sabato 27 novembre 2010

Arman ( I), Retrospettiva, Centro Pompidou, Parigi


Il “dechet” in Arman è il resto, il residuo, il lascito, l’anti-forma per eccellenza, l’inutilizzato delle nostre società attuali, lo stadio ultimo della materia presa nella sua fase liminale di decomposizione organica. E’, ancora, quello che nel sistema industriale si pone come sur-plus, esubero, prodotto in eccesso che satura il ciclo di produzione nell’impossibilità d’uno smaltimento. Il meccanismo gira a velocità incontrollata, genera energia in eccesso, prolifera di un sovrappiù di materia che non riesce ad essere consumata, riassorbita, rimessa in circolo riemergendo in escrescenze nefaste, potenzialmente pericolose, tali le cellule cancerogene, malate d’un corpo sano attaccando l’organismo in una de-compensazione lenta e inarrestabile fino a toccare il suo punto di crisi, di non-ritorno.




Il dechet è dunque il residuo della società borghese, l’oggetto in quanto rigetto, non riparabile, usato, consumato e esecrato, implicitamente legato al processo di rimozione, d’eliminazione dello stesso insito nella sua obbligata liquidazione.
La prima azione che si lega a questa massa di detriti organici, animali o minerali in Arman è quello del pieno, del riempimento fino al culmine, dell’ammasso, del recupero d’oggetti in teche di vetro o in plexiglass. La decomposizione della materia nelle serie Spazzature/Accumulazioni è arrestata, colta nel processo che la disorganizza, la de-crea, la de-costruisce nel senso d’una distruzione ma anche in quello che va al contrario d’essa in una sorta di rovesciamento, svolta della medesima. Ricomporre é arrestare la distruzione, fissarla in una scatola trasparente dietro la quale l’oggetto non appare più anonimo, passivo, residuo inoffensivo del meccanismo di produzione ma diventa opaco, impermeabile, refrattario allo sguardo. Diventa “la massa critica dell’oggetto” nell’espressione di Baudrillard , il cui valore plastico è re-investito, recuperato dal livello basso, nel suo isolamento in uno spazio delimitato, nel suo spostamento metaforico, moltiplicazione metonimica e riappropriazione estetica.




























La grande abbuffata, (1970)

La massa indistinta di materia in decomposizione allo stato organico come fluttuasse in un liquido gelatinoso si ricompone in una sorta di quadro multiforme, colorato, astratto dove si stagliano ancora dalla gelatina indistinta alcune figure e superfici: carte, cartacce, scatole, “bottiglie, molte bottiglie di diverse forme e dimensioni in plastica o in vetro, con scritte impresse in colori vivi, violenti sopra, molta plastica, molti imballaggi”. Involucri d’oggetti che divengono oggetti in sé, molte scatole di conserva, molte cose che, utilizzate per un certo tempo sono gettate perché considerate desuete come, in altre teche, scarpe, collant, foulard, stralci d’abiti, sigarette, profumi. Un collage opaco nella massa liquida, gelatinosa, tendente all’informe , stranamente colorato in chiazze bianche, argentee, verdi o arancio, diversificato in materiali, dalla plastica al vetro, dalla carta all’alluminio. L’odore, il tatto, la saturazione sensoriale prodotta dal riempimento sono messi a distanza attraverso un collante in resina poliestere che blocca il processo di decomposizione e trasforma una materia bassa, ignobile, immonda, immond-izia, in una sorta di smalto brillante, fluttuante à plat sulla superficie. Le forme, nella loro corsa verso l’informe, sono imprigionate, messe in rilievo contro il vetro trasparente, arrestate e, contemporaneamente, messe a distanza rispetto alla loro massa organica in uno sforzo d’astrazione.


Accumulazioni








“Nella ricerca del nuovo, ricerca resa necessaria dalla carenza e dall’ esaurimento della pittura edonista e di quella gestuale d’oggi ho in modo cosciente esplorato il settore dei detriti, dei resti, degli oggetti industriali rigettati, in una parola dell’inutilizzato.” Presso Schwitters più importante del materiale é la possibilità insita nel valore plastico dei frammenti, vale a dire il caso della loro congiunzione. Affermo che l’espressione dei detriti, degli oggetti possiede, invece, un valore in sé, senza volontà d’un atto estetico che li obliteri, li ricopra o li mascheri nei valori d’una tela. Introduco, così, il senso d’un gesto radicale senza remissione né rimorsi. Tra gli inutilizzati, un modo d’espressione che attira particolarmente la mia attenzione è l’accumulazione, vale a dire, moltiplicare e fissare in un volume complessivo corrispondente alla forma, al numero e alla dimensione l’oggetto industriale nella sua ripetizione.
“Non si tratta di decontestualizzare l’oggetto dal suo sostrato utilitario ma, al contrario, di ri- contestualizzarlo su una superficie resa permeabile, densa, porosa dalla sua reduplicata presenza.”

Il lato ossessivo, ripetitivo, narcisistico, al limite autoreferenziale della cosa nella proliferazione della medesima fa pensare a una granulazione di punti luminosi in una costellazione celeste, apparentemente identici l’uno all’altro se guardati a distanza, rifrazione luminosa d’ una molteplicità d’astri se visti al microscopio, sotto lente di ingrandimento. L’esperienza della percezione si rende fluida, sfacettata, molteplice nell’atto della ripetizione, investita di diversi livelli temporali e soglie spaziali attraverso la variante della durata.

Ammasso, detrito, abbondanza, profusione


“Il tempo non esiste, la memoria solo lo crea”. Frazionare il suo continum rapportandosi a un tempo misurato e relativo, l’ora degli orologi, dei pendoli, dei cronometri, delle sveglie, dei fusi orari, è semplicemente una convenzione. “In questa accumulazione di piccoli universi, di galassie prossime che considero con l’occhio del bambino e della memoria, al di là della contingenza dell’oggetto ritrovo la vita, lo spazio e dunque, al di là del tempo, anche se non assoluto, il mio proprio tempo”. Le accumulazioni, all’origine sono quelle della memoria d’infanzia, le collezioni d’oggetti rari in famiglia, gli armadi, gli scaffali che riempiono la casa, l’universo composito e affascinante degli oggetti, dei mobili, dei suppellettili scoperti nel corso delle fiere e delle broccanti con il padre commerciante. Poi sono i libri, i dizionari, i fogli, le pagine, tutta la serie di letture che accompagnano la sua giovinezza.


Le accumulazioni sono quelle dei vecchi appartamenti, delle case stracolme d’oggetti , carte, cartoline, lettere, polvere depositata al fondo dei cassetti, cose dimenticate negli armadi,
gli ammassi di sopramobili, cianfrusaglie, i libri, le fotografie e tutto quello che circoscrive il nostro spazio personale, lo delimita, lo sancisce, lo rende non più anonimo ma abitato, singolare,
presente d’una presenza a noi stessi, testimone anche al crocevia dei nostri incontri, impresso del marchio della nostra esistenza.

“La nostra società nutre il proprio bisogno di sicurezza con l’istinto d’accumulazione”; bisogno d’assicurarsi, d’auto-garantirsi una profusione, un benessere, una saturazione materiale fino a toccare il gusto dell’eccesso, del consumo fine a sé stesso nel puro piacere, dell’ inutile spreco per il semplice bisogno di sentirsi cautelati, garantiti, preservati, auto-sufficienti nel proprio microcosmo autoreferenziale.
“Non ho trovato il principio d’accumulazione, è esso stesso che m’a trovato”, guardandosi intorno, lo si trova ovunque nella realtà. Le vetrine dei negozi ricreano cosmogonie in miniature d’oggetti di lusso o di beni di consumo. E ancora, negli scaffali stracolmi di cibo dei supermercati, nelle catene di distribuzione di massa, nella profusione di merci a basso costo, nella produzione seriale, nel sovra-peso dei corpi, nella ricchezza dei piatti, infine nelle pile di scorie, negli accumuli di residui, rifiuti difficilmente smaltibili che gravitano ai margini delle nostre società industriali.
Diventa anche la percezione inquietante nel nostro mondo, dell’invasione d’una massa di scorie tossiche, velenose, difficilmente liquidabili, potenzialmente distruttive come corpi estranei, nocivi gravitanti intorno alle nostre vite.

“Con le accumulazioni spero di tradurre anche le inquietudini sorte dalla riduzione degli spazi e delle superfici”, il restringimento dei nostri spazi vitali, abitabili, delle risorse prime che nutrono la terra, dell’acqua che beviamo, dell’ossigeno che respiriamo, nei lager moderni, l’invasione di ferro e cemento, le nostre secrezioni industriali, le scorie tossiche, radioattive seppellite al fondo degli oceani, potenzialmente tumorali, i fanghi, i liquami viscidi, oleosi che inquinano le nostre acque, i veleni e i rifiuti ordinari, i composti organici, le vernici tossiche, l’arsenico e il piombo.
“Vorrei arrestare la velocità, l’esplosione, la parcellizzazione, le particelle ricondotte al tempo, gli incidenti o gli accidenti dove il caso è sempre lo stesso e ancora una volta diversamente ripetuto






Le Accumulazioni in Arman
: l’oggetto preso nel processo di moltiplicazione può vestirsi d’un’aurea ironica, drammatica, parodica, opprimente o sovversiva; oppure essere semplicemente riassorbito, portato in rilievo dalla superficie. “Ho sempre preteso che gli oggetti si compongano da soli, per sé stessi. La mia composizione consiste a lasciarli comporsi… Il caso, nella misura in cui funziona su leggi universali, quella della quantità per esempio, non è più casuale ma diventa condizionabile. La mia materia prima di composizione.”

Home sweet home, è un’accumulazione asfittica di vecchie maschere d’ossigeno costruite in metallo, maschere-simulacro del viso con tubi di plastica e ferro gravitanti pesantemente verso il basso. Movimento discendente tendente all’entropia, ipostasi o ristagno di fluidi sanguinei e liquidi linfatici nell’organismo.

La collera sale misurata da un’accumulazione di manometri, strumenti ad alta pressione; lancette girano al contrario, sempre più velocemente, la temperatura interna al sistema sale. Pressione massimale, esplosione imminente. Misuratore di intensità: pressione interna, arteriale, venosa, ipertensione, ipersensibilità meccanismo lanciato a velocità folle, sconsiderata,
raggiunge un punto di non ritorno, e li’ s’arresta al culmine, prima di deflagrare, rovesciarsi come l’ultima goccia d’un vaso. E lì è arrestato su un supporto di legno e plexiglass.

Accumulazione di corni apocalittici d’avvertimento, ferri da stilo fusi e a metà re-incollati insieme in una massa plastica fredda, bombolette di insetticida per dissecare insetti,
bruciatori a gas, bunker, fornellini da laboratorio, orbite e contro-orbite,
toraci, braccia o arti di bambole in stracci, manichini, materie dure, pesanti in vetro, ferro e acciaio. Ruggine del ferro, lacerazione di stracci,
orbite tentacolari che si dis-orbitano, meccanismi che perdono le molle allentandosi dal centro, dis- funzionamenti di sistemi.

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