Prima tappa: Malaga
E’ una città-porto
dove l’arsura e il calore torrido del clima estivo nel sud della Spagna sono mitigati
dalle correnti marine del Mediterraneo che bagna la popolare Costa del Sol per
ricongiungersi all’Atlantico nei pressi di Gibilterra. Tuttavia, nonostante la
pervasiva modernità urbanistica la città mantiene i colori luminosi e le
tipiche atmosfere andaluse, le tonalità calde delle facciate e la rigogliosa fascia
di palme tropicali che simili a lussureggiante giardino botanico fiancheggiano
l’elegante viale litoraneo.
La città vista
dall’alto appare divisa come se due anime l’abitassero e due storie ne
facessero parte; da un lato la distesa di grattacieli colorati che si estendono
fin nelle anonime periferie e cingono la baia insieme all’arena moderna costruita
ai suoi piedi. Dall’altro lato, si staglia la cittadella fortificata, una delle
ultime piazzeforti di Spagna a cadere in mano cristiana, traccia del piccolo
regno moresco indipendente qui insediatosi dal 1236 alla riconquista dei re
cattolici. Il tutto è immerso nell’inusuale sentore di oasi tropicale della città
andalusa che sembra permeare di fronde rigogliose, alte palme e getti d’acqua
il maestoso viale costiero.
Tra queste due metà opposte e complementari
guardando la città dall’alto si scorge al fondo il nucleo portuale, il suo polo
commerciale ed espansivo forse meno attraente allo sguardo ma in sé stesso proiettato
con vigore verso il futuro. Ancora avvicinandosi, lo sguardo si posa sull’ampia
zona della baia tra gru e grattacieli in costruzione, mentre, dall’altro lato
sulla collina, si erge in postura di baluardo difensivo la roccaforte araba e,
ai suoi piedi, l’anfiteatro romano. Lì, le mura millenarie infiltrate di rampicanti
e buganvillee rossicci e vivaci esalano profumi intensi, estasianti ai sensi.
Al centro, quasi come un passaggio gettato tra due metà disuguali, nella
simmetria imperfetta di un corpo scomposto si erge una costruzione trasparente e colorata: grande
cubo di vetro a tasselli di plastica dipinti, opera contemporanea
dell’architetto Buren ospitante la sede
dislocata del Centro Pompidou parigino. Forse in quest’architettura aerea e
lieve dalla semplicità disarmante e dai tasselli colorati messi lì per caso,
sembrerebbe, dal gioco di un bambino, si ricompone il corpo architettonico della
città con il suo skyline moderno e luminoso
da un lato e il cuore della roccaforte araba dall’altro. Filo conduttore resta la
luce pervasiva, e quell’aurea limpida e accogliente delle città del sud mentre
il Cubo di Buren si situa di fronte alla baia e guarda dritto di fronte a sé all’infinito
mare.
Seconda tappa: Granada
Alhambra, agli apici
dell’arte araba medievale..
Torniamo indietro
nei secoli dalla metà del 1200 per scoprire lo splendore dei palazzi reali che
costituivano la reggia dei sultani a Granada, fulcro del predominio arabo in
Spagna al tempo della dinastia Nasride. Varchiamo la Puerta de Granades entrando nel grandioso complesso dell’Alhambra
dove a ovest si erge la cittadella militare arroccata sulla collina, una zona
fortificata circondata dalle mura esterne dell’Alcazaba. Accanto alla caserma e alla torre della guardia reale,
nascosti dalla fortezza si estendono l’insieme dei palazzi che costituivano la
dimora della corte araba ( Alcazar) e
ancora, la meraviglia della residenza estiva dei sultani (Generalife) circondata da orti e giardini splendenti e rigogliosi
simili a un’oasi in mezzo al deserto. Un paradisiaco giardino terrestre si
nasconde qui entro la cinta di mura per
obliare l’aridità pervasiva della regione.
Entriamo a Palazzo Nazaries ( uno dei sette palazzi
che costituivano la residenza dei Nasridi) e immediatamente siamo attirati nel labirinto
di sale, corridoi e patii meravigliosi che s’aprono all’improvviso come corti
interne dalle stanze chiuse e ancora i giardini e gli appartamenti reali celati
nel vago sentore di “Le mille e una notte”. L’atmosfera è velata, in parte
ricondotta al gioco di luci e ombre tra gli interni in penombra intessuti di
lievi filigrane e gli esterni che s’aprono all’improvviso in una luminosità
pervasiva nelle corti irrorate di fontane ma sempre contornate dai portici
immersi in una quiete ombra . Quasi fossimo
riportati a un altro tempo e spazio della storia moresca in Spagna,
attraversiamo queste sale semioscure ricoperte di stalattiti e vetrate
policrome dove l’arte araba decorativa giunge a sublimare la pesantezza della
pietra nella levità di forme eteree, di motivi astratti finissimi di cui le
pareti e i soffitti sono ricoperti.
Raggiungendo la
Corte dei Mirti ( Patio de los Arrayanes)
ci si trova immersi in un patio dominato dalla presenza dell’acqua che nelle
dimore arabe era utilizzata per mantenere la frescura e l’ambiente salubre
della casa ma, anche, a simboleggiare la vita nel suo costante gorgogliare in
piccoli getti mentre nel verde rilucente del bacino rettangolare si riflettono
gli eleganti portici della facciata .
Il Patio de Los Leones, capolavoro
dell’epoca di Muhammad V incarna la potenza della dinastia Nasridi nella
fontana sorretta da dodici leoni di marmo bianco al centro della corte assolata
mentre la pianta rettangolare appare circondata da gallerie coperte da stalattiti
poggianti su colonnine intarsiate e i capitelli, i soffitti e i muri sono velati
da una lieve filigrana di stucchi che celano al di sotto segreti versi d’amore.
Gli splendidi
giardini di Generalife, definiti
“luogo delle delizie dei Nasridi” con la fioritura dei roseti nell’estate,
delle ninfee d’acqua e dei fiori di loto galleggianti permeano di inebrianti
profumi e vividi colori i sentieri verdeggianti intorno . Benché mutati nel
corso dei secoli dall’aggiunta di alte
siepi di cipressi conservano
ancora i tratti dei giardini arabi antichi: piccoli, ombrosi patii e corti
segrete che si aprono di tanto in tanto dai sentieri in mezzo alla calura
estiva; piccole fontane e bacini di acqua dai riflessi immobili delle facciate
retrostanti. Là, cullati dal costante gorgoglio dell’acqua i sovrani mori si
concedevano spazi di riposo, meditazione e contemplazione silenziosa. Dall’alto
del colle ammirando nella loro potenza l’
Alhambra, poi la vista sulla città
conquistata ai loro piedi.
Albaicin, a Granada
è l’antico quartiere di impronta araba della città con accanto Sacromonte, un
tempo residenza dei gitani all’esterno delle
mura cittadine. Si resta immersi nel
bianco luminoso dei muri delle case
basse intonacate in bianco candido. Sui selciati lastricati nel fitto intrico
di stradine si annidano nella parte bassa negozietti e bazar stracolmi di
oggetti, abiti e souvenir dall’impronta orientale. Poi, risalendo, un sempre maggior
senso di sintesi e astrazione si impone nella visione di forme geometriche essenziali
dagli edifici alle piazzette triangolari. Infine, sono gli improvvisi passaggi
di luce e ombra nei giardini arabi,
dall’aridità delle mura alle oasi di pace dei patii irrorati d’acqua.
Terza tappa:
Siviglia
E’ una città
dall’estate torrida dove di giorno si resta al riparo dall’insopportabile
calura nelle lunghe sieste pomeridiane e di notte si vive fuori nelle strade,
nei bar a tapas mentre turisti e autoctoni riempiono i locali fino a tarda
notte al ritmo di flamenco nel quartiere detto Barrio de
Santa Cruz. Esplorando le strade sivigliane la sera si avverte
immediatamente l’atmosfera rilassata, incantevole e particolare del luogo, nelle sue architetture pittoresche e calde tra cui l’immanente cattedrale
gotica come nel labirinto di stradine tortuose o nelle piazze ombreggiate
da aranci e alte palme. Il ritmo del flamenco come basso continuo attraversa le
viscere della città. L’enigmatico termine “ el
duende” esprime perfettamente l’emozione
che si vive assistendo ad un autentico spettacolo di flamenco in Andalusia.