martedì 27 giugno 2017

Immagini e parole da Joan Mirò ( partendo da "Sogno e colore" a Palazzo Albergati)








“Sogno e colore”  a Bologna espone le opere degli ultimi trent’anni dell’artista catalano Joan Mirò, protagonista incondizionato del surrealismo e del rinnovamento pittorico nel  ventesimo secolo con le grandi tele della maturità intimamente legate all’isola di Maiorca dove decide di stabilire il suo atelier permanente a partire dal 1956. Centrale resta qui l’ispirazione desunta dalle forme organiche e dal mondo della natura attraverso gli splendidi paesaggi di Maiorca in una luminosità vivida, sublimata e riflessa tuttavia, filtrata unicamente in pure intensità di luce e colore. A partire dagli anni ’60 si assiste infatti a una svolta pittorica e, insieme, a una metamorfosi plastica della sua opera; Mirò intensifica sempre più il grado di espressività sulle grandi tele e semplifica progressivamente le linee e i tratti riducendo i motivi iconografici mentre attinge sempre più a una multipla ricchezza di linguaggi e tecniche pittoriche tra disegno, collage, scultura ceramica e l’aggiunta di ogni tipo di materiale: gli “objects-trouvés”  più diversi che riconnettono la pittura alla "non-arte" del quotidiano. All’ insegna della più totale libertà espressiva, e nella piena autonomia plastica dei segni un immenso universo poetico si rivela tela dopo tela, fondato su un linguaggio materico e insieme su un alfabeto di linee essenziali, dai tratti semplificati e i temi ispirati alla natura. Le immagini oltre all’apparenza astratta rinviano , tuttavia, sempre più a un sostrato materico originario, come bagnassero in una sorta di ordito visivo e magnetico le cui radici affondano nell’ inconscio, nel sogno o nella visione intuitiva della natura. Tale, la trasmutazione lirica della realtà per i paesaggi di Maiorca.   Le tele di Mirò parlano ai sensi e all’ immaginazione evocando libere associazioni di pensiero ma, anche per chi guarda,  la tessitura di un vero e proprio campo visivo; la pittura diviene soprattutto negli ultimi decenni una forma di scrittura universale, onnipresente che riassorbe tutto e ogni cosa e la trasforma, la metaforizza in un alfabeto di segni ora lievi, delicati o minutamente tracciati come fossero linee di china, ora densi, corposi e materici dati per getti o pennellate di colore. Le forme naturali appaiono sempre più immerse in un movimento intrinseco come in una danza di corpi che si muovono in un campo ritmico e sonoro propri.

 “Senza titolo”, 1973, (Olio e acrilico su tela).

Il segno è traccia, coinvolge l’intero del corpo, è tracciato, linea del destino o della vita,  trama calligrafica sul fondo di una tela bianca, sprazzi e macchie di colore dove il corpo è completamente coinvolto nell’atto del dipingere. Mirò lo definisce “ un bisogno quasi fisico come dormire o mangiare”,  perché per lui creare è del corpo, della pulsione e del tratto, dell’energia in movimento, dello spazio e del ritmo in esso iscritto. Del pieno e del vuoto anche. E’ movimento-segno e traccia nell’universo. E’ gesto anche che si traduce in scrittura grafica, del corpo nello spazio o sulla tela. 
E’ danza dunque in senso lato. A partire dagli anni ‘70 la pittura coinvolge completamente il corpo: Mirò distende la tela a terra, vi versa i tubetti di colore direttamente, vi cammina sopra, stende la pasta colorata con le mani, le braccia o altre parti, lascia impronte, gocciolamenti e spruzzi, lascia asciugare per ricominciare il giorno dopo. L’impulso iniziale è totalmente istintivo ma l’uso dei colori e la tessitura calligrafica finale ri-equilibrano la composizione d'insieme.   





Traccia nera ma lasciata da una pennellata corposa e materica, evoca la forma di un dragone nell’ arte giapponese e insieme un segno spaziale - l’arte orientale dei maestri calligrafi lo influenza particolarmente  dopo il viaggio a Tokyo.  Si impone come una scia materica essenziale e oscura che attraversa tutta la lunghezza della parete bianca in verticale. 
Un percorso, una direzione verso, una linea strisciante, uscente dalla tela ma due macchie  di colore al di sopra, blu e rosso rompono l’abulia del tracciato che resta tuttavia immerso in questo campo magnetico di un bianco primo e originario.

 Poesia visiva da “Derriere le Miroir”




Il confine tra pittura e poesia in Mirò non esiste là dove la poesia resta per l’artista “quel momento visionario e emotivo che riunisce nell’atto artistico cuore e mente” e la cui sintesi struttura un nuovo linguaggio plastico o pittorico. Pittura e poesia convergono letteralmente nell’edizione del 1961 di “Derriere le miroir” dove le composizioni poetiche di Neruda sono accompagnate dai testi visivi di Mirò.

 Un punto e una linea incise o lasciate su un foglio, un tratto unico, grezzo o marcante in nero, un’affermazione, un’impronta, un emblema del suo esserci. Una linea casuale si imprime a macchia di inchiostro su una superficie, tale il potere  magico di una matita  su un foglio,  di un colpo di spatola o di pennello su una tela: un gesto sulla superficie del mondo. Nella prima metà del disegno un tratto grafico fine ed elaborato  si imprime sul bianco del foglio, sospeso su un fondale di macchie colorate azzurrine, rossicce magenta e gialle sfumate in schizzi d’acquarello. Fa pensare alla trasformazione alchemica della pietra grezza in metallo prezioso, all’aurea o all’alone che circonda le figure e le illumina fino a rischiararle della loro propria interna vibrazione, oppure rinvia all’ombra , all’alone non-manifesto di oscurità che accompagna e avvolge i corpi in alcuni momenti. 
L’oggetto e la sua ombra, l’impronta lasciata su una distesa bianca e piana, la linea calligrafica lieve e sottile, appena percettibile, sospesa e tracciata sullo svaporare di aerei colori pastello. Diviene nel lato opposto del foglio una pennellata oscura, una traccia dominante, segno o marcatura di territorio, colpo di spatola o di spugna, cancellazione e insieme incisione di tenebre. E,’ ancora, il cerchio rosso di alchemica ispirazione che, come anello mancante di una catena, primario esubero di un rosso vitale sulla china, sembra chiudere il cerchio magico tra pittura e poesia. Secondo le parole di Miro: “ il pittore lavora come un poeta, prima viene la parola poi il pensiero”, prima la traccia poi il senso o il significante di cui si avvolge e si imprime.








Maiorca, serie Gaudì





Maiorca è una piccola zolla di terra in mezzo al Mediterraneo incorniciata tra cielo e mare dove Mirò decide di stabilire definitivamente e il suo atelier permanente, lo studio Sert nel 1956 dando vita nell’ultimo periodo  creativo a un linguaggio espressivo rinnovato, libero e primigenio, unico nel suo genere.  Maiorca incarna la terra natale di discendenza materna, la purezza del mare che lo circonda  ritrovata nel tratto imponderabile della sua linea calligrafica più lieve ed espressiva. E’ anche la luce diffusa, iridescente e espansiva dell’isola che illumina nel pieno del giorno , fulcro di un mondo naturale, di un legame, soprattutto primario e fondante con le radici a partire dal quale si opera la metamorfosi nella sfera spirituale dell’arte. Le pitture rupestri dell’isola, tracce di volti o incisioni riscoperte sulle pareti delle grotte preistoriche, ugualmente, riconnettono  a quel fondo di energia prima, selvaggia e violentemente manifesta nei tratti e nelle pennellate più istintive e marcate della sua ultima pittura. Allo stesso modo la Catalogna terra originaria della famiglia paterna a Mont Roig e Barcellona dove Mirò nasce, rappresentano l’altro volto, il secondo “luogo dell’anima”  che si ricollega il pittore alle sue radici ancestrali. Di là il carattere realista, rude e profondamente fiero delle proprie origini contadine, l’immagine di una terra dagli aspri rilievi e i vasti campi coltivati di vigne e di ulivi.  A Barcellona l’influenza di Gaudì resta preponderante  come  l’incontro con il più alto grado di libertà stilistica e bellezza estetica, espressiva e fiabesca nella moderna architettura catalana. A Gaudì dedica primariamente la serie di ventuno dipinti, le cui immagini come bozzetti preparatori sono esposte nelle prime sale della mostra bolognese. A lui ispirate sono le grandi forme organiche e i colori giustapposti, riquadri o ritagli, pezzetti di un mondo fiabesco, tasselli di un luogo originario scomparso di cui trapela solo la solarità del giallo vibrante di Maiorca, le forme oltremare intense del suo blu oceanico, i ritagli verde smeraldo nella sua vegetazione. Infine i frammenti di un rosso vivo, pulsante e carminio, quasi a riprodurre il vivente in forme naturali e antropomorfe; tali, le energie primitive dell’isola. I collage dello stesso periodo aggiunti di ritagli di carta, di linee a matita, di guaches et pastelli seppur radicati al mondo naturale evocano comete, stelle, meteoriti o altre forme cosmiche, grandi occhi aperti, spalancati sul mondo, abbozzi di figure alate cui si aggiungono  altri collage; colori accesi e la sensazione di una linea di vita che si espande sotto i nostri occhi in divenire.
   
Studio a Maiorca







Studio Sert”, l’immenso atelier dove Miro’ realizza un terzo della sua produzione artistica dalle pareti spesse e i soffitti alti ospita le grandi tele monumentali della maturità; ad esso si aggiunge il casolare settecentesco “Son Boter” immerso  in una vegetazione mediterranea rigogliosa  e selvaggia a ridosso del mare, ricoperto di bouganville e piante verdi. Tali, i luoghi di creazione e meditazione artistica per il pittore catalano paragonabili a un orto o un giardino dove crescono insieme frutti preziosi, legumi, piante usuali e erbacce, dove le cose seguono il proprio corso e richiedono all’artista di irrigare, innestare e quando necessario potare. Graffiti ricoprono le pareti delle stanze, grandi tele sono disposte tutt’intorno in contemplazione silenziosa appoggiate a terra insieme a cavalletti e agli altri oggetti provenienti da diversi luoghi : statuette, cartoline, ritagli di giornale, pennelli, colori lasciati essiccare dentro tavolozze da lavoro, pietre o conchiglie; ogni possibile suggestione creativa trova collocazione qui.

Nelle parole di Miro’: “E’ così che ho cominciato lasciando impronte. Prendo cose ordinarie e le trasformo, tutto può “diventare straordinario”: la carta riempita di fango e i fogli di fine calligrafia giapponese, martellare con chiodi una tela per “assassinare la pittura”, la mescolanza, occhi che sporgono in modo intrusivo, rettangoli di carta vetrata o carta velina. “L’atelier è come un giardino, come crescesse di giorno e di notte, c’è di tutto dentro, fiori, frutta e erbacce, tutto è nell’immaginario.”  La tela al suolo è attraversata come fosse un campo di battaglia, un campo magnetico o minato di cariche esplosive e liquida lava di colori spremuti direttamente dai tubetti, in guizzi, sprazzi e pennellate . Il pittore vi cammina sopra, vi agisce gestualmente, ne fa l’esperienza attraverso il corpo tutto seguendo l’impulso iniziale che lo guida totalmente affidato a un sapere innato, istintivo. 


Senza titolo, ( ispirato a Maggio 1968)



La rivolta accade nelle strade di Parigi; è espansione gioiosa di turbini e gironi colorati su un fondale bianco in movimento simile a un corto-circuito dove energie e dunque forme entrano inevitabilmente in contatto o conflitto tra loro.  La vibrazione della rivolta si impone come asserzione libertaria, turbinante e anti-conformista rispetto alla struttura immobile della cornice sociale.  L’anima cromatica della tela è là con i suoi  guizzi e sprazzi di rosso vitale, blu intenso, arancio e verde smeraldo colante tra i tratti neri come un atto di posizionamento critico rispetto a una visione statica dell’ordine imposto. Il mondo appare qui in rivolta, l’energia è quella del turbine, del rovesciamento o di un movimento a spirale o vorticante, l’afflato quello della trasformazione violenta e inevitabile in 

atto.




Il fondale fucsia poi blu di uno stesso paesaggio si rivela, ora come  notturno tassello di luna calante al centro in un cielo plumbeo, ora solare e immerso nella luminosità indaco del fondale acceso dove chiazze bluastre, e pennellate materiche ricompaiono in un dripping  pollockiano. Temi ricorrenti sono gli occhi che fuoriescono dalla tela, le stelle, le meteorite o le spirali, la figura femminile, gli uccelli o  le forme alate simbolo di libertà.  Terrestre o cosmico il mondo è sempre teatro di costante trasformazione seguendo le due polarità che di volta in volta si impongono attraverso forme viventi ispirate ora alla matrice terrestre ora alla vibrazione celeste.  Sono anche due polarità che si parlano in questo faccia a faccia del femminile e del maschile, pronte a riempire  spazi e a riemergere nelle loro linee iconografiche essenziali in un dialogo senza tempo.
   

Trittico Bianco e Nero



“Cerco di raggiungere un massimo di chiarezza, potere e aggressività plastica. Una sensazione fisica per incominciare seguita dal suo impatto sul pensiero.” (Mirò)

Una distesa bianca, una linea nera, un cerchio di colore al di sopra, astro basso in un cielo colante di striature oscure. Ora al contrario il cielo è nero e il bianco oltre la linea dell’orizzonte.
Una sensazione tangibile, chiara, manifesta: il bianco e il nero, la semplicità calligrafica del tratto, una linea che divide, essenziale nel pieno e nel vuoto dello spazio. Nella terza parte del trittico il bianco ritorna dominante con fini linee di nero colanti a lato rovesciando il punto di vista.
 La purezza del sole all’orizzonte.






Come Mirò afferma: “l’opera è come una creazione plastica assoluta ed essenziale, con la sua personale, intrinseca poesia. Perché solo la poesia può interpretare la realtà e la natura”, e forse in definitiva invisibilmente salvare il mondo.  Le forme danno vita ad altre forme nello spazio vivente della tela, costantemente mutando rispetto a loro stesse . Diventano tracce, una tessitura primigenia di corpi ora terrestri ora celesti fino a dare vita a una realtà di segni e simboli universali. 

Lo spazio poetico della pittura. E’ uno spazio vivente, d’una semplicità assoluta dove è sufficiente riempire o svuotare, aggiungere colore al vocabolario essenziale del bianco e del nero per delimitare le figure. Perché, in fondo, la pittura in Mirò è intuizione inconscia, impulso dentro  la linea e il colore fino a trasformare gli spazi in campi magnetici che seguono leggi ritmiche insieme proprie e universali.