sabato 27 novembre 2010

Arman (II), l 'oggetto tra distruzione e creazione












La collera viene dai visceri, è l’impulso degenerativo, distruttivo, violento, è la rabbia incontrollata, è il meccanismo a pressione che sale in corpo. E’ un movimento caldo, feroce, rabbioso che esplode in modo improvviso, inatteso, come tutti i movimenti delle passioni - amore, odio, collera- potenti, irrazionali, imprevedibili in una sorta di furore sacro, partecipante del dionisiaco. C’è anche l’ebbrezza, l’esaltazione del gesto liberatorio, il furore cieco, quello dell’eccesso, della libido, dei fluidi che salgono in corpo, scorrono, amplificano provocando una stato di disequilibrio, lo scompenso tangibile degli umori, 


un esubero d’energia necessitante consumo in 
qualche modo. Poi, c’è la collera come la follia irrazionale dell’infanzia, quella che esplode in un culmine di eccitazione, grida e singhiozzi; si manifesta e si consuma in sé come una deflagrazione, un impeto improvviso, a volte semplicemente esplodendo nel gioco, in uno scoppio frenetico di risa, oppure in una serie cantilene, salti, o parole disconnesse. Esaltazione, isterismo, fuoco di parole che volano da tutte le parti, fino ad esaurirsi , riassorbirsi rapido, inatteso come era cominciato. 


L’artista usa questi impulsi primordiali in varie performance filmate, per esempio il gesto di fare a pezzi un contrabbasso al suolo (NBC Rage, 1961), oppure in Conscious vandalism (1975) l’atto di devastare letteralmente l’interno d’un appartamento borghese propriamente ricostruito. “Credo che nell’azione della distruzione ci sia una volontà d’arrestare il tempo, di sospendere gli avvenimenti incollandoli, bloccandoli insieme nel poliestere. Quanto rompo un oggetto faccio in modo che i pezzi cadano in uno spazio dato, precedentemente delimitato. Quando brucio qualcosa arresto la combustione prima del suo consumarsi. Non é mai un atto di distruzione totale ma ciò che mi permette di conservarla, là dove mostro la catastrofe. ” L’azione dei colpi, delle collere porta in sé l’impulso degenerativo e, insieme, quello di fissare l’avvenimento “al culmine della catarsi” permettendo in questo modo all’azione-opera di rappresentarlo, di renderlo manifesto. L’ impulso primordiale, il gesto o lo slancio rabbioso, l’irruzione incontrollata, la necessità pulsionale e annientatrice contro la materia viene sublimata, infine, attraverso una gestuale artistica codificata nell’azione-performance, in Arman suggerita dalle arti marziali.




Il colpo é movimento freddo, controllato, razionale che sembra partire dall’analitica cubista della scomposizione dell’oggetto nello spazio, la proiezione all’esterno in un gesto esatto, efficace, essenziale, nato da una concentrazione massimale d’ energia. Lo sforzo é quello di decomporre l’assetto finito d’un oggetto-forma_ gesto musicale, perlopiù applicato ad archi, violino e violoncello_ gesto iconoclasta al limite, ma controllato, soppesato fino a parcellizzare la forma in sezioni che sono state precedentemente definite. Applicato alla musica, all’impulso ritmico e insieme al lavoro di scrittura musicale, la decostruzione plastica dell’oggetto rovescia il valore melodico della composizione . Nei Colpi esiste ancora una forma riconoscibile, razionalmente scomposta, l’anti-forma e l’oggetto messi in primo piano. Dare la cosa nella sua versione de-costruita, la struttura percorsa da un movimento contrario di smantellamento, l’oggetto rivoltato, rifatto a ritroso, ri-attraversato da un moto contrario simile a quello del partire, cambiare direzione, divenire altro sul percorso, rivenire per altra via, essere là, ancora, differentemente.

Dopo il passaggio del tempo e delle tempeste recuperiamo i relitti fluttuanti alla superficie della memoria allo stesso modo che i pezzetti sommersi delle nostre emozioni. Ammassiamo gli oggetti rigettati dal mare. Il tempo distrugge, altera. Accettiamo queste distruzioni, alterazioni del tempo e della materia, li integriamo al nostro sistema di valori estetici preferendo qualche volta gli oggetti tali che si presentano oggi a quello che erano un tempo”.



Ecole de Nice, video-performance, (1966)
Un pianoforte è messo a fuoco in una cerimonia simbolica altamente sacrificale di fronte a un gruppo di convitati, testimoni all’evento. Le fiamme divorano a poco a poco il suo involucro esterno, alcol e petrolio alla mano gettati sul legno. D’un sol colpo, l’incendio esplode in un improvviso bagliore; combustione di materia luminosa, un falò brucia incandescente nella notte, in piena oscurità. Più tardi, i detriti ancora fumanti saranno ricoperti d’una spessa patina di plastica, liquida e opaca, fino a fissarsi in uno stato non più di frammenti ma di lavoro finito.




Combustione di violoncello su pannello e resina.(1964)

Qui il giallo smaltato, ocra e brillante, percorso da aloni e chiazze slavate simili a cera che fonde al calore, domina rinviando agli immateriali in oro di Klein. Tutto è portato alla superficie in un processo di sublimazione estrema dell’impulso distruttivo, nella sua “estetizzazione” anche. Il ricorso alla resina poliestere per fissare i detriti trasforma i residui d’oggetti in potenziali “archeologie del futuro”. Distruggere e creare si legano in un gioco di forze tensive, oppositive, in un rapporto antinomico, che, tuttavia, in ragione di tale paradosso, libera l’oggetto spingendolo oltre le strutture usuali del senso e della storia. L’oggetto rotto, tagliato, deformato, residuale o recuperato come scoria, fatto a pezzi o bruciato nelle combustioni, ritorna, qui, ricoperto d’una patina di poliestere, acrilico o resina nell’urgenza d’una nuova iscrizione estetica, nella trasmutazione alchemica della sua materia. Una sorta di alchimia si manifesta in questo momento preciso e non un altro, come l’atto conclusivo d’un processo che è stato attraversato nelle sue varie fasi, plastiche o strati genealogici, fino a chiudersi in circolo in questo punto.


La sedia d’Ulisse (1965) Una poltrona in stile Luigi XV viene bruciata in cima a una catasta di rifiuti nel corso d’una combustione-performance pubblica. Allo stadio limite, quando solo le vestigia dell’oggetto, la struttura in bronzo si rende ancora riconoscibile, essa acquisisce una nuova, preziosa liminalità. Stato di soglia, limine, metamorfosi, lo scheletro in bronzo restando difficilmente in equilibrio sulle tre gambe si veste d’uno smalto lucido, delicato, in un passaggio alchemico verso una nuova genealogia plastica. L’oggetto distrutto è sottoposto a una combustione che lo decostruisce, lo altera e insieme lo conserva , lo mostra e lo fa durare differentemente.


Lista visuali Arman, I parte e II parte

1 Frozen civilization I, 1962
2 Chopin’ Waterloo, 1962
3 Home sweet home, 1960
4 La collera sale, 1961
5 Portrait-robot d’Iris, 1960
6 Frozen Civilization 2, 1972
7 Collera di violino, 1962

8 Collera bruciata, 1972
9 NBC rabbia, 1965






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