lunedì 25 ottobre 2010

Fabien Chalon « Cinque macchine sculturali » Maison éuropéenne de la photographie, Parigi





"L’enchainement " ( successione a catena, concatenazione, incantamento)




Gabbia argentea, antro che s’apre in profondità, papaveri viola, no rossi, indaco su fondo grigio brillante.
Cascate di nebbia a fiotti, sollevamenti,

dispersioni di materia vaporosa, grigia, ineffabile, riversata simile a moto di fine del mondo.


Fiumi, vapori, acqua in una sorta d’apocalisse vivente; travalicano all’esterno del video nello spazio chiuso dell’installazione.

Catena oscillante con lucchetto appeso,
biglia gialla, centro, luce spenta, gabbia chiusa,
trovare una fine.

Tabernacolo, piccola luce rossa accesa a lato,
sacrilegio, sacrificio;
pendolo con lucchetto ciondolante , biglia che rotola avanti e indietro,
movimento ritmico, monotono, rotatorio volgente a vuoto su sé stesso fino a centrare la cosa. Apocalisse d’onde, d’oceani in eruzione.

Mano che sprofonda, corpo che affonda,
viso, spasimo,
apocalisse d’acqua vivente;
avvolge e riassorbe ogni cosa dentro il suo vortice d’oceano.
La gabbia si chiude.





"Prendi il tempo"



Schermo nero, fondo verde smeraldo,

cielo stellato, onde, vibrazioni elettriche, scoscio d’uragano avvicinatosi,

le temps,

riflesso lunare, biglia in caduta libera,
eclatement de vagues,

cieli che s’aprono e poi si richiudono pesantemente su di voi simili a veli su fondo di morte.

Sospensione,
luce verde smeraldo, cascata di fiocchi lattei, discendono pesantemente al suolo e li si fermano, permeano brillanti geometrie di forme.

Le temps, prendi , il-tuo-tempo,

“ogni giorno qualcuno muore in questa città silenziosamente”


Campi di cotone, blu notte, risate,
viola argenteo riflessi, eclissi solare,
eclatement soudain de formes, bagliore improvviso trasfigurato attraverso le tenebre .
La biglia cade all’improvviso dal supporto, veli neri tirati su volto di morte,
svolazzanti lame di candele accese.
Incendie, état de réveil
Il tempo,_prendi__ il tuotempo,__ pour que ça n’arrive plus, ton temps,
elocuzione, choc, assenza di , charme des mots, fascino delle parole, rare e essenziali sull’onda del movimento.

Legare, imprigionare, stringere: tenere stretti a sé, cingere con le proprie braccia,
stringere i denti, la morsa, la presa su qualcuno,
costringere, ridurre, rimpicciolire lo spazio vitale,
ridurlo a una perla vuota, a una conchiglia svuotata, dissecata, spazzata via da vento a riva,
ridurlo ai quattro panni stesi ad asciugare, lavati e consumati dall’uso,
a treni di notte e stazioni affollate di giorno , al rumore assordante dei vostri passi sul marciapiede, al loro eco sull’asfalto
a una cantilena, un ritornello, un tormento,una sequela di parole che vi girano in testa,
il battito percuotente del vostro ritmo cardiaco,
l'eco che vi gira in capo da mattina a sera, la rabbia che vi assale,
la nebbia che affolla e cancella, vaga nella mente.










"Tu es fou”


“Siamo grati alle stelle d’aver fabbricato gli atomi con cui sono costruite le molecole dei nostri occhi.”



Azzurro celeste, indaco, grigio, cielo coperto di nuvole immense, trasfigurate di luce.
Nuvole grandi, bianche, soffici, espanse e leggere,
Attraversamenti d’oceani
Mappe del mondo si dispiegano al contrario, movimenti dei venti o delle maree,
dilatazioni di materia sospinta, sospesa, fatta muovere, dal soffio del respiro vitale.


Velo, velare, bocca, labbra, parole pronunciate con ardore, con candore;
Montagne di nuvole, visioni celesti, acque, scorrimenti d’oceani, di spazi infiniti;
materia nebulosa arresta il film infuocato divorato da notte.





“L' abbandono”

Grigio asfalto. Mozziconi di sigarette inceneriti, pulviscoli di carta bruciata.


Polvere di materia arsa, spazzata via dal vento dopo la combustione.
Granelli di sabbia, granuli sollevati a vortice intorno, residui solidi di cenere svolazzanti dopo l’ incendio; piume di farfalle, nel vuoto sospese.
Particelle solide compresse nel vuoto dell’atmosfera condensano in forma di nubi.

Tuoni improvvisi, folate di vento, una più forte delle altre, ciclone in arrivo da ovest;
venti del nord, taglienti, gelidi, improvvisi.

Una figura in controluce appare nel profilo d’ombra, diviene sempre più grande, si espande, si dilata, occupa ogni millimetro di spazio come una proiezione che sfugge al nostro controllo.
Avanza sfumata, senza limiti sulla superficie, pronta a sollevarsi, a sollevare le proprie braccia e prendere il volo a guisa di creatura alata.
Turbinio infinito, sollevarsi, vorticare: l’esplosione, la disintegrazione di tutte le forme. L’incenerimento della materia nel ciclone indotto dai venti.


Più tardi la vedremo fluttuare, trasfigurata, aerea, in questo universo di cenere sospesa,
in aria sul nero d’asfalto.
Avanza, s’arresta lentamente, procede, senza più peso dopo la rimozione del volume, della forma.

Volano frammenti di braccia, di gambe, di testa, pensieri prendono forma, svolazzano e poi ricadono pesantemente al suolo; ali disintegrate di farfalle, prosciugate, dissecate e scheletri, membrane di insetti, volano in circoli ellittici, in ampie spirali ondulatorie e continue, trascinandosi in aria, condannate all’eterna ripetizione in questo circolo di vita-morte, ellittico, infinito, senza fine.

Siamo vento del nord, fredda tempesta, siamo figure in controluce pronte a disintegrarsi, trasfigurate in altro e altro ancora,
infiniti frammenti fluttuanti alla ricerca di senso,
in circoli di vita-morte senza fine .


" L'homme qui marche"









Sogna uno specchio. Si vede nello specchio come una maschera, la maschera deformata di sé stesso, profilo d’inchiostro staccato su fondo bianco;
una traccia presente nello spazio oltre il proprio volere, qualcuno che appare e non si riconosce come tale.
"Si strappa da sé troppo in fretta, troppo violentemente, in modo che il calco del viso resti impresso, marchiato sulle sue mani". Può percepire la voragine aperta del cranio, scavato nel vuoto .

Vedere questo viso del di-dentro costa uno sforzo infinito, lo trova inavvicinabile, pericoloso,
intoccabile ai sensi e poi, ancora più pauroso,
il cranio senza più traccia della superficie esterna.

Si disfa, liquefa tra le mani, perde tratti di sé,
si smembra, si decompone, come se una parte divenisse più importante d’un'altra,
e la testa estremamente presente, pesante, fino a riassorbire ogni cosa , i limiti della figura,
riassumere tutto su sé e svuotare il resto di peso.
Oppure si vede passare senza trattenere nulla in particolare,
dileguare attraverso le forme, l’alterità dell’esterno.

Stringe le mani al corpo, i piedi al suolo, dentro la terra, cerca al centro le radici del sé;
infrange questa parete trasparente, membrana, lamina o velo che si frappone, condensando in pulviscoli o polvere di ghiaccio, come una patina distorcente, una lama divorante alla percezione.








lunedì 11 ottobre 2010

Palinsesti, riscritture ( da Ascanio Celestini, "Fabbrica" 2003)



“Ed é vero come si dice che i morti portano con sé i viventi, nel senso che quando qualcuno muore in una casa un altro nasce al suo posto per riequilibrare le cose. E, il vivente, anche, porta avanti la vita del morto, ne porta addosso la memoria, il nome.”
Portano con sé i morti, i viventi, come se li portassero sulle spalle, con tutto il loro peso, ad ogni momento, come se fossero lì a respirare sulla loro nuca, gravitando in un alone incomprensibile, greve e misterioso intorno alla loro coscienza. Come pesassero sul loro corpo, nei loro sogni o nei loro incubi la notte, vivono di quell’unico soffio vitale, aspirano un po’ della loro linfa, a poco a poco ogni giorno, bevono il loro sangue, camminano sui loro passi, cominciano ad abitare il loro spazio fino ad impossessarsene, lentamente,
fino a inquinarlo, estranea suppurazione di materia, linfatica, fluttuante, liquida attraverso le vene, invisibile a prima vista, forse evaporata in scorie gassose incrostate intorno alla figura
Come un alito, una cappa di grigiore torpido, di torpore nebbioso che ostruisce, annebbia o ammanta la pelle.
Ed é come se una parte di loro morisse con gli altri oppure partisse per un lungo viaggio fino a quando non saranno riusciti a separarsene, a vederli partire una volta per sempre,
ultima mossa d’una partita a scacchi giocata al limite,
corpo a corpo , l'ultima pedina rimossa, tavolo disertato, né vincitori né vinti ,
scacchiera ormai vuota.






“Allora se ne vanno lontano per non voler più parlare” , desiderano andare sempre più lontano, attraversare terre e pianure e raggiungere oltre gli oceani luoghi sconosciuti per non incontrare nessuno. Se ne vanno lontano dagli uomini e si mettono a parlare con gli alberi, il vento, le pietre, mai più con gli esseri umani. Cominciano a comprendere il linguaggio delle analogie universali, i misteriosi passaggi tra materia e infra- materia, a percepire i fluidi energetici, i flussi,
le correnti, le ondulazioni delle acque, le fasi lunari, le vibrazioni dei corpi,
le corrispondenze segrete tra tutti gli elementi animati e inanimati del vivente. Alla terra, alle profondità della terra raccontano il loro segreto, e poi tacciono per sempre.

“Ma, anche, voi dite, l’acqua é strana, l’acqua del fiume nessuno la comprende, da dove provenga, dove conduca” . Là dove tocca e sommerge le rive crescono giunchi, cespugli, selvaggi arbusti di sottobosco, lunghi e sottili, affilati ed esigui, voraci e fragili, instancabilmente mossi dal vento, ondulanti in tutte le direzioni, ribelli e disordinati, dispersi eppure vitali e quando il vento passa attraverso, sull’acqua del fiume, fischia e mormora uno strano bisbiglio,
un soffio, un respiro, un brusio incomprensibile. Alcuni dicono che sembra il pianto d’un bambino perduto nella notte, oppure il rantolo d’una bestia solitaria, accasciata al suolo, raggomitolata come avvolgendosi dentro la terra per curare le proprie ferite. Ma, qualche volta, il vento in mezzo ai giunchi, sull’acqua, il vento che passa, sembra una voce, un suono, il mormorio d’un canto silenzioso, dolce e avvolgente , che incanta e seduce, avvolge e trascina con sé.



“Là nelle profondità della terra non c'é luce. Per farci paura spengono la lampada” . Qualcuno comincia a muoversi nell'oscurità intorno senza sapere esattamente dove, come_ rumori indistinti_ e ridere come fosse folle,
come si ride quando si diventa folli, e si perde la nozione del tempo e dello spazio, della luce fuori, la memoria anche di quella luce, sprofondati, immersi nel nero di dentro.
L'istinto di tenere gli occhi aperti, l'impressione di non poterli aprire abbastanza. Poi, una risata sorda, malsana, lunga e prolungata, si trasforma in un eco lancinante,
in un grido trattenuto, un singhiozzo, un sussulto, una scossa violenta e ripetuta attraverso il corpo.
Come quando è notte e nella notte fa veramente buio, una coltre spessa non rotta da alcun bagliore. Immaginate la notte, il nero della notte, impenetrabile agli occhi, ed è ancora una peggiore oscurità. E non è ancora come laggiù.

“Ci muoviamo laggiù nel nero; sento che i ratti ci camminano accanto. Penso che ci salteranno addosso da un momento all'altro, che finiranno per divorarci. Trovo una scatola di fiammiferi in tasca; ne accendo uno” . Un leggero bagliore.
Vedo che i ratti non esistono o forse si sono nascosti spaventati dal guizzo improvviso di luce. Non esistono o non ci hanno ancora divorato.
Mi accerto della presenza del corpo, le mani, il ventre, i piedi al suolo; lo percorro, lo sfioro attraverso la pelle per essere sicuro che tutto sia là, che nulla sia stato frammentato, rimosso corroso o divorato in parte.

“Voi dite che l'uomo e la bestia sono simili ma che tra l'uomo e la bestia c'é comunque una differenza” . I ratti sono bestie e abitano la notte. L'oscurità è il loro luogo, la loro dimora. Non temono il nero, loro. Siamo noi, gli uomini che abbiamo bisogno della luce, che la cerchiamo ad ogni istante, del calore anche, dell’energia luminosa ch' essa porta in sé, dell'alone che avvolge i corpi e li connette l'uno all'altro, inconsapevolmente, come un anelito di vita, un fulcro essenziale al quale aspiriamo.
Se non avessi avuto quella scatola di fiammiferi, laggiù, sarei morto.

Voi dite che tra l'uomo e la bestia c'é sempre una differenza ma quella differenza, vedete, qualche volta, sta nel bagliore improvviso , nel luccichio istantaneo d’un fiammifero.

Dite che gli uomini portano con loro, sempre, l'errore, lo sbaglio, la stortura,
la colpa di quelli che li hanno preceduti, che sono innocenti forse solo nei sogni. Dico che un uomo derubato , espropriato della propria vita, espulso della propria integrità non è più innocente neanche nei sogni.


“Quando la guerra è scoppiata hanno inviato un folle laggiù, là al centro della terra, vicino alla grande fornace” . Passava le sue giornate a guardare il carbone , a fissare la polvere di carbone bruciata, ammantata di cenere argentea,
d’una lucentezza metallica, immobile per ore di fronte alla caldaia. Un giorno qualcuno per divertirsi ha lanciato della polvere di pirite sui mozziconi spenti, che a guardarli si illuminano, scintillano dando l’impressione d’essere oro.
Gli hanno detto che avevano trovato dell’oro nel carbone . E il folle s’è messo a scavare con le mani come un dannato, a cercare l’oro in mezzo ai pezzi di carbone bruciati, alle ceneri spente e ancora fumanti, ai residui di materia arsa, incenerita, intoccabile con le dita.
Passava tutto il suo tempo a scavare per trovare quell’oro in mezzo alla polvere bruciata, alla cenere di quello che restava.


“E così le ombre parlano, parlano con gli esseri umani”. Odiamo le cose perché odiano la loro immobilità e vorrebbero essere vive, viventi, in cammino, dotate di vita propria come gli umani.
L’ombra d’una cosa inanimata, d’un oggetto morto. Immobile, affonda i suoi artigli nel cemento della pietra dove resto seduto, incapace di sollevarmi. Come volesse avvilupparmi, trattenermi al suolo, in questo nodo d’immobilità mentre io sono già in movimento, con un piede fuori la porta, cercando la luce, il respiro oltre,
come qualcosa fosse rotto, finito per sempre lì dentro .
Ci vorrà tempo ma penso che presto o tardi riuscirò a trovare questo luogo definitivo. Per ora sono attento al cammino, a ogni minimo spostamento, attento a ogni vibrazione della luce, di quello che accade intorno, fuori e in relazione a me stesso, perfino alla mia respirazione.



“Ora la stanno smantellando, un blocco dopo l’altro, la fabbrica. La portano via pezzo a pezzo” . Quando torno a vederla la sera resta solo lo scheletro. La si direbbe tale e quale a prima. Quella di prima ma senza muri, trasparente ora, un edificio trasparente e invisibile insieme, avendone scoperto lo scheletro, la struttura, le fondamenta. E tuttavia, ancora non la ricordo, non riesco a visualizzarla tale e quale era.
Ricordo laggiù, sotto terra, l'oscurità dove i ratti, le bestie respirano a ridosso degli uomini, camminano sulla loro pelle e rischiamo ad ogni istante di divorare i loro organi.