mercoledì 9 gennaio 2013

"The five states of nature", video-installazione di Alessio Ballerini, Galleria Adiacenze, Bologna



"Fugaci manifestazioni del metafisico permeano l'Essere intorno e dentro di noi"




Soundscapes sono ambientazioni acustiche, musiche composte da computer e annessi, chitarre, tastiere o violini, musica elettronica e rumori, per creare atmosfere sonore, dare un'esistenza fisica, sensibile e concreta a stati dell’essere o dell'esistenza,
pensati per dare una sonorità a una determinata realtà emozionale o percettiva, cosciente o subcosciente fino a quel momento rimasta tacita,  inconoscibile perfino prima che si arrivasse ad associarle una tonalità  che implicitamente la rivela, si rivela come giusta, risuonante simile a una vibrazione dell'anima.
I "Soundscapes" nascono da una sincronia del tutto aleatoria, paradossale quasi, scaturita dall'incontro casuale quanto esatto di suoni, rumori, o captazioni di un campo sonoro esistente in natura, poi dall'intromissione di strumenti acustici  in accordo o contrappunto al medesimo.

Le atmosfere sonore, i paesaggi acustici creati da tali commistioni di suoni e rumori ambientali nel lavoro di Alessio Ballerini si appoggiano alla fisicità di immagini video, disegni o fotografie perché il suono, in primo luogo esiste nello spazio e avviene come un avvenimento intensivo, tensivo, tale la concentrazione d'energia in una forma udibile ai sensi. Possiede una fisicità propria che attraversa lo spazio fisico prima di divenire paesaggio interiore, prima d'essere investito d'una vibrazione emozionale precisa,
di trasmettersi come l'atmosfera sensibile d'un luogo, d'uno stato d'essere, d'esistenza. Anzi, nelle istallazioni di Ballerini esso diventa il filo conduttore, l'asse portante d'un paesaggio emotivo che affiora, si lascia percepire e comprendere attraverso la musica spesso in contrappunto o in dissociazione voluta con quello che l'immagine narra.

Cosi', nell'istallazione Human Tree ad “Adiacenze” disegni a macchia o ad acquarello, essenziali tracciati di paesaggi astratti in bianco e nero simili a vibrazioni o onde sonore aprono la via alle immagini video composte in concomitanza alle composizioni musicali.


Il video “I cinque stati di natura” è un viaggio attraverso cinque stati dell'esistenza sensibile come una sorta   di attraversamento fisico e simbolico, un viaggio della metamorfosi del corpo danzante a stretto contatto con le forze prime, primarie della natura in un cosmo permeato dai segni della presenza  dell’invisibile nelle sue proprie forme come in quelle dell’umano. Lo spazio esterno è visto nella purezza incontaminata d'alberi e distese boschive, di superfici liquide e riflettenti coperte di tenue ninfee e corsi d'acqua avvolti d'una lieve patina di gelo. Si alternano dirupi, gole, incavi di rocce profonde aprendosi tra quelle e pareti carsiche graffiate e incise di neri segni a stretto contatto con le braccia,  il torso e  le spalle del corpo che danza; i suoi gesti e segni permeati  di segrete corrispondenze con quelli rinviati dalla natura.
E’ uno spazio primitivo, poetico, non ordinato quello che la figura femminile attraversa nella danza; ricoperto di foreste, immerso tra dirupi e montagne, cadenzato dal fruscio lieve delle acqua in un moto continuo ma distante di cascate, poi in accordo al grande respiro del vento. La sua vibrazione si lascia udire come una nota, continua, aerea e impercettibile quasi tra immersi  tronchi d’alberi, pareti verdi, distese di rocce carsiche sommerse e sfiorate dall’ incedere lento della figura.

 Il corpo femminile danzando opera questa mediazione con la natura, tra l'umano e il divino in senso lato, vive tale assimilazione in senso sciamanico, cosmico  quasi, della natura nella sua parte di infinità all'essere proprio dell'umano. Il viaggio è dunque  percorso nella transizione in alcuni stati  o momenti essenziali dell'esistenza: conoscenza, caduta e  purificazione. Lo spazio è quello  incontaminato della natura,  l'inoltrarsi negli abissi d'una selva o foresta fino alla sua oscurità, fino al non-sapere che è anche quello del nostro proprio inconscio. 
“Self-discovery”   è esplorazione,  scoperta dello spazio esterno del proprio esistere, “la ricerca del senso”, della strada da percorrere, di sé stessi in quanto individualità nello spazio proprio al corpo poi nel suo esterno proiettarsi attraverso l’avvenimento della danza.
“Joy and strenght” sono la forza e la gioia, l’inesausto fervore, giovanile ardore, la vitalità e l’impulso alla vita, alla continuità, al movimento. Segue “la presa di coscienza” della natura umana nel dolore, nella caduta, la cacciata dal paradiso edenico, terrestre, infine la coscienza del dopo, nel ritorno alla fine della traversata.







“Self-discovery”

Corde tese di neri fili intrecciandosi in un reticolo-gabbia d’oscurità; l'incedere lento tra le profondità boschive come attraverso gli strati più profondi della propria mente.
Effetto fluido, grigio e irradiante del paesaggio dai contorni diafani di luce. 
E' l'esplorazione luminosa dello spazio attraverso dettagli di rami, d'alberi, tronchi o parti di selciato, poi  per parti del corpo, torso, mani e braccia nell’atto  di muovere passi, avanzare e infiltrarsi tra i rami, i roghi e i cespugli in gesti lentissimi. 
Nell'incedere incontra le difficoltà del cammino, la durezza della pietra, gli antri scavati o corrosi, le superfici intaccate o incise, l'asperità della roccia in immagini difficilmente riconducibili a un piano di riconoscibilità immediata.
Solarità opaca dai contorni non visibili, ora sull’ erba il corpo è raccolto.

 Dissolve la figura nel tutto nella foresta, in macchie di luce trasfigurate sullo schermo. 
 Irradia come questa nebbia opaca e luminosa che tende a cancellare i contorni dalla foresta, dal cuore in onde eccentriche dileguando dal centro alla periferia dell' ambiente boschivo accompagnata dal soffio lieve del vento,
inesausto del grande respiro, dall'anima del cosmo a quella del corpo.
Attraverso questo cerca la fusione dell'umano con il soffio primordiale del tutto, non imponendo la sua presenza come asserzione di sé, come sua irruzione o sopraffazione nel luogo del naturale ma quasi dissolvendo l'immagine e i confini dell'io nel desiderio di assimilarsi al cosmo attraverso la  sua pelle.

Si trasforma in essa  nei movimenti del suo corpo,  percepisce i ritmi che la popolano, nei minerali, le rocce e i boschi, nelle pietre che la ricoprono, nel rumore delle onde, nel soffio tenue del respiro d'aria, nel frusciare improvviso dei venti, nel ticchettio ritmico, continuo delle piogge, nell'esplodere violento e improvviso degli uragani.
Sullo sfondo d'un bianco e nero assoluti visibili in diverse tonalità di sfocatura intenzionale, in assenza voluta di colore il corpo femminile é visto  come parte del creato, percepibile in una “danza d’appartenenza”[1] dove tutti gli elementi, minerale, umano e a vegetale, particelle semplici e complesse sono poste sullo stesso piano in una sin-cronicità,  la stessa che lega  immagini e suoni.
Ogni cosa è generata e connessa  a uno stesso “principio di natura”[2] e ad essa riconducibile. 



“Research”

Sono radici millenarie, tronchi, segni e tracce, cerchi  concentrici iscritti sui medesimi.
 E' un paesaggio invernale coperto di neve e gelo in ibernazione del fluido, flusso vitale. L’acqua gelata del fiume, una patina di lieve brina nel suo immobile rispecchiarsi.
Nell’ immobilità guardare: il corpo avanza alla ricerca come si muovesse ciecamente. Esita, muove un passo,  osserva, cammina a piedi nudi sul sentiero boschivo coperto di fango e foglie morte.
Radici d'alberi millenari in linee contorte si intrecciano in un labirintico annodarsi ai suoi piedi di rami e fessure con spiragli al loro centro; tronchi tagliati o recisi al suolo bloccano il passaggio sul sentiero. Qui sono abeti imbiancati dalla brina,  in lontananza gelo e immobilità,
il lento avanzare del corpo a piedi nudi lasciando orme pesanti impresse sul selciato gelido al contatto della malgama fangosa e umida al suolo.  


Joy and strenght”

 Sono gesti ampi e luminosi di braccia e viso elevandosi al cielo, gesti ampi di ascesi e  ricongiungimento all’ assoluto, in un movimento estatico del corpo al rallentatore  per un femminile facendosi tramite, in una sorta di mediazione tra l’essere e il cosmo.
Essere portati, travolti dall'apertura del movimento ora in re-immersione e sollevamento    dentro il ritmo del grande respiro.
Dettagli di pelle e schiena a torso nudo si stagliano nella sensualità sinuosa dell'abito nero. Le braccia ampie, leggere, aeree al cielo sono viste in estatica apertura all'infinito, attraverso il movimento contro l'oscurità del volto. La figura simile ad airone in volo, nella gioiosa levità del danzare sente, attraversa in sé lo stato fluido del corpo che danza e stabilisce attraverso questo il contatto con la natura, con il creato.


“Fall”

 Il primo piano è sul viso, nel ripiegamento sul sé  visto per  parti, in dettagli, in inquadratura singola. Occhi grandi aperti osservano le inflessioni lievi dell’apparire immobilità delle cose intorno; guardano, percepiscono, presentono senza poter muovere, muoversi, fare nulla: pulsazioni, battiti impercettibili nell’aria.
Fotogrammi di nero vuoto, totale oscurità sullo schermo.
Acque semi-immobili  sul lago.
Ninfee fluttuanti nel riflesso immobile delle acque restano distese a galleggiare come manto brumoso e argenteo dopo una tempesta.
 Estasi di luce che opacizza e cancella  i tratti; un sibilo in lontananza.
Fili di rami o d'alberi procedono in linee parallele all’infinito sospesi su un cielo grigio-opaco spento.

Stare al suolo come un animale ferito starebbe, nell’agonia lenta e malinconica della perdita,
del  movimento interrotto, d’un ripiegamento introiettivo sul sé, costretti nello spazio esiguo d'un corpo, nella penombra atona della luce fuori, lo sguardo solo attraverso le cose.

 I gesti ampi di braccia al cielo sono l’agonia d'un sè che cerca liberazione, nel grido
 contro i fili tesi d’un reticolo incandescente, linee parallele di nero fumo correndo all’ infinito.
Restano fili elettrici, un reticolo astratto di segni nel grigiore flou della perdita.   







1-cfr Alessio Bllerini, "Human tree", www.adiacenze.it
2-Ibid., Ballerini











[1] Cfr. Alessio Ballerini, « Adiacenze »

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