venerdì 28 agosto 2020

Tresigallo, città metafisica ieri e oggi

 

Tresigallo metafisica









Doveva essere il modello di una città utopica di impronta fascista secondo il progetto dell’architetto e urbanista Rossoni; Tresigallo nata dalle acque bonificate delle valli a inizio secolo venne occupata e riprogettata dall’ideologia del regime. Doveva rappresentare una città corporativa, un polo industriale in prossimità del borgo agricolo in grado di trasformarne le materie prime nell’ottica autarchica fascista. Il progetto avrebbe compreso la piazza-anfiteatro, il campo sportivo, la scuola di ricamo per ragazze, l’asilo, la sala da ballo, il teatro corporativo, infine l’edifico dei Bagni in un’ottica imperiale di auto-affermazione; opere pubbliche di stampo razionalista che dovevano riflettere l’ordine, il dominio, la potenza del regime. Eppure il progetto non fu mai portato a termine a causa dell’irrompere della guerra e della fuga di Rossoni; oggi, il fascino di queste architetture a metà sospese fuori dal tempo e dalla storia resta ancora sorprendente a solo pochi chilometri dalla città estense che per prima ispirò De Chirico. Tra la terraferma e il mare, in mezzo alle paludi, la cittadina emana tutta l’immobilità delle distese verdi e salmastre delle acque stagnanti tutt’ intorno. Parte di quelle valli furono all’inizio del ventesimo secolo bonificate come questo villaggio, all’origine un agglomerato di poche case che dava riparo ai braccianti al lavoro nei campi. Lì, sospeso quasi come un lembo di terra tra le valli e il mare.





Nonostante l’intento iniziale e per quel lavorio inarrestabile del tempo e delle acque che la circondano, Tresigallo assume oggi le sembianze di uno scenario cinematografico arreso a un passato incompiuto mentre sempre più evoca le ambientazioni  metafisiche di tanti quadri di De Chirico. Le citazioni alla sua pittura appaiono svariate qui anche se non sappiamo con certezza quanto provengano dal contatto diretto tra l’artista e questo luogo. Camminando attraverso le strade deserte e le piazze vuote del piccolo borgo nelle ore più calde del mezzogiorno si ha la sensazione di lasciarsi alle spalle la realtà per entrare in uno dei suoi quadri. Allo stesso modo ci si trova esiliati dal presente, immersi in un vuoto denso di malinconia, ricoperti dalla patina di calce bianca delle case basse e delle insegne che di tanto in tanto si stagliano immutate dal passato. Così, il colonnato dagli archi classici si protrae a perdita d’occhio sulla piazza principale e l’edificio dei bagni ,oggi rinominato “Sogni”, si staglia in lettere bianche sulle pareti indaco contro un cielo turchese. Come per uno strano gioco del destino gli edifici del regime sono stati gradualmente riassorbiti dalla dimensione metafisica in cui la città bagna. Così i turisti solitari si trovano a riposare accoccolati sugli scalini in pietra cercando l’ombra nel mezzogiorno mentre fissano a distanza quell’ “edificio dei sogni” e vedono proiettarsi lì, come in un cinema a cielo aperto, i fotogrammi celati del loro inconscio. Un pilastro arancio si erge più avanti al centro della prospettiva tra due linee di caseggiati bianchi in un ‘astrazione perfetta di forme. L’acqua verde riflette nella fontana circolare al centro della piazza i loro volti ignari contro il porticato circostante simile a un anfiteatro vuoto mentre esili tori guardinghi sorvegliano la fontana a distanza perché nessun visitatore venga a disturbare la silenziosa armonia del luogo. 




Piazza d’ Italia”, dipinta da De Chirico



Immensa e solitaria la piazza d’una anonima città d’Italia nel mezzogiorno appare negli ocra degradanti in gialli accesi e nei verdi smeraldi dell’orizzonte.  Le ombre si prolungano immense oltre le figure reali, attraversano lo sfondo soleggiato della piazza, fissano in lontananza il profilo della città. Una scultura classica, statuaria in bianco domina al centro del dipinto; arcate di edifici antichi si profilano ai lati mentre le ombre si prolungano nel controluce netto, incisivo, generato dalla piena luce del giorno. Due piccole figure restano a lato, anonime mentre le proiezioni delle medesime dominano al centro della scena. Abitano quell'ambientazione onirica, fuori dal tempo e dalla storia, frammista a citazioni del passato e immersa in una immobile visione d’assenza.

 



giovedì 13 agosto 2020

Banksy....a proposito di muri e di pace ( mostra a Palazzo dei Diamanti, Ferrara)

 


“I muri sono sempre stati i luoghi migliori dove pubblicare i lavori.  Contrariamente a quanto si va dicendo non è vero che i graffiti siano la più infima forma d’arte. ..il verità è una delle forme più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo ne ostentazione, si espone sui migliori muri che la città abbia da offrire e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.”





Più di cento opere e oggetti originali ci conducono attraverso la mostra ferrarese  a Palazzo dei Diamanti del noto quanto discusso street artist britannico Banksy  la cui identità resta tuttora avvolta nel mistero. Dipinti a mano, stencil e serigrafie simili ad affreschi popolari investono i muri del museo con questioni fondamentali della nostra società al centro della sua poetica, in primo luogo la critica stringente alle derive del capitalismo occidentale, la guerra, le manipolazioni mediatiche, infine, il controllo sociale contro la libertà individuale. L’insieme della sua opera diviene asserzione originale di una voce  discordante, ironica e dalla risonanza profondamente etica.  La sua è un’arte nata nelle strade di Bristol e di Londra fatta di incursioni solitarie nella notte, pareti rubate agli spazi colonizzati della città, luoghi pubblici investiti di graffiti, spray o acrilico al crocevia tra  pop art, cultura hip-hop e quella digitale d’oggi. L’artista sceglie di restare senza volto o meglio la sua identità emerge unicamente attraverso il comparire repentino e ironico di un alfabeto visivo inconfondibile in immagini o tag sui muri e gli edifici in giro per le città del mondo.  Come per non smettere di ricordarci il ruolo di un’arte autentica che elude la legge del mercato e si vuole libera, portatrice di una propria critica sociale, investita di un senso politico e globale insieme. Non elitaria ma che si espone, con gratuità allo sguardo di tutti.

“Se vuoi dire qualcosa e avere persone che ti ascoltano allora devi indossare una maschera. Se vuoi essere onesto devi vivere in una bugia.”

Banksy, auto-ritratto (2001)

Gli occhi irrompono attraverso la maschera di presunti occhiali rotti o sfregiati e arrivano dritti al cuore dello spettatore. Un rigagnolo di vernice verde oscura cola sulla tela. Lo sguardo attraversa la macchia colante al di sotto in un muro di silenzio. Percuotente, attraversa la barriera di anonimato gridando una propria verità dal volto-maschera appena simulato.

“Tutte le immagini nella loro equità mediano le relazioni tra noi come persone. L’intera vita della società è un immenso repertorio di immagini”.




Nella placard rats series Banksy si nasconde dietro le sembianze di un roditore che in una delle immagini della serie solleva un cartello rosso con la scritta “ esci finché puoi”. L’artista simile all’animale sotterraneo appare come una specie di strana creatura che si cela nel sottosuolo impugnando un grammofono per amplificare la propria  voce. Marginale, afferma la propria condizione di separatezza dalla superficie del mondo ma  dall’inferno che percepisce inizia a dar voce a una critica profonda di quella società , grammofono o cartello rosso su stencil nero alla mano. Lab rat tra i primissimi lavori del 2000 in vernice spray e acrilico_ all’origine pannello laterale di un palco allestito per un festival musicale_ appare come l’ingrandimento di una lente trasparente di vetro: esplosione di punti radianti, giallo vivo a metà tra la tecnica puntillista e il pixel dell’immagine elettronica. Tra le linee traspare il profilo iconico del piccolo roditore nero coperto o dissimulato dalla superficie luminescente e puntillista. Al centro dell’obbiettivo è l’occhio messo a fuoco, evidenziato in rosso come un bersaglio celato sotto il manto dorato: preso di mira, braccato come  il target da un esterno ipotetico mirino e, insieme, l’occhio vigile, attento dell'artista pronto a cogliere il fulcro del proprio 
soggetto. 



In un’altra immagine della serie lo stesso piccolo roditore è visto dipingere un grande cuore rosso su un muro invisibile, un pennello tra le mani, la vernice ancora gocciolante ai suoi piedi. Altrove, indossa un’uniforme da lavoro nera e una catena d’oro al collo di fronte a uno stereo portatile in cui si trasmette musica hip-hop dalla cultura underground newyorkese.  L’acronimo delle lettere POW , “Pictures on the wall”, “quadri sul muro”, è dipinto ugualmente in  vernice alle sue spalle.  Un grande cuore colante di rosso, un piccolo ratto nero ingigantito dallo sguardo dell’artista, ogni atto o simbolo, non importa quanto piccolo o insignificante appare degno di nota e può divenire centro dell’immagine simile a una lettera d’amore indirizzata segretamente alla propria arte. Come Banksy scrive: “ Loro ( i topi) esistono senza permesso, sono odiati, braccati, perseguitati, vivono in una tranquilla disperazione eppure sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà”. Lo “steet artist” allo stesso modo è l’outsider, il marginale che si sposta nei sotterranei della città, utilizza gli spazi collettivi, i muri come fossero le sue tele; incarna la rivolta contro una logica di potere che produce ingiustizia e discriminazione, infine, con il suo stile provocatorio  apre crepe sulla superficie del nuovo capitalismo globale.  Definisce la sua arte originale e non- vendibile, come i tag e graffiti apparsi misteriosamente nella città di notte in un alfabeto inconfondibile di segni a lui singolari.



Nola” è il nomignolo affezionato che gli abitanti di New Orleans utilizzano riferendosi alla propria città. La serigrafia si ispira all'inondazione che avvenne in seguito al collasso dei litorali che avrebbero dovuto proteggerla dall’uragano Katrina. La bambina appare sotto un ombrello dal quale pioggia oscura cade disegnando linee nere e oleose verso il suolo. L’acqua sembra provenire da dentro l’ombrello stesso; il mondo precipita ai suoi piedi insieme alla pioggia oscura, acida e inquinante che deposita un’impronta sinistra tutt'intorno insieme al nero dell’abito e dell’ombrello. Ancora in “Virgin Mary”( 2003) ribattezzata “Toxic Mary” Banksy utilizza il procedimento della dislocazione d’immagine: dipinti noti, cristallizzati nella memoria d’arte collettiva vengono manipolati e ricollocati attribuendo loro nuovo significato. Così questa Vergine tratta dall’iconografia sacra è vista nutrire con un biberon riempito di veleno il piccolo nascituro; possibile critica al ruolo della religione e dell’educazione oggi là dove la bellezza della Vergine, l’atto con il quale teneramente stringe il figlioletto al seno si accompagna al simbolo di pericolo di morte impresso sulla bottiglietta. Il nutrimento come educazione appare nel suo versante distruttivo in una critica stringente ai modelli occidentale distorti assimilati dai figli, bambini e adolescenti.

 

Wall and piece

“ Mi piace pensare che ho il coraggio di far sentire la mia voce, anche se anonima nella democrazia occidentale e domandare cose in cui nessun altro oggi crede come la pace, la giustizia e la democrazia”.

Il tema dell’anti-militarismo dominante in Banksy appare nella raccolta “Wall and Piece”, libro editato dall’artista stesso che raccoglie stencils, quadri modificati, installazioni, irruzioni dentro e fuori le gallerie d’arte tra il 2002 e il 2005. Tra i più significativi lavori su carta è “Love is in the air”, apparso per la prima volta nel 2003 a Gerusalemme sul muro che separa lo stato palestinese da quello israeliano nella zona più infuocata dagli scontri tra i territori occupati e Israele. Muro a cielo aperto, si estende per oltre  settecento kilometri_ illegale secondo il diritto internazionale_ controllato da una serie di posti di blocco che, nelle parole di Banksy “ha reso la Palestina il più grande carcere a cielo aperto del mondo”. Un giovane militante palestinese è rappresentato nel gesto  violento, esplosivo e pieno di rabbia di lanciare un’arma contro il nemico ma, qui, non si tratta di una bomba come ci si aspetterebbe bensì  di un mazzo di fiori, simbolo di pace e bellezza, conciliazione nel luogo primo del conflitto tra i due stati. Altri varchi di colore sono aperti dall’artista su questo muro di segregazione, squarci di un cielo azzurro che un bambino con un secchiello giallo è intento a dipingere contro l’aridità desertica intorno. Altrove, una scala bianca sale verso il cielo disegnata sul grigiore atono e incolore delle pietre, ora si apre uno scorcio tropicale, un gioioso cavallo in scuderia, una macchia di blu in mezzo al vuoto dominante.






In “Nepalm”, una serigrafia ispirata dalla guerra in Vietnam Banksy colloca sullo stesso piano il grido disperato di una bambina in fuga dalla città presa a ferro e fuoco dall'esercito americano, il sorriso ingenuo di Mickey Mouse e quello sardonico di Ronald Mcdonald. Straziante il ghigno di morte sul volto della bambina appare in contrasto con il sorriso agghiacciante stampato sul volto di Ronald Mcdonald che le tiene la mano. Banksy utilizza in maniera provocatoria la dislocazione del punto di vista sull’America, vale a dire unmontaggio dialettico tra il vedere sé stessi e l'essere visti con l’occhio dello straniero; mette a nudo il “politicamente corretto” del sistema americano  partendo dai codici identitari di quella stessa cultura di massa. 




There is always hope” Un cuore rosso vola verso il cielo nel celeberrimo graffiti di Banksy; la bambina tende la mano verso l’alto, verso quel simbolo di speranza e d’amore inseguendo il sogno che vede allontanarsi sopra la sua testa. Lo rincorre come una linea appena tracciata visibile all’orizzonte e verso cui si allunga il proprio profilo. Una piccola figura in nero sulla terra, avvolta d’oscurità, dissimulata d’ombre è tesa in un anelito verso l’alto dove un sogno volerebbe via come quel palloncino se lei non fosse lì pronta ad afferrarlo . Contro il  muro oscuro di potere sulla terra, fluttuante come una scia luminosa verso il cielo.

Laugh now but one day we’ll be in charge”, “Ridi ora ma un giorno saremo noi a comandare” titola uno degli stencil conclusivi alla mostra mentre una scimmia nera che solleva sul petto il cartello contenente  il messaggio.  Ancora una volta la sua arte sembra restituire la parola ai margini della terra o a quelli che si trovano all’opposto del sistema capitalista dominante , agli antipodi dei monopoli di potere, contro-corrente o ponendosi in  opposizione ad esso. Ancora una volta assistiamo a uno spostamento di prospettiva dal centro alla periferia, dall’unico alla pluralità, da un’arte colta e elitaria a una della strada democraticamente condivisa da tutti e come tale immersa nella cultura hip-hop, nell’ underground e nel sincretismo dell'epoca globale.