mercoledì 22 dicembre 2010

"I visi e i corpi", museo del Louvre, Patrice Chereau






































“Presto, oggi, domani, al cuore stesso del Louvre, nella grande hall dipinta in rosso, con i quadri sommersi nell'oscurità”, le figure dei passanti, dei visitatori casuali si disegneranno proiettati come silhouette impersonali contro le immense finestre o sulle superfici riflettenti delle grandi tele, neoclassiche o barocche, comparendo in concomitanza ai loro soggetti , mentre questi retrocedono dileguando come semplice sfondo.
In questo spazio che s'apre in profondità le sale, le scalinate, gli ampi antri in marmo bianco costellati di statue e capitelli, si offrono come una scenografia vivente, antica e maestosa, solitaria e abitata da una sobria eleganza.
Scintillante, lucido il marmo lascia correre lo sguardo al suolo da un salone all’altro,
bruno, rossiccio, dalle inflessioni ramate ora cupe: materiale nobile, freddo, riflettente nell’immobilità della morte.
Le voci risuonano, prendono eco, potenza, rilievo in questi saloni immensi, vuoti, perduti nella penombra della sera. Le finestre rinviano alla scenografia naturale dei giardini esterni dell'antica dimora regale.
Sentieri ghiaiosi simmetrici, perfettamente tracciati si alternano a una geometria di forme euclidee, triangolari, irrorate d'acqua aprendosi verso l'alto a contatto con il cielo plumbeo della capitale, aprendosi ancora in profondità nell' architettura ugualmente trasparente della piramide: cristallo rifrangente dove la pesantezza della pietra, la sontuosità della costruzione classica si infrange e decompone contro le multiple sfaccettature della grande eclissi.








































L'allestimento al Louvre di Patrice Chereau “ Dei visi e dei corpi”, é un modo singolare di raccontare il mondo fuori dall'immobilità atemporale di un museo attraverso uno "sguardo desiderante", il suo ma anche il nostro, quello che lo fa amare, sorprendere, cogliere un viso, un ritratto, una figura fuori dal suo contesto storico come fosse la prima volta che venga rappresentata, portatrice d'una freschezza nuova oltre l'intenzione di chi l' ha dipinta e al di la' della sua diacronia storica: “Corpi desideranti in movimento, spazi vuoti e trasfigurati, parole scritte".
"Poter abitare questo spazio fino a farlo tornare vivente”. Si tratta per Chereau in qualche modo di voler legare pittura e fotografia, le opere più diverse, più distanti temporalmente e stilisticamente assimilabili sulla base di corrispondenze poetiche: “corrispondenze segrete che le sono proprie, liberate dalle costrizioni della cronologia, della classificazione per scuole e generi”.

Corrispondenze poetiche: gli studi sul viso o sul corpo, sul dettaglio, in senso fotografico per i visi implicitamente stabiliscono una serie di rinvii tra le immagini, giustapposizioni forzate o contrasti stridenti, al limite completamenti paradossali tra le figure. Come se un'immagine dipinta o fotografica ne nascondesse o suggerisse un'altra non visibile, in-poetica, virtuale, una sorta di retro-testo o pittura di fondo, una sorta di esterno della cornice, che esce dal quadro, e in qualche modo virtualmente completa l' immagine reale, l'altra totalmente illegittima, necessariamente contraria alla prima.



Francesco del Caro, “San Sebastiano”/ Nan Goldin, “David in bed”
Da un lato la fotografia, una stanza d'hotel, la luce elettrica, fioca d'una lampada contro il chiarore mattinale. La massa nebbiosa della figura é messa a distanza, volutamente confusa nel disordine circostante, nel disfacimento della camera, della coltre di fumo, delle coperte. Un uomo é ripreso con effetto flou, quasi non consapevole della presenza della macchina fotografica, fumando disteso sul letto, semi-nudo.
Dall'altro lato, un dipinto del XVII secolo, il corpo di un giovane santo dalla bellezza ieratica è illuminato, in primissimo piano, da una fonte di luce diretta sul suo torso, sofferente e come colto in una sorte di rapimento estatico o grazia divina discendente su di lui mentre un altro personaggio, molto più vecchio, in retroscena, Irene, si avvicina per curargli scrupolosamente le ferite.
Messa a fuoco diretta, plasticità assoluta nella figura del santo, sensualità che trapela nello sguardo della donna velata dal contesto religioso, rapimento estatico-sensuale.

Allo stesso modo, il ritratto di Aline Chasseriau del 1835 viene messo in dialogo con un'altra fotografia di Nan Goldin: da un lato l'esasperazione, il rigore, l'austerità del puritanesimo borghese della fine XIX secolo, dall’ altro il modello vivente, la sensualità di questo corpo che s'offre nudo e sommerso d'acqua, in una vasca da bagno, al più grande voyeurismo dello spettatore. Sulla tela, è il pallore d'un volto asettico, privo d'ogni indice di sensualità manifesta, l'abito nero abbottonato fino al collo contornato da trine bianche, il fazzoletto alla mano intriso di profumo. Il costume serra la figura femminile, l'imprigiona, impedisce questo corpo dentro la forzatura d'un codice “vesti-mentale” immutabile, storicamente determinato, implicitamente censurante per il soggetto. Paradossalmente, quello che é cancellato, rimosso nella prima immagine ritorna manifesto, vivificato, esploso nella seconda, in questa corrispondenza o messa in relazione forzata tra le due: sensualità e esasperazione di presenza nella fotografia di Goldin, sguardo frontale all'obbiettivo, illuminato, richiamato nell'attrazione del suo darsi, mettersi a nudo letteralmente di fronte a noi, il corpo sollevandosi di profilo dall'acqua.

Nello stesso allestimento, al Louvre, troviamo le anatomie frammentate di Gericault, studi su singole parti di corpo, arti, braccia o piedi estratti dai suoi lavori preparatori per le grandi opere successive, studio anatomico con dorso messe in evidenza per La Zattera della Medusa, ritratti di vecchi come l'autoritratto del Tintoretto, di folli come la vecchia monomane di Gericault; volti deformati in modo espressionista provenienti dalla tradizione classica come i ritratti di Luca Giordano o quello completamente defigurato di Michel Leiris, dipinto da Bacon, vicino a ritratti di diverse epoche figuranti nel pieno canone stilistico della classicità.

Far uscire le opere dalla museificazione che, ancora, le imprigiona in una sorta di bellezza statica, immutabile, ideale; cercare l'anti-classico nel pieno classicismo, opporre l'anti-estetica della de- figurazione, della frammentazione, o semplicemente lo spazio d'una singolarità non riconducibile a un codice estetico unificante al modello d'una bellezza astratta. Far ricomparire, tirannica, presente, universale la vita nella giustapposizione d' opere e fotografie tra passato e presente. Cercare in questa “ferita aperto del nostro tempo” , nella sua minaccia permanente e sottile di distruzione, lottando per ritrovare ancora, “ non fosse che il tempo d’un istante, un piccolo istante, un vero ansito di bellezza”.

P. Chereau : “La vita, la passione folle e il desiderio si scontrano contro l'irruzione oscena della morte, di generazioni che si estinguono e scompaiono, la morte che vorrebbe riprendersi tutti i diritti e finire per avere la meglio”. Le sale vuote del museo dove i corpi sono impediti e si scontrano tuttavia, sbattono contro i muri, si dibattono e lottano invano, la morte di un’ intera generazione. E in questo campo di battaglia le ombre del desiderio e dell'immobilità si ritrovano,
si fronteggiano in un faccia a faccia mortale, in uno scontro violento quanto invisibile” .

“ Il pericolo, il vero pericolo é quando il tempo non é più sospeso ma arrestato, quando il gesto non é più in divenire ma fissato, quando la morte ha definitivamente spento ogni speranza di sussulto.
I visi e i corpi muoiono veramente solo quando hanno rinunciato a trasformarsi”.

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