martedì 9 novembre 2010

André Kertész, Retrospettiva, galleria Jeu de Paume, Parigi










































(Martinique 1972)
(Nuotatore sott'acqua, Ungheria 1917)



Il fondale acquatico come matrice della terra s'apre in crepe irregolari sull' alveo bruno.
Il corpo è assimilato a una creatura marina, acefala,
mollusco, anfibio, o vertebrato d’acqua in un ritorno allo stadio primordiale realizzato attraverso l'immersione in questo fondale blu, oceanico, in movimento.
L'impressione è ancora più forte nella sovrapposizione del negativo originale su placca di vetro, nell’effetto indaco sul tiraggio argenteo.

Lo sdoppiamento utilizza il riflesso d'acqua attraverso il viso del fratello, completamente immerso tranne che nella testa.
Nel gioco di rispecchiamenti nati dall'illusione ottica, sé stesso é visto nel riflesso rovesciato dell'altro, sdoppiandosi in una figura gemellare, identica, volto a volto rovesciata dall'altra parte dell'acqua.
Alter-ego ripreso in auto-ritratto, visto dal basso verso l'alto: duplicità, complessità irriducibile dell'essere umano,
perenne ricerca dell'altro, insolubile, mai soddisfatta,
come l’eterna spirale del desiderio volgente su sé stessa, poi verso l' esterno
nella nostalgia d'una completezza perduta.


Jano appare come puro profilo in controluce: é figura d'ombra contro il riflesso della tenda solarizzata in una sorta di sospensione/ intermezzo metafisico.
E' visto in aria nell'atto di volare, satiro folle nell'incantamento della danza ,
nel sortilegio della parola.
Figura iconoclasta, Icaro si getta dall'alto, troppo vicino al carro solare, bruciandosi le ali, schiantatosi al suolo violentemente.

L'ungheria prima della guerra, scene di paesaggi rurali;
bambini gitani, piedi nudi sulla terra umida rivoltata di zolle.
Malvestiti, accovacciati contro il muro esterno d' un edificio,
la casa immersa nell'aridità della terra circostante, il paesaggio deserto intorno.
Campi, solchi sulla terra,
bambini laceri, piedi nudi.
Leggono seduti sul muretto esterno d'una casa nell’aridità della campagna circostante.

La polvere si solleva a fiotti,
avvolge, invade l'immagine nel pieno del movimento vorticante.

Circoli d'acciaio, infernali, sono impressi come ruote gigantesche di macchine al suolo, macchine per produrre bitume.
Gli uomini al lavoro. Nebbia del fumo, della polvere che si solleva a tratti;
ghiaia o strato sabbioso, invisibile in primo piano, avvolge come un manto incandescente l'immagine.

De-realizzazione: uomini come ritratti virtuali, dislocati, trasformati in riflessi l'uno dell'altro.












Dislocazione poetica prodotta dall' immagine come l'invenzione d'un altra scena.
Libera il reale dal principio di realtà “perduta”, estrania gli oggetti; si lascia produrre in una forma di “scrittura automatica”, impersonale, riflessa della sensualità del vivente.

Nelle vetrine manichini femminili appaiono come forme animate, plastiche, perturbanti allo sguardo.
Panni stesi divengono figure fantomatiche, bianche, svuotate di reale presenza fluttuando in sospensione dolorosa sui vicoli, tra i muri degli edifici.
Cavalli di legno dalle gambe rovesciate e manichini di donne a sovrastarli. Nell’illusione ottica la vetrina é re-inquadrata come una cartolina postale.

Una camera dimessa nello squallore di pareti scrostate dall’umidità. Una gamba di legno giace su una coperta di stracci laceri, in un letto sgangherato; numero tredici sulla parete frontale dell' hôtel.

Foto-ritratto d'epoca su fondo bianco di giovane donna dallo sguardo malinconico, distante, inavvicinabile.
Mani sfiorano cartelle o libri, dettagli di dita, mani femminili, affusolate.

Interni d'atelier, scorci di dimore d'artista, parlano dal luogo della loro assenza. Colgono squarci d’ individualità in un’accumulazione discontinua d’oggetti, in una serie aleatoria di dettagli  ritagliati e re-inquadrati insieme in tagli obliqui .
Parlano, di volta in volta, il linguaggio del geometrismo , dell’eclettismo poetico,
del costruttivismo, dell’astrazione o dell’epurazione modernista della figura.

Ritagliare e re-inquadrare per dare forma a uno spazio percettivo inedito.
Far retrocedere il corpo di fronte all’obbiettivo, qui Ejzenštejn ripreso a distanza,
su un tappeto che si dispiega verticale come una pellicola filmica, in una sequenza di inquadrature a ripetizione evocando la dialettica del montaggio russo.

Statue, sculture primitive in legno di  Zadkine divengono squarci di nature morte componendosi con bicchieri, bottiglie o lampade d’atelier.

Studio d'artista: un disegno é appeso e stracciato di figura.
Schizzi, scarabocchi a matita su una parete grezza.
 Vi sono bambole, cornici vuote appese , dondolanti da un chiodo sul muro;
vi sono teste di fantocci, manichini senza corpo di varie dimensioni accatastate sul tavolo di legno.
Vi sono scatole di colori, acquarelli, fogli e matite, gessetti spezzati, carboncini.
amalgama di pigmenti colorati.

Accumulazione: evocazione sensuale di materia, illusione di presenza.



Un uomo al lavoro vicino alla stazione S. Lazare é sorpreso a riposare mentre un manichino sospeso nel vuoto sopra di lui con una borsa da viaggio alla mano é come camminasse su un filo.
Funambolo scivolando via silenziosamente, dietro di lui, rimasto immobile, seduto a meditare.

Pecore bianche su fondo neutro, in primissimo piano. Si accovacciano, chiudendosi a crocchio fino a costituire un’unica forma composita, un cerchio per ripararsi dall’esterno, strette l’una all’altra.
Umanizzate, assumono una sembianza antropomorfa, occupano tutto lo spazio della foto con le loro schiene larghe, pasciute, il manto bianco, soffice di pelo in primo piano.

Un’ acrobata sospeso in aria, la testa rovesciata al posto dei piedi, il corpo in verticale assorbito in un complesso gioco d’equilibrismo su una scala composta da un montaggio di sedie verticali di fronte a un pubblico attento, sorpreso. Si lancia verso l’alto e, da una ringhiera sovrastante, una figura in controluce si sporge verso il basso in una sorta di sdoppiamento, continuità, complementarietà paradossale tra i due.

Tavolo di legno "a plat" in primo piano, una sedia, le rigature d' una panca.
Gioco di carte solitario.  Tutta l’attenzione é concentrata
sulle mani della bambina intenta a disporre meticolosamente le carte per ricomporre, nel silenzio del luogo, il senso perduto del gioco, l’immagine rubata.

Scena vista dall’alto scrutando il soggetto a sua insaputa.
Volto celato,immagine sottratta, destituita/restituita senza commento.
Forme geometriche a raso dell’obbiettivo, gioco di carte scoperto.
Illuminare le cose nella loro estraneità, sottrarle al senso comune, dematerializzarle, reinvestirle della loro aurea perduta.






Trasfigurazioni poetiche. I tetti di Parigi, sollevandosi verso l’alto, verticali nell’oscurità, aprono a un mondo parallelo, sopraelevato, disabitato sopra il livello usuale.

Scorcio di strade, square Jolivet di notte. Qui è la luce dei lampioni, irradiando dal centro sulla ghiaia, a creare anagrammi incomprensibili di segni, cerchi, spirali o giochi d’ombre,
simboli, sembra, provenienti dalla tradizione mistica o cabalistica.

Le sedie nei giardini del Lussemburgo contro la ringhiera e sullo sfondo dei cespugli si sdoppiano al suolo in figure strane, in forme incomprensibili, in geometrie di simboli aprendo al mondo segreto della percezione.

Le corde sono slegate, divincolate, lasciate cadere al suolo disordinatamente come una massa disfatta di fili rotolanti a terra in tutte le direzioni. Scivolano alla rinfusa, a ridosso della sabbia ,contro la balaustra che conduce dalla passerella al litorale.

Vari soggetti sono ripresi dall’alto in improbabili scorci a loro insaputa.

Il cercatore d’ombre, un profilo in controluce sul muro, una mano che scrive su un foglio,
l’ombra d’una ruota di bicicletta che traccia il selciato sabbioso; alberi contro una muraglia discendente a ridosso d’una scalinata.

L' ombra d'un piatto con forchetta impressa su vetro;
l'ombra del sé,  profilo contro la luce esterna, obbiettivo alla mano.

Si vede nell’atto di guardare la realtà, di renderla visibile come sé stesso in una trasposizione costante,
una realtà dislocata, svuotata di reali presenze ,
destituita di senso e resa per cesure,  lasciti o eccedenze.





E ancora sono segni, simboli, figure,
oggetti in reticoli di metafore visive,
volti di sconosciuti trasformati in improbabili personaggi d'una nuova scena, ironica, poetica o vitale.
Un mondo dove tutto è trasfigurato, costantemente ricondotto a un’altra visione per il potere insito nella scrittura riflessa, nel processo di estraniamento dell’immagine fotografica.

Se come volevano i surrealisti “la bellezza sarà convulsa, esplodente-fissa, magica e circostanziale o non sarà” la realtà apparente, visibile ed esteriore lentamente si piega, si staglia, si lascia ricomporre secondo le sue leggi interne, la sua matrice segreta.

Parigi di notte d’estate in prossimità d’un uragano.
 L' elettricità é visibile, a pelle, palpabile si staglia dal cielo sullo sfondo dell’immagine in linee elettriche irregolari, frastagliate, cariche d' energia cortocircuitando quella artificiale che illumina la torre d’acciaio.

Città fantasma, sognata, obliterata e inventata in segni, simboli, e presenze viventi.
Continua trasmutazione di materia fatta d'energia, d’ombra e di luce.
Perchè tutto è , infine, pura materia fotografica per Kertesz.

Fotografie di André Kertesz:
Una finestra sul viale Voltaire, 1928
Distorsioni 98, 1933
Un vetro rotto, 1929
Atelier Isamu Nogushi, 1945
Parigi di notte, 1927
New York, 1937
Distorsioni, 144
Tour Eiffel, 1933

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