venerdì 28 dicembre 2012

su "Apocalisse e Rinascita", Felice Nittolo, (galleria Niart, Ravenna)







Bufera di rosso, turbinio di colpi, colate di rosso colore intenso, condensato o disteso a spanne, a pennellate irregolari per questa serie pittorica astratta e informale ispirata al tema Apocalittico della fine del mondo ( secondo il popolo maya fissato nella data del 22 dicembre '12). Nel testo biblico l' Apocalisse di Giovanni coincide con la venuta messianica del nuovo regno dello Spirito portato dal Cristo dopo il giudizio finale, alla fine della lotta escatologica tra la forze di luce e di tenebre, con la discesa dal cielo della nuova Gerusalemme celeste come l’avvento di un mondo nuovo, d’una nuova terra illuminata dalla fiamma divina perché il cielo e la terra precedenti erano affondati sotto il peso dell’iniquità degli uomini. Tale dimensione metafisica, profetica di “fine del mondo e “rinnovamento” del medesimo ispirata al tema apocalittico appare immediatamente riassorbita e infusa, fatta passare direttamente nel sostrato d'una pittura colore e sostanza di Felice Nittolo, filtrata nella sua più pura vibrazione cromatica –dalla vitalità violenta del rosso all’energia rigenerante del verde- tale, il gesto inconscio, istintivo che si unisce al supporto materico nel tracciato astratto d'un segno per dare vita all'avvenimento pittorico.


Nella prima parte del testo biblico di Giovanni dopo l’apertura del settimo sigillo seguono i suoni di sette trombe aprendo i quadri dei diversi flagelli in cui è gettata l’umanità per esecuzione del decreto divino, monito e castigo insieme di fronte al dilagare del male, della crescente empietà degli uomini su terra. “La terra profanata dai suoi abitanti che hanno trasgredito le leggi, disobbedito al decreto, infranto l’alleanza eterna”(Isaia). Per questo il cosmo a tutti i livelli è colpito, per questo fuoco o fiamme ardenti insieme ad altre catastrofi sono gettate sulla terra, sui mari, nei fiumi o nelle sorgenti. I flagelli scatenati da sette trombe prodotti dal fuoco celeste arrivano su terra insieme a scoppi di tuoni, clamori, fulmini e scosse di terremoto. “Appena il primo suonò la tromba grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra, un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò.” (Apocalisse . 7)

E’ grandine di fulmini a cui si somma una pioggia di sangue il flagello annunciata dalla prima tromba cui seguono nel testo di Giovanni “una montagna di fuoco scagliata in mare”, il mare trasformato in sangue”, i fiumi, le sorgenti delle acque contaminati da un veleno mortale, gli uomini morti a causa di quelle acque amare, infine la venuta dell'oscurità sulla terra, lo spegnersi del sole, della luna e degli astri nella perdita della luce divina.



“Apocalisse” nell’omonima serie pittorica è distruzione, fuoco devastante, caotico e inesausto rovesciamento di ogni fine del mondo.

Pittura-sostanza, pittura materia e traccia, l’energia particolare di un colore.

Bruciante il rosso è vibrazione vitale, violenta, discontinua salendo a vortice fino alla propria estinzione.

Rosso è sangue, infernale divorarsi o bruciare degli uomini ai demoni della propria iniquità , pennellata materica, fiamma ardente, viva.

Rosso sono queste tracce spesse, corpose, ampie, colate di colore o sangue, grumi di materia, impronte di dita, turbinio nel quale l’energia fluisce, confluisce in una sorta di bufera di tracce, punti o coaguli irregolari.

Turbinio è energia di un tracciato che si propaga intercalato da zone di bianco vuoto, poi concentrazione del medesimo come vorticante in un magma inclusivo, destrutturante o distruttivo per le forme; è sostanza-colore che rapisce e travolge generando il caos contro la vacuità apparente dei bordi, il propagarsi di bianchi interstizi, lo spaventoso aprirsi di margini dilaganti.

Nei manichini deposti al suolo “Apocalisse” sono queste teste recise dal corpo, cadute come meteoriti dal cielo sulla terra, schiacciate al suolo, implose e pietrificate, lasciate colare di rosse tracce laviche, prese a colpi di puntello o d’ascia sulla testa, aperte in varchi irregolari lungo la figura, frastagliate , trafitte, prese a colpi di scure, fatte colare in sangue che poi condensa in aggrumi , in pigmenti di vernice purpurea sulla nuca, la fronte o lungo le spalle.

La cromia del rosso nel suo potere distruttivo è vortice che investe, travolge e rovescia, vortice infernale, turbine d’energia percuotente accumulandosi in sedimenti, grumi o impronte di dita, impronte d’un tracciato-magma con punte di addensamento in tracce e bianchi varchi vuoti intorno.




“Rinascita” spunta come un verde prato dalla terra la mattina del 23 dicembre nell’istallazione in loco, un prato impiantato temporaneamente sul suolo della galleria dopo l’attraversamento della data fissata, reale o simbolica, stabilita o virtualmente indicata come spartiacque, limite, mot de passe, parola di passaggio o varco d’attraversamento d’una presunta fine , tale il rovesciamento dello status quo dell’era precedente, del regno del caos e delle tenebre in cui era precipitato il cosmo. L’impulso luminoso, leggero, lieve e rigenerante del verde si irriga e si nutre della trasformazione del turbinio distruttivo e vorticante del prima su questo suolo regolare e uniforme che sorge dalle profondità della terra, dall’humus freddo, umido della medesima in un'infinità di filamenti d'erba su cui si è invitati a camminare a piedi nudi. Nasce questo prato irrigato della freschezza umida di primule e steli verdi la mattina del nuovo anno come l'energia verdeggiante, rigeneratrice d’ una nuova ecologia dell'anima e del pianeta insieme, e lo si ritrova come un'unità armoniosa, come un'asserzione poetica contro il passaggio distruttivo della bufera, del caos vorticante e apocalittico d'ogni fine del mondo.

Dentro tale bagno cromatico di verde la natura ritorna come una superficie mosaicata a vivo, fili e tasselli regolari impiantati su un selciato d'erba dove poter riposare, rigenerarsi, rinascere in una prospettiva più serena e luminosa. Sullo sfondo, sui muri restano i lasciti, le tracce, i frammenti della rossa bufera, d'un mondo esploso e violentemente partito a pezzi, in mine vaganti, il magma violento di impronte di dita, di mani, di colpi e pennellate materiche, ai margini del suolo i manichini tronchi del terreno bombardato dalle mine esplose, delle meteoriti cadute, dalle teste schiacciate al suolo, i corpi aperti da lato a lato da pezzi d’ascia. Mentre le pennellate, i colpi del rosso si smorzano nella seconda sala si è lentamente immersi nella metamorfosi del verde. Il tracciato performativo dell'istallazione si attraversa come a piedi nudi un prato passando da una spazialità a un'altra, da una temporalità a un'altra, da un immaginario apocalittico e infernale di fine del mondo, dalla vibrazione d'un rosso bruciante, sanguigno e violento che come traccia invade e imbratta le superfici, divora e corrode i corpi, da questa violenza insita in una sorta di devastazione provocata dagli errori e le follie dell'umanità a una sorta di visualizzazione creatrice, di nuova ecologia dell'anima individuale e planetaria; una poetica che lega inscindibilmente in binomio il campo vitale dell’uomo a quello di un cosmo visto come pianeta rinnovato.




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