lunedì 26 ottobre 2009

Surrealismo e immagine poetica ( "la sovversione delle immagini ")








Jean Cocteau: « il mestiere del poeta, mestiere che non s’apprende, consiste a spostare gli oggetti del mondo visibile, divenuti invisibili per l’occultamento dell’abitudine, in una posizione insolita che colpisce lo sguardo e l’anima e restituisce loro il senso della tragedia. Si tratta di compromettere la realtà, prenderla di contropiede, inondarla di luce e, all’improvviso, obbligarla a dire quello che normalmente nasconde ».

Aragon: « Surrealismo é l’impiego sragionato e passionale dello stupefacente immagine o piuttosto la provocazione senza controllo dell’immagine per essa stessa e per quello che scatena nel dominio della rappresentazione di perturbazioni imprevedibili alla coscienza e di metamorfosi inattese. Ogni immagine, all’atto decisivo del suo manifestarsi, deve obbligarci a rivalutare l’intero universo. »

Immagine: rappresentazione mentale, trascrizione verbale, creazione fantomatica, sintesi visiva. Elaborazione psichica complessa, perlopiù incosciente, a partire dai dati del sensibile, del sentire, della sensazione. Illuminazione improvvisa attraverso le tenebre.
Ricostruzione, infine, del senso di un’esperienza passata.

Pierre Reverdy: « Immagine: una pura creazione dello spirito. Avvicinamento di due realtà più o meno distanti; più il rapporto tra due realtà prossime sarà messo in prospettiva, e quindi giusto, più l’immagine sarà forte, avrà potenza emotiva e realtà poetica ».

Un linguaggio reinventato: una parola tornata « allo stato nascente » in un rapporto analogico alla realtà. Una parola sul bianco di una pagina,
un corpo nel vuoto di una scena, avvolti nel silenzio di un' attesa.
Il surrealismo prendendo di contropiede la legge della causalità, il principio di identità, le norme della piccola psicologia individuale cerca l’immagine irrazionale del mondo, la presenza di segni del visibile a decriptare, l’esistenza di un pensiero incosciente, che puo’ sorgere, manifestarsi ad ogni istante, non anteriore ne esteriore al linguaggio che lo porta e che solo puo’ rivelarlo. Seguendo una coerenza altra dalla logica del nostro vivere quotidiano.


Scrittura automatica come « pensiero non diretto »(Breton),
jaillissement soudain de l‘être, spontané, intable, absolu.
Improvvisazione , forma irriflessa d’espressione,
abstaite, atemporelle, la plus éloignée possible de l‘accident qui l‘a générée ;

momento particolare dove l’uomo é all’improvviso afferrato da “ce plus fort que lui “.



« Scatola a multiplo fondo » fatto di finti passaggi, deviazioni di percorsi, porte che s’aprono su altre porte all’infinito, pareti dove si sono accumulati strati su strati di vernice, corridoi tortuosi, cunicoli sotterranei, ritorni temporanei alla luce, scalinate che conducono non si sa bene dove, labirinti di visioni senza trovare vie d’uscite.
Le chiavi per aprire tale edificio a multiple entrate sono la materia dei sogni, la scrittura automatica e tutti quegli stati alterati di coscienza che possono diventare veicolo potenziale di creazione artistica.

L' immagine poetica è per Breton una “straordinaria aggregazione di scintille come uno di quei tratti fulminanti che legano improvvisamente elementi cosi' distanti in natura che la ragione rifiuterebbe di mettere in relazione”. L'immagine poetica è dunque ricondotta alla metafora dell'elettricità: associata al sogno, alla fase tra il sonno e la veglia, al momento della scrittura automatica, si identifica con “ il contatto di elementi caricati elettricamente”. Nasce “dal fulcro di questi campi di forze” creati dall'immaginazione per l'avvicinamento di polarità opposte, di cariche uguali e contrarie attirandosi e respingendosi nell'infinito passaggio dall'una all'altra. Tale avvicinamento permette allo sguardo di sollevarsi oltre la considerazione data alla vita manifesta dell'oggetto”.














martedì 20 ottobre 2009

"La sovversione delle immagini: surrealismo, fotografia e film", Paris, Centre Pompidou































Il reale, il surreale, il casuale.La surrealtà puo' essere contenuta nella realtà stessa come si trattasse di « vasi communicanti », di un fluido energetico e vitale che corre tra il reale e l'inatteso, sorprendente perché rivelato nella misura di una propria giustezza interiore.
L’ artista diventa flaneur, accumulatore di oggetti eterocliti trovati restando all'ascolto delle coincidenze del momento.

Brassai: « il surrealismo nelle mie immagini é il reale arreso al fantastico della visione. Cervavo di esprimere la realtà perché non vi é nulla, infine, di più surreale ».

Cartier-Bresson: « Ho un debito con il surrealismo perché mi ha insegnato a lasciare l'obbiettivo scavare tra i detriti dell'incosciente e dell’accidentale».

Artur Harfaux: « solo la creazione conta , non quella dell'individuo ma quella del caso,
il caso straordinario che lascia intravvedere la portata allucinatoria dell’immagine usuale. »

Brassai, FOTOGRAFIE DI GRAFFITI (1933): « poesia involontaria »,
« Prelevamenti bruti » di oggetti, ingenui o magici, innocenti e perturbanti,
innocui e evasivi, investiti di un senso altro che tuttavia resta oscurato in parte.
« Oggetti trovati » dal caso.

I muri di Parigi fanno sentire le loro voci, il loro mormorio incessante di sossulti e grida,
di ansiti e respiri, di lacrime trattenute e incrostazioni di materia.
Graffi, graffiti e abrasioni, sono segni che parlano d'altro,
incisioni di memoria, meteoriti esplose di tempi lontani, , impossibili a collocarsi,
se non come residui e aderenze in un eco infinito di voci.
Parlano molteplici linguaggi; i messaggi sono spesso anonimi, confusi. Ripetono incessantemente dettagli, frammenti d'esperienza come meccanismi a ripetizione che s’urtano senza sosta tra loro, Iniziano a volgere a  una velocità incontrollata fino a esplodere in una miriade di frammenti sparsi fluttuanti, alla deriva.














Conciliare la visione interna con la realtà esterna: la fotografia si pone come medium alla ricerca di questa unificazione esplorando la tecnica fotografica come il proprio interno potenziale psichico.

Karel Teige: « Bisognerebbe avere la possibilità di fotografare il mondo dal « di dentro ». Diventeremo placche sensibili in uno stato indefinibile simile a quello del sonno o del sogno a costo di captare le immagini fluttuanti in noi ».
Roland Penrose: « ogni fotografia fissando il mondo con uno sguardo che per sua acuità e perspicacia supera la visione scontata che tutti possiamo avere della realtà possiede necessariamente delle qualità poetiche ».

Come defamiliarizzare la figura, perturbare la percezione, mettere in discussione la forma data, aprire lo sguardo a una nuova lettura del visibile? I surrealisti sperimentano con solarizzazioni e  abrasioni, deformano i negativi per distocere le figure.
I corpi appaiono presi nello specchio della loro interna visione, nel rifiuto di
definirsi, liquidi, espansi, senza confini, ne forma finita a trattenerli.

Raul Ubac: « la fotografia oggettiva non mi interessa. Spiavo le coincidenze dovute ai ratages, ai residui d'esperienza. Sfruttavo il fenomeno del brulage, che consiste a far fondere progressivamente il negativo sottoposto a fonte di calore.
La forma diventa quasi irriconoscibile. L'immagine iniziale é metamorfizzata rivelando un'altra immagine, latente, e poi, un'altra ancora, diverse altre sovrapposte nelle stratificazioni del tempo e che operazioni dovute all'intervento fortuito di elementi diametralmente opposti quali il fuoco e l'acqua permettono di rivelare bruscamente. La serie « Pantasilée » del 1938 fa sorgere contorni di corpi nello spessore di mura usurate dal tempo, sgretolate dagli agenti atmosferici, intaccate dall'intervento d'elementi estranei.


Sulla Bellezza

« La bellezza é ritmo, vale a dire movimento associato a una forma che da al reale la sospensione gioiosa del movimento ».
« E' dall'avvicinamento in qualche modo casuale di due termini che sgorga una luce particolare, interna all'immagine alla quale siamo infinitamente sensibili. Il valore dell'immagine dipende dalla bellezza della scintilla ottenuta. E ' funzione del differenziale dato nella portata potenziale dei due conduttori"
Brassai: « il paesaggio e l'oggetto non hanno in effetti bisogno di alcun abbellimento. Niente é più bello o più profondo che la loro propria realtà. Perché avvolgerli dei nostri sentimenti individuali, perché immergerli in quel collante appicicoso che chiamiamo anima? Chi non ha paura della parola abbellire, chi non conosce l'esitazione che precede l'atto di attaccare la materia non ha capito nulla della fotografia ».


Man Ray « Eros é la vita »
L 'immagine come " eterno l'enigma del corpo femminile”, illuminato dalla sensualità dell'eros, diventa “veicolo privilegiato per accedere a una forma di conoscenza superiore ", percorrendo una via contraria a quella della ragione.
Il desiderio e il caso rappresentano i due modi favoriti di tale esplorazione.
Il fotografo sfutta « il fuggitivo, il circostanziale, l'accidentale»: il riflesso di una figura in uno specchio, la deformazione di un'ombra come un dettaglio che si impone perentoriamente su una superficie.

Corpo e movimento
"Un corpo portato al silenzio paradossalmente parla per altra via". Mosso, illuminato dalle ombre che lo ricoprono nelle vie del sogno.
E' sempre un corpo che parla, aprendosi a una forma di conoscenza che solo l'arte puo' offrire. Anche quando fa schermo e si protegge dall'esterno, oppure si trova preso in trappola, chiuso dentro la « cage intérieure », dove si vede costretto, impedito nel suo slancio vitale.
E' sempre un corpo che parla, che s'apre, paradossalmente, a un'altra forma di conoscenza, di libertà se possiamo dire, giustamente perché oppresso da queste forze stringenti, trappola occlusiva di un “troppo” di pressione interna, di circoli chiusi che a un certo momento trovano modo di corto-circuitare, di creare un'eclosione e aprire un varco, violento, verso un « al di fuori». Qualcosa prende il sopravvento tracciandosi, iscrivendosi come ritmo e movimento contro le forze contrarie, le cariche energetiche e potenzialmente distruttive che lo stingono al di dentro.



domenica 11 ottobre 2009

Fotografia e inconscio















L’immagine fotografica come traccia[1].
L’impronta é semplice attestazione di un passaggio, la traversata fugace di uno specchio, qualcuno precipitatosi frettolosamente in un luogo senza aver assicurato l’atto della sua presenza. Non risulta dal desiderio di un’iscrizione ma solo della messa in contatto tra un oggetto e una superficie ricevente. La traccia attesta, al contrario in chi l’ha lasciata, il desiderio di realizzare un’iscrizione permanente, la vera e propria presenza della Cosa in sé, materializzazione attraverso i segni di un corpo o quelli impressi su una tela;
il passaggio, ancora, dal negativo di una camera oscura al positivo di una superficie riflettente.
E’ come "l’eterna dichiarazione d'amore" d'un corpo danzante preso nella continuità del movimento, abbandonanato al ritmo segreto delle sue leggi secondo un fantasma di inclusione arcaica.

Lasciare una traccia, opaca, indecifrabile o non immediatamente leggibile, sia essa grafica, fisica o visiva, fotografica o danzata, è tentare di iscrivere, in permanenza l’espressione di quel primo desiderio. Cercare precisamente questa concordanza o “ adeguazione fisica del sé alla struttura ritmica del mondo"[2].

Quello che il soggetto lascia volontariamente intravvedere di sé in una traccia,
quello che in essa a sua volta lo sorprende, lo afferra, lo rivela
nell'apertura inaspettata che non sapeva di possedere.

In fondo a ogni immagine si cerca una presenza a sé, un proprio riflesso al mondo. Il desiderio di costituire un’immagine dell'altro attraverso la fotografia intesa come specchio riflettente di uno quarcio di reale intriso del collante ideologico che lo sottende, va di pari passo con il bisogno intimo di “provare la propria esistenza”.
Sempre, attraverso la relazione privilegiata all’immagine, il soggetto tenta d'assicurarsi di quel primo sguardo nel quale ha visto per la prima volta la forma del sé riflessa nell'altro, riconoscendo, in questo modo, il suo “esserci", essere là, al mondo, come presenza.
Un doppio movimento risulta, allora, dal lavoro fotografico: ispira il mondo attraverso le sue immagini e si lascia, a sua volta, inspirare da quello. Non é semplice cattura di un oggetto o di uno sguardo ma “ continuità dell’essere e del mondo nella loro reciproca separazione e ri-connessione permanente ”[3].

“Eikon/similitudo” . L'immagine in greco non é somiglianza ma “assemblare frammenti di bello dispersi in natura per comporre l'idea di bello in sé”.
“Similitudo” in latino implica l’idea di somiglianza come l’immagine di una maschera mortuaria ricalcata sul volto dello scomparso. L’imago qui é immediatamente compresa in un rapporto di sostituzione con quello che rappresenta e che resta, tuttavia, irrimediabilmente perso, lontano, irraggiungibile.

Sollecitazione del corpo intero nella fotografia. Per Cartier-Bresson il momento dello scatto é come una “gioia fisica, danza, tempo e spazio riuniti”. Weston parla di sensazioni tattili, di gusto, di odori, perfino delle mutazioni sottili del tempo atmosferico agenti al momento della presa delle sue fotografie più sensuali.



























La luce. Fa della fotografia il luogo privilegiato della trasfigurazione. Se l'immagine fotografica è per eccellenza “scrittura della luce”, essa rimanda, immediatamente, alla metafora di una luce divina come unione tra cielo e terra ricongiungendosi al senso mistico e religioso della rivelazione.
Per il suo rapporto privilegiato alla trasfigurazione la fotografia é tra le arti che sfiorano più da vicino il Sacro; ma, anche, si posiziona in una sfera di estraneità, di impersonalità, se vogliamo in quella distanza che gli permette di arrivare ad un'“apprensione simbolica” del mondo, ad una figurazione astratta del reale.
Fotografando ci si nasconde, si parla attraverso le cose, si manipola attraverso la scelta dei punti di vista, degli angoli, dell’obbiettivo, ma ci si ritrova a propria volta presi, sorpresi di fronte al mistero degli esseri e delle loro forme in mutazione,
sedotti da una bellezza che non ci si attendeva di trovare.


Il rapporto della fotografia alla morte.L'immagine fotografica rappresenta una realtà che é esistita ma che é scomparsa, dandomi ancora l’impressione che sia li’, vivente di fronte ai miei occhi. L'atto di figurare, in un primo caso, svolge un lavoro di separazione dall'oggetto scomparso. Diversamente, si sostituisce alla sua assenza creando un circolo infinito di introiezione dell'oggetto che impedisce implicitamente la sua liquidazione, il suo lutto definitivo. La morte, allora, resta presente nell’immagine, vivente e come rivissuta costantemente attraverso quella.
Esiste, infine, una terza possibilità: la trasfigurazione dell’oggetto fino al punto di renderlo visibile con una intensità che sarebbe stata impossibile cogliere al suo vivente. La luce che irradia la fotografia diventa, qui, metafora della vita interiore dell’ immagine in quanto opposta alla morte dell' oggetto reale che l'ha prodotta.







































L’immagine sfuocata.
E’ segno di una percezione parziale, effimera, inaffidabile del soggetto preso dentro le fluttuazioni della propria vita interiore, immerso nel fluido magnetico del sentire che lo porta, ai margini della razionalità, come in uno stato d’oscillazione costante simile a quella che lo coglie vagando tra il sonno e la veglia,
e ancora spostandosi attraverso il magma denso del ricordo.
L'immagine sfuocata conferisce all’oggetto della memoria una fluidità di contorni simile a quella data dall' intrusione di componenti non visive, sensibili, emotive alla cosa figurata.
Vacilla tra la cancellazione parziale dell’oggetto e il divenire, la sua eterna trasfigurazione.
Se da una parte fissa un’ombra, la finitudine di qualcosa di ineffabile, incerto, allucinatorio dall’altra “testimonia l’infinita fluttuazione delle cose”[4] immerse nel fluido erotico e vitale del loro essere-in-vita.



[1] Serge Tisseron, Le mystère de la chambre Claire, Photographie e Inconscient, Archimbaud.
[2] Ibid., Tisseron

[3] Ibid., Tisseron

[4] Ibid., Tisseron

giovedì 1 ottobre 2009

Sull’immagine fotografica





















La fotografia sempre più si rende significativa ai nostri occhi al di là della sua prima preoccupazione documentaria come “riflessione su se` stessa” [2] non perché “fissa il mondo tale che appare”[3] ma perché interroga i fondamenti della nostra percezione, della nostra abitudine a guardare e a non vedere. Insinua il dubbio, l’intervallo, la sospensione in quello sguardo indifferente o anonimo perché usurato dal tempo e dall’abitudine.
Lo scuote, lo rovescia, lo rivolta, lo mette in discussione aprendo uno iato sottile tra il reale e la sua parte di incomprensibilità,
tra la superficie opaca e luminosa nella quale le cose ci appaiono a un primo sguardo e la loro controparte d'oscurità, di mistero, d'illegibilità.

Simbolizzazione istantanea alla quale la fotografia permette di accedere nel tempo di uno sguardo .

"Fissare" : stabilire o determinare una forma precisa, rendere inalterabile un'istante, fissare uno sguardo.
"Fissare" é arrestare il tempo in un punto ma anche assimilare un’insieme di componenti in uno spazio dato dove l’uomo si integra all’ambiente restituendo una visione unificante del reale. L'immagine puo' anche constatare, al contrario, lo iato, tracciare la linea invisibile dove la superficie si fende e lascia intravvedere le sue crepe. Fissare frammenti di senso, vertigini,
scorie di materia, lembi, margini d'esperienza di un mondo non più riconducibile a unità.

Tentare di toccare “la ferita del tempo vivente” [1] l'’istante cruciale, puctum in Barthes, che non cerco ma che viene a sorprendermi come una tacca sensibile, macchia o taglio dove il caso mi conduce.
Momento cruciale e doloroso, momento di passaggio dalla vita alla morte, di qualsiasi morte si tratti, reale o metaforica.
Sospendere, o meglio sorprendere: un atto propriamente fotografico.

“Immagini psichiche e insieme paesaggi reali”,
riappropriazione simbolica del mondo piuttosto che pura e semplice mimesi di questo. Lavoro di rielaborazione psichica partendo dai dati dell’esperienza sensibile (Tisseron) insieme nella posizione del creatore d’immagine e dello spettatore.



August Sander: vedere, osservare, pensare, Parigi, Fondazione HCB























Lucidità` e ossessione di verità : “ fotografare vuol dire essere capaci di comprendere un soggetto, potersi fare un`idea chiara di una cosa complessa e condurla alla sua completa elaborazione formale”.


Galleria di volti, ritratti di personaggi presi fuori dallo stereotipo del tempo dentro la verità di uno sguardo, di un soggetto, di un frammento d`esistenza;
ogni immagine apre a un universo di senso attraverso il modo di stare di un corpo, un'attitudine, uno sguardo, un dettaglio.
L` intuizione riguarda il momento di verita` strappato al caso, scritto là su un volto e ancora leggibile dopo tanto tempo, ma anche il mezzo fotografico spinto al limite delle sue possibilità fino a anticipare, in qualche caso in Sander,
l`informale astratto di un Fautrier o di un Pollock.

“Ritratto ” (1931). Interno borghese spoglio: un tavolo squadrato in legno su uno sfondo bianco, nessun altro elemento scenografico tra i due. Sulla parete ombre di cesellature a ripetizione.
Interno borghese asfittico, vuoto: un corpo femminile volge lo sguardo verso una parete bianca, obliquamente a chi guarda, il vuoto tra i due come la sospensione di qualcosa di indefinito verso cui lo sguardo si proietta, che intuiamo senza vedere apertamente attraverso il volto di lei. Sguardo fissato su un punto lontano, distante, indifferente all'obbiettivo; l'inquietudine si indovina vagamente nella sospensione dolorosa di quel volto arrestato in un intermezzo di vuoto, di pausa o d’attesa.
Immagine presa fuori dal tempo, atemporale se possiamo dire, forse solo per la verità` di quello sguardo perduto su uno sfondo bianco.

“Segretaria alla Westedeutscher radio ” (1931). Volto androgino, taglio maschile dei capelli cortissimi, sigaretta alla mano, charme nel portamento, enigmatico, in una sorta di visione femminile moderna avant lettre. Sguardo lucido, distaccato, ironico piuttosto che lirico. Ieratico.
Un volto.

Rocce, fiori, piante, lumache prese a distanza ravvicinata, spinte in alcuni casi al limite del realismo fino ad anticipare la chiarificazione estetica del modernismo fotografico americano (Paul Strand). L` epidermide presa a distanza ravvicinata diviene una forma epurata, materia parlante in se` fuori dal suo reale contesto o rappresentazione.
Mani d`artisti ambulanti, di contadini, di commercianti, d' avvocati, di scultori,
mani strette, serrate, disciolte, mani che si chiudono o si protendono all`esterno,
mani con pelle liscia o con unghie rotte, lacerate dal lavoro, dalle condizioni di vita precaria;
mani in attitudine di impegno intellettuale, di sfida o di riposo, di pace o di guerra, di lotta o di rassegnazione. Mani.




[1] Serge Tisseron, Le mystère de la chambre Claire, Photographie e Inconscient, Archimbaud, p. 49
[2] Ibid., , p. 35
[3] Ibid., 35