lunedì 25 gennaio 2010

Christian Boltanski ( II )













































Giocare nel senso teatrale del termine, non con parole ma con segni nello spazio,
lanciati nello spazio, depositati, lasciati allo sguardo dello spettatore, non per essere detti ma per essere sentiti.
L’idea d’artificio. “Non si tratta di realtà ma di far sentire la realtà (interna), qualcosa di talmente complesso, qualche volta bisogna mentire”.
Inventare finzioni, affabulazioni, racconti di una memoria inesistente, irrecuperabile a priori, re-inventata come una "vita possibile", la vita di tutti e nessuno; montaggio, collage di frammenti provenienti da archivi diversi nell’impossibilità di scrivere una vera autobiografia.
L’artificio, forse, che si domanda per andare più a fondo a una verità;
la dichiarazione, infine, d’una aperta asserzione d’oblio come ultimo ancoraggio alla memoria.


“Il luogo è talmente forte, parla già talmente in sé che più importante è mostrare”, metterne a nudo la struttura, intervenire in quello che è dato;
lavorare partendo dalla realtà di quello spazio, smisurato e insieme fatto di vuoto,
costruire l’opera partendo da tale vuoto. E’ un collage, come mettere insieme elementi diversi, tempi e qualità proprie di materiali fino a costruire linee,
investire una spazialità virtuale per farne un vero e proprio universo sensibile.

Si è all’interno di un universo dove accade qualcosa”. Lo spettatore deve avere il senso di affondare all’interno di questo spazio altro, “immergersi “. Non sarà “di fronte all’opera ma dentro l’opera”, afferma Boltanski, dentro l’atmosfera ipnotica, opprimente, ripetitiva della scenografia d’insieme, (“spero che avrà freddo”), dentro una certo uso della luce, al mattino o all’arrivo dell’oscurità. Farà l’esperienza del luogo nel tempo, in una durata che andrà sottilmente, inevitabilmente a cambiare il senso della sua percezione là dove tutti gli elementi dovranno convergere verso una visione d’insieme, un sentimento comune come in “un’opera totale”.

Isolati da un grande muro, tagliati dalla realtà esterna entrando, un muro fatto di scatole d’archivio, anonime, fredde, rugginose,
montate l’una sull’altra rinviando alle pareti delle urne cinerarie cristiane.
Tagliati dall’esterno come in una specie di “passaggio dantesco” , la separazione necessaria per discendere verso questo altrove.


“La mia opera parla dell’unicità di ogni essere umano e della sua fragilità. Ognuno è unico e, allo stesso tempo, scompare nella memoria degli altri talmente rapidamente. Ho immaginato un’isola in Giappone dove saranno raccolti migliaia di battiti di cuori. E’ un modo per tenere insieme degli esseri umani. C’è questo fatto strano, che più si cerca di salvare qualcosa più essa scompare. Non si vede tanto bene la morte di qualcuno che quando si guarda la sua immagine in fotografia ….”
La fotografia è necessariamente illusione di presenza, arrestando un momento, fissando un volto, avendo l’illusione che mai scomparirà, che sarà sempre lì come un segno scritto, inciso di fronte agli occhi, avendo l’illusione di averlo sottratto al tempo, al processo di distruzione, alla cancellazione della morte.

Immortalare: rendere immortale; ma, paradossalmente, fotografare è dichiarare apertamente il fallimento di tale intento, l’immagine fotografica portando in sé il segno di una di-sparizione, la cosa che è là e non è più, una delle tracce più evanescenti che si possa immaginare,
un passaggio della luce, un segno sublimato nel vuoto di una reale presenza;
l’istante passato che non potremo più recuperare,
la traccia anche di un’assenza incisa nel bianco e nero di una figura che ancora e sempre continua a sfuggirci
restando lì , impressa, chiara di fronte agli occhi.

“ Essere umani è lottare, lottare per conservare la memoria, per conservare delle presenze umane e fallire, necessariamente, in questo intento. Come una piccola parabola sul fallimento e l’impossibilità di lottare contro il destino. Interrogandosi sulla casualità della vita, sulla vulnerabilità dell’esistenza.”

“ L’arte è un tentativo di impedire la morte, la fuga del tempo, una lotta che non è possibile vincere, una forma di fallimento a priori. Tutto il lavoro d’archivio che ho fatto dall’inizio risponde a questo desiderio di mantenere una traccia, desiderio d’arrestare la morte.”


Nessun commento:

Posta un commento