martedì 9 giugno 2009

Antonin Artaud : « Il teatro e il suo doppio»




















Premessa : é un libro fatto d’immagini più che di concetti, di visioni più che di nozioni concrete sulla messa in scena rivelando Artaud come un poeta e non come un teorico del teatro. E' un pensiero più vicino all’intuizione primitiva liberata, lasciata scorrere fuori al di là d' ogni preoccupazione retorica o analitica.
All’origine del testo é la necessità di ritornare alla domanda fondamentale su che cosa sia il teatro nella sua essenza: perché si fa ancora teatro oggi, qual’é il suo senso primo, in cosa consiste la sua portata rivoluzionaria, il suo potere d’espressione, di rottura, di sovversione, la sua carica creativa.
Il teatro balinese, possiamo dire più in generale tutte le forme di teatro extra-occidentale, rituali e antiche, tramandate oralmente e prodotte da civiltà più vicine alle origini si pongono in quest’ottica come la ricerca di un teatro riportato alla sua essenza nel tentativo di tornare “aux sources du théâtre”.

1- La riflessione d’Artaud parte da una critica del teatro occidentale: della centralità data al logos, al testo scritto, alla parola, al linguaggio articolato rispetto agli altri mezzi d’espressione ( danza, gesti, spazio, suono, musica, luci).
Il teatro occidentale consiste a mettere in scena un testo: é adattazione, traduzione, letteratura messa in scena. La sua realtà fisica é destinata a restare una realtà seconda, dissimulata dietro la letteratura come arte della rappresentazione; cio’ condanna il teatro all’accessorio, all’effimero, all’esteriore. Il teatro occidentale si é alienato alla letteratura, secondo Artaud appoggiandosi a dei principi ingiustificabili, aberranti, assurdi: il primato del testo sulla scena in primo luogo.

2- E’ nella messa in scena, nel lavoro fisico dell’attore-danzatore, nella ricerca fatta direttamente sulla scena che bisogna cercare il linguaggio propriamente teatrale, punto di partenza per il testo poetico messo alla prova dei tempi, dei ritmi e delle necessità interna alla scena. Una figura unica diventa quella dell’autore-creatore di questo spazio poetico, capace di dare forma, forza e corpo a una propria visione, di metterla alla prova, sperimentarla, ricercarla sulla via di intuizioni proprie partendo da un lavoro elementare e concreto: un’azione, una parola detta, la voce, il muoversi, il camminare
dalle molecole più elementari della materia fino alla costruzione di cellule complesse in un corpo animato e vivente.

3- “Il dominio del teatro é plastico e fisico”: l’essenza del teatro é la messa in scena in uno spazio concreto, tangibile e plasmabile perché fatto di una densità propria all’umano. La messa in scena, in questa prospettiva costituisce una vera e propria poesia fisica nello spazio nata da una pluralità di linguaggi:
l’immagine visiva,
la danza come scrittura del corpo in atto,
la parola come bisogno di una voce risuonante, ritmica, vibrante investita della forza stessa del grido
nel punto essenziale della parola
nel paradosso tra il non-potere del linguaggio e il bisogno estremo, assoluto, primo del linguaggio.

4-“Il teatro della crudeltà”, che si vuole metafisico e sacro é prima di tutto “un teatro fisico e dei sensi” : teatro dei nervi e del sangue, della stretta tangibile della sensazione
fa appello al corpo, cerca di raggiungere il corpo profondo della sensazione prima che l’intelletto.
Lo spettacolo deve produrre un’azione fisica sullo spettatore; la ricerca scenografica come ogni altro mezzo deve andare a toccare direttamente la sensibilità nervosa, raggiungere i sensi, l'immaginazione di chi guarda. Artaud usa per questo teatro il termine “envoutement”: un teatro-incantazione, magia, rituale; un teatro che risvegli il sensibile riannodansosi alla sfera dell’incosciente.

5-
L’attore deve riscoprire il potere magico del corpo, le infinite possibilità del suo potenziale fisico, conoscerlo e esplorarlo . In “Un atletismo affettivo” Artaud ritrova una tecnica del respiro capace di ristabilire l’analogia tra l’emozione e l’organismo. Il corpo si scopre espressivo in sé , il gesto non più ombra della parola ma in dialogo con lo spazio.
Riscoperta del gesto ma anche del grido : la potenza del respiro, la parola incarnata, la voce.
Non si é più capaci di gridare in occidente, si é perduto il potere, il senso liberatorio del grido,
la sua necessità primordiale come nell’atto della nascita: l’uso della voce in tutte le sue modulazioni contro un parlare astratto, controllato.
Il grido e il respiro, come il gesto, assumono una nuova densità e divengono un mezzo di far parlare lo spazio.
Anche la parola diventa un mezzo d’espressione specificatamente teatrale. Detta, lanciata, ripetuta, sussurrata, fatta risuonare, proiettata essa trova il suo posto nello spazio: "assume un’esistenza concreta sulla scena ”. Riconduce naturalmente il linguaggio all’oralità, alla voce, al respiro che é anche poesia del ritmo.
Il linguaggio é qui incantazione prima che senso.

Il teatro secondo Artaud : “una messa in scena concepita come poesia fisica nello spazio”. Esso si basa su un linguaggio fisico e concreto capace di agire direttamente sui sensi dello spettatore. Solo ritrovando questo linguaggio potrà diventare un’arte autonoma e ritrovare la propria essenza.


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