martedì 17 dicembre 2013

Su "La grande magia" al Mambo di Bologna, (II PARTE l'artista alchemico e demiurgo )










L’artista alchemico,  “la canoa” di Zorio









L’alchimia secondo il sistema filosofico-esoterico tramandato segretamente per secoli è trasmutazione dei metalli in oro, del piombo in ciò che brilla e risplende nell’uomo come la ricerca della sua perfettibilità, d’una prolungazione infinita della sua vita per vincere la malattia, la corruttibilità della materia nel tempo attraverso la sua conversione immutabile in oro. Trasformazione della materia dal “vile piombo” all’ “oro filosofico” dunque ma anche psichica e spirituale dell’essere umano implicato nel processo. L’alchimia, in questo senso, diventa metafora dell’operare dell’artista, del processo di distillazione operato dal lavoro artistico partendo dai suoi coaguli di materia grezza, dalle scorie e le squame della sua esistenza sensibile, dalle aperture che gli offrono gli elementi come le cose del mondo, dunque il processo di sublimazione implicito che opera l’arte, in linguaggio in primo luogo nei suoi meccanismi costantemente partendo da presupposti o pretesti molto più bassi, primari, perlopiù inconsci.

La luce trattenuta tra le mani generatrice d’oro in Penone

Le isole fluttuanti del disegno a carboncino di Christo ricoprono a raso la superficie d’acqua, dischiuse come lettera aperta e poi ricucite nel collage su una missiva senza indirizzo.

Le “impronte di piedi” ( Richard Long) intrisi di fango generano un grande reticolo di forme d’ una pittura dell’accidentale, dell’azione estemporanea, dell’intervallo del corpo nell’impromptu musicale dell'improvvisazione.

 Calchi di figure in gesso fissamente si guardano nello spazio chiuso d’una “mise-en-scene” fittizia al centro della galleria: i loro occhi di vetro entrano in contatto in questo spazio ermeticamente blindato costruito dalle traiettorie dei loro sguardi entro un tempo sospeso, nell’avvenimento di qualcosa che pur accadendo di fronte a noi resta li' cripticamente estraneo .

La “canoa di Roma” di Zorio, rovesciata e sospesa al soffitto in resina poliestere e tubi d’acciaio accompagnata da un fischio premonitore si fa vettore d’infinite trasmutazioni dentro la materia.
E’ “luogo” perché raccoglie energia in uno spazio ristretto, fluorescente all’interno dello scafo e poi la riproietta in linee di forza attraversano l’intera galleria;
E'elemento simbolico perché come pochi altri in Zorio, giavellotti, stelle ecc., apre all’artista un passaggio verso una dimora originaria, un’energia primigenia della materia.
 E’ archetipo di viaggio e movimento, dunque portatore di memoria e, come linea che traccia nell’alto attraverso lo spazio, anello di ricongiungimento tra passato e futuro. In aria sospesa al contrario, sottile e rilucente nella sua resina oscura, saldata in sottili tubi d’acciaio ai lati si fa vettore d'una comunicazione che ricongiunge spazi, dimensioni e saperi provenienti da diverse temporalità e esistenze, oggetto alchemico per eccellenza.




Corpo sciamanico, corpo performativo

Le sciamano nella sua capacità di conoscere e contattare le forze della natura, delle piante, degli animali, di viaggiare nei mondi, di entrare in contatto con l’aldilà di questa realtà coinvolge il proprio corpo-spirito nell’espressione di gesti e rituali, nel ripetersi di formule, movimenti e suoni talvolta fino a riuscire a farsi tramite di un'altra dimensione.

Il corpo, ugualmente, nell’esperienza performativa contemporanea si fa vettore di pensiero e di senso, strumento espressivo altamente ritualizzato, spesso prestandosi al gioco simbolico delle sue molteplici interpretazioni. Non solo appare nell’evento visivo della performance ma anche nell’esperienza trasformativa, nell’accadimento che in esso esperisce vive o attraversa.

Shirin Neshat “speechless”

Il volto è visto nel dettaglio del metà-viso, simmetricamente guardato e espanso in questa solo esatta metà del suo emisfero sinistro da cui emergono occhi neri, intensi e brillanti, risolutamente gettati contro nell’atto del guardare, nell’azione di puntare gli occhi all’esterno , di soffermarsi e arrestare il proprio sguardo su qualcuno o qualcosa ed indagare la realtà attraverso esso: atto conoscitivo e desiderante, analitico e sensuale del farsi tramite al mondo attraverso la via d’accesso privilegiata dei propri occhi. Tuttavia, sempre, l’inviare è anche un ricevere di ritorno, l’indagare attraverso la soglia del proprio sguardo è anche un offrirsi, l’essere nudi in quello sguardo, nel dettaglio analitico del proprio auto-ritratto. Il volto dell’artista appare senza remore espanso, ingrandito e auto-esposto, completamente nudo in quel suo farsi tramite d’immagini al mondo, fotografiche o filmiche, solo frapponendo una leggera pellicola quasi invisibile tra lei e l'esterno, sottile e effimera quanto i simboli grafici che le ricoprono il viso.
Saturo di scrittura, di minuscoli caratteri amplificati, appare nel suo magico rivelarsi attraverso occhi grandi,attoniti, parlanti in sé.




Fotografia e magico



“Misterioso connubio tra tecnica e magia, tecnica che combina ottica e chimica” come sottende la mostra, la fotografia fissa l’immagine sensibile prodotta dalla luce in infinite tracce cartacee o digitali del mondo. Lo sguardo rivelatore del fotografo trasforma le forme del quotidiano, cattura immagini rubandole al flusso continuo e indeterminato dell’esistenza, degli avvenimenti più banali, dei dettagli o delle anomale apparenze, documenta ma anche dà corpo, dà voce alla propria interna visione alle cose. Come nel magico supera i confini apparenti di realtà qualche volta in favore di immagini fantomatiche nate dal fondo della propria esistenza cosciente, immemore o immaginativa.

Nella serie:

Mani femminili eleganti e nobili in primo piano, un volto di donna allo specchio in auto-ritratto d’inizio novecento, ancora il suo riflesso in dissolvenza malinconica,  
la forma epurata ed essenziale d'una madreperlacea conchiglia ingrandita su un fondale roccioso.
Manipolazioni di visi simili a maschere riplasmate in dagherrotipi di inizio xx secolo.

 “Self-portrait past, present”: ritagli inediti di collage fotografici estratti a caso dal flusso temporale d'un esistenza.
 I visi perduti, fossili e bucherellati di Ulisse e Ercolano, la magia rituale d'una danza di cerchi d’oro e corpi in onda continua.
La solitudine di luoghi essenziali assorti nel silenzio della preghiera, varchi e passaggi perturbanti di vicoli stretti e oscuri nel quartiere ebraico di Praga all'inizio del xx secolo.

Forme di piante e vegetazione sono trasposte attraverso il dettaglio, la deformazione e l’espansione,
piante morbosamente espanse divengono labirinti carnivori, forme fetali, spine affilate, cactus o leggere ali di farfalle.

Rocce gridando l’urlo di immigranti anonimi come bocche parlanti, come fauci su fondali oscuri, traslucidi e brillanti. Crateri urlano il canto di rocce vivide, animate di presenze allo sguardo.

 Rompere la parete del suono o del silenzio ed essere rigati, nelle immagini di Richter, soffocati o graffiati, incisi di baci espansi in striature violacee, in scarabocchi di pennelli impazziti su auto-ritratti di volti ordinari.




La figura dell'artista demiurgo o creatore riplasma come attraverso un rituale magico le apparenze del mondo in chiave immaginaria secondo leggi interne al micro-cosmo dell'opera là dove il mondo si offre come occasione di metamorfosi poetica, la materia, qualsiasi, la più marginale come la più rara, frammista, recuperata, mischiata o rivoltata, diviene potenziale in un processo combinatorio ogni volta inedito che darà vita all'opera.

“Urlo bianco”, Gunther Uecher



Sono chiodi neri e affilati, sottili e infiniti nel loro potenziale di distruzione e ricomposizione, nel loro gioco tra rigore e caos, forze centrifughe e nucleo volgendo all'esterno in un moto concentrico di ricomposizione e disintegrazione costante. E' l'incastro infinito di chiodi sottili e acuminati, ognuno in una distribuzione sapiente di punti dando origine a un vortice simile a fontana o cascata in espansione voluta,
nel disordine organizzato della propria forma dal centro alla periferia,
 nello smantellamento controllato della medesima in punti simultanei distanti e tuttavia ancora connessi.






“Simultaneo” di Matthias Weischer

E' questa grande ovazione del verde e del bianco distesi come pasta densa di cellulosa colorata aggiunta ad acqua su carta, data per simmetriche alternanze di forme astratte e poi in guizzi improvvisi e fluidi di colore, in onde riplasmate e lavorate direttamente sulla superficie immensa del quadro prima che la materia dissechi. Verde smeraldo giardino di cristalli di malachite,
verde città di forme e guizzi della memoria con rete bianca e cerchio a sfera al centro;
verde snodarsi di grandi linee rasserenanti alternante al bianco in energia calma e luminosa .
Verde del colore del mare visto dalla superficie terrestre, della densità piena dello spazio acquatico visto come massa tangibile di cose che sedimentano ma anche nel guizzo improvviso,
 nel movimento rapido e inatteso, nell'aspetto volatile e leggero dei pesci e delle creature d'acqua.




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