegno sullo stesso foglio altrimenti sapendo che c’è una traccia che resta, e questa traccia è lungo tutto il tragitto, attraverso tutto il percorso filmico.
Nella vita le cose appaiono qui e là separatamente ma dobbiamo comprenderle come se ci fosse una storia incorporata in esse che resta invisibile per la maggior parte dei tratti;
l’animazione non fa che renderla visibile, ridisegnarne le parti mancanti."

Le cose appaiono qui e là ma dobbiamo capirle attraverso una continuità del vivente, capire il mondo come relazione, come contatto;
il modo in cui incontriamo l’esperienza esterna in un rispecchiamento, annebbiamento, rifrazione ottica, proiezione mutilata tra i fenomeni e quello che noi percepiamo d’essi.
Punti distaccati, linee che emergono all’esterno e il modo in cui li connettiamo, ne rintracciamo, al di là dell’astrazione di singoli tratti, immagini riconoscibili attraverso una serie di libere associazioni.
Insistenze del nostro pensiero: le lasciamo costituirsi, ricomporsi e decomporsi in reticolati mentali, in paesaggi ricorrenti,
in densità o zone di concentrazione psichica, immaginativa o emozionale prima che queste scompaiono trasformandosi, senza sosta, in altro e altro ancora.


Molti film riguardano il senso, il processo, la forma della visione. L’interiorità é come uno specchio rovesciato, il lato opposto della cosa percepita dalla retina. Le immagini disegnate sono prese in questo sforzo di raggiustamento costante, di correzione, adattamento, di ricomposizione d'una realtà esteriore spesso sentita come incomprensibile, feroce, grottesca o frammentaria.
Specchi deformanti, figure falsate che tentiamo di ridefinire attraverso il nostro interno atto di visione.



Uno degli aspetti del creare immagini animate é la dimensione fisica : non sedere di fronte a un computer ma fisicamente lottare, spostarsi, camminare nella stanza,
fisicamente impregnare i corpi, i fogli, la carta nell’atto di strappare, lacerare o tagliare,
disegnare o ricucire, ricongiungere, cancellare o riscrivere.
Mettere insieme oggetti, avere la sensazione di dove la geografia di un’azione dovrebbe andare a iscriversi all’interno di uno spazio, di come un insieme di dettagli in un luogo,
l’immersione in un’atmosfera luminosa, opaca o opprimente dovrebbe, in qualche modo, aprire la cornice di un accadimento, di un movimento, d'una serie di atti che andrà a disegnarsi senza sapere esattamente come, in che modo.
E’ un mettere insieme, o meglio tenere insieme forme, oggetti o sensazioni colorate,
far assemblare suoni, figure, parti del corpo per permettere a un’altra parte della psiche, dell’immaginazione creativa, del pensiero non-intenzionale, non- riflesso, non-rimosso
di prendere parte a una forma di riconoscimento emozionale inconsapevole,
d' aprirsi una strada, fornendo uno spazio neutro dove provocare connessioni immaginarie,
o semplicemente lasciare fluttuare la massa disordinata, caotica, nebulosa della mente,
una vertigine aperta nel pensiero.

Rinvio creativo: procrastinare come trascinarsi lungo il percorso,
tergiversare, disperdersi, ritardare il risultato finale fino a farlo divenire un labirinto produttivo. Preparare una moka di caffè, versarsi una tazza, alzarsi,
attraversare la stanza ad ampi passi,
prendere un foglio, guardarlo, fissarlo vuoto di fronte agli occhi.
Cominciare a ricopiare una figura sul foglio, accartocciarlo, tracciare una linea,
sporcarla, farne una macchia di inchiostro a carboncino, cancellare le forme lasciando una nebulosa opaca, vedervi comparire sopra linee volanti.
Spostare, muovere gli oggetti nello spazio circostante,
metterli insieme, lanciarli, lasciarli cadere a terra.
Rovesciare la tazza di caffé, vederla diventare una traccia di inchiostro sul foglio,
riassorbire la macchia disegnando con il caffè rovesciato;
re-incollare un ritratto caduto dal muro, seguirne il profilo con un dito,
tracciarne la linea di contorno con un pennello, strappare il ritratto di carta appeso al muro,
rincollarne alcuni pezzi alla parete lasciando intravvedere dei vuoti.
Cominciare ogni processo dal contrario, cancellare e riscrivere senza sosta,
prendere di contropiede il bianco, il vuoto, l’amnesia.

Il processo del divenire vitale preso nel fulcro del proprio movimento, le cose viste nell’atto di trasformarsi, cambiare, evolvere lentamente, divenire altre da loro stesse.
Comprendere il mondo non come una serie di posizionamenti, di verità o teorie nel senso di una visione assoluta ma come il transitorio,
il non-finito, non-definito dell’immagine in movimento.
La transizionalità del tutto insito nella continuità-communità degli esseri viventi;
il rifiuto d'una demarcazione netta quanto piuttosto il fenomeno dell’ombreggiatura che tiene conto della stratificazione degli eventi, della traccia di cio' che permane,
si sovrappone, si accumula nella percezione mentale dell'esperienza.


“Felix in exile”, video d'animazione, William Kentridge 1994


Una stanza vuota, un letto, un lavabo, pareti nude, nessuna finestra.
Felix su una sedia.
Il personaggio é solo in una stanza. Fogli ovunque intorno mentre sfoglia una pila di disegni fatti da un’artista sud-africana.
L’uomo vede il mondo esterno, le marce di protesta, la guerra civile,
i corpi sanguinanti sulle strade attraverso lo sguardo di lei nella visione indiretta nata dai suoi disegni. Dal suo occhio l'obbiettivo é puntato sulla violenza perpetrata al corpo-terra d’Africa.

L’east Rand: il paesaggio è deserto, disertato nella zona delle miniere nei pressi di Johannesburg.
Miniere abbandonate: le fabbriche non hanno resistito alla recessione degli anni post-apartheid. E’ una zona sordida, disabitata e rocciosa, impregnata di nostalgia e solitudine dove tutto allude al passato.
La zona delle miniere che circonda la città è disegnata come un territorio nudo, scabro, marcato da un denso chiaro-scuro.
Ai margini d'una strada un corpo é disteso al suolo, apparentemente morto, ricoperto da fogli da disegno che volano intorno a lui.
I fogli volano lasciando tracce azzurrognole, schizzi si abbozzano e scompaiono come linee di fumo su un cielo nebuloso, grigio all’esterno.

Cadaveri di uomini nudi, coperti da giornali e fogli da disegno, spiegazzati, accartocciati intorno.
Una pozza d’acqua azzurra si staglia sul grigio della pietra, la pietra come il cranio,
l’interno della psiche, della soggettività bianca,
come la siccità, l’aridità del territorio, la secchezza incolore della roccia.
Il carboncino opaco del disegno contro il blu d’acqua viene a rompere, ad animare il chiaro-scuro forzato del contesto.
Corpi a terra sono disegnati nel tratteggio violento del bianco e nero, allungati, inerti.
Una macchia di sangue s’allarga al suolo intorno a loro.
L’uomo é solo nella stanza di fronte a un foglio bianco e a un carboncino;
pareti nude, i disegni si accumulano al suolo.

Metronomo. Nel cerchio dell’obbiettivo uomini in marcia per strada,
il cielo stellato, un rubinetto d’acqua blu.
Radersi: una parte del viso scompare divorata da una macchia d’acqua .
Un bacino d’acqua disegnata contro un vetro sale fino a versarsi sulla figura di Felix.
La donna appare dall’altro lato dello specchio; il suo volto invade l’interno della stanza,
si frappone, incontra lo sguardo di lui nel telescopio . La connessione avviene dentro l’apparecchio ottico attraverso lo sguardo in primo piano.
Allo specchio fogli volanti scivolano al suolo, uno a uno, scoprendo piedi, viso, braccia e seno.
Lavarsi, purificarsi: l’acqua invade la stanza. Cielo stellato, tempestato di punti, si ricongiungono in diverse forme.

Uomini in marcia, pietra, cranio, uomo disteso a terra, corpo morto, sangue, bocca,
cerchi rossi segnano i punti di frattura.
Immagine lenta: lavarsi, purificarsi.
Corpo del desiderio assimilato a quello di morte, lentamente al suolo anch’esso coperto di fogli da disegno. Acqua blu ora rossastra, il blu invade fino alla vita la stanza.
Immenso nell’acqua che cresce sempre più intorno a lui.

"History of the main complaint" video d'animazione, 1996

Il personaggio giace nel suo letto, dietro una tenda bianca in una corsia d'ospedale.
In coma , respira malamente attraverso una maschera, gli occhi chiusi, la bocca spalancata.
Un medico indossando un vestito a righe appare al capezzale con uno stetoscopio per l'auscultargli il torace. Esami clinici sul corpo del paziente scorrono paralleli alle immagini che fluttuano dal suo ventre, testa o cuore all’esterno.

Radiografia del torace. La sonda discende attraverso le ossa, le membra, gli intestini, nei visceri, discende all'interno. Immagine virtuale dell'interno degli organi, corpo-psiche animato e vivente. Soho sogna un incidente durante il quale la sua auto investe un uomo sulla strada.
Un'immagine a risonanza magnetica evidenzia le zone attive del cervello, l'attività nervosa incosciente, lo spostamento delle correnti sotterranee, i movimenti continui, infinitesimali, invisibili a occhio nudo della vita muovendosi alle porte della coscienza.
Lo sguardo di Soho è inquadrato nello specchietto retrovisore, l'auto avanza aprendosi il cammino come attraverso una giungla d'alberi in prospettiva.

Immagine cancellata: due croci rosse compaiono sul cranio, le stesse utilizzate precedentemente per mappare le zone geografiche dove la morte era accorsa sul corpo-terra d' Africa.
Due uomini su una strada attaccano e percuotono un terzo colpendolo brutalmente in volto.
I punti di impatto sul cranio sono segnati da croci rosse, il cranio si soprappone a quello di Soho, raggi x lo rivelano in trasparenza dall'interno.
Croci rosse appaiono sullo schermo, poi sono cancellate. Colori scuri, contrasti stridenti;
bianchi e neri portati all'esasperazione dalla tecnica del disegno.
Immagini in sequenza si sussegueno in montaggio rapidissimo : strada di notte oscurandosi come una giungla imperscrutabile, scontro d'auto, rottura dello specchietto, viso infranto, cranio.
Soho si risveglia. Gli occhi brutalmente aperti, si ritrova in ospedale.
Nell'ultima sequenza lo rivediamo alla scrivania come un uomo d'affari bianco, reinstallato al potere. L'incidente, il coma, il risveglio non hanno modificato la realtà delle cose.
Il film resta un'esplorazione tormentata, in divenire, non definitiva della psiche bianca in un sud-Africa post-apartheid: psiche amnesica, divisa da sé stessa, doppia, frammentaria, incapace di ricomporsi in una visione unitaria, in una geografia tridimensionale del soggetto,
mai completamente liquidata del peso del proprio passato.