venerdì 13 marzo 2009




L’improvvisazione e i quattro elementi. La coscienza di esistere nell’acqua, nell’aria, a contatto con la terra: come cambia la mia percezione degli oggetti, del peso corporeo, la mia relazione allo spazio esterno, al movimento partendo da tale coscienza?
L’acqua mi fa pensare a un’immersione musicale, a un movimento continuo,
a una sensazione di generosità, di lasciare la presa, cedere, lasciarsi portare…
Movimenti ampi, frasi musicali che si dispiegano come onde sonore, fluide e avvolgenti. La libertà dove il corpo si abbandona completamente: la densità acquatica dove le articolazioni, la massa muscolare, ogni minimo atto o gesto sono pienamente presenti, organicamente toccati, abitati, ma allo stesso tempo liberati dalla pesantezza dell’esistere terrestre, dalla forza di gravità che tiene legati alla superficie, immobilizza, blocca o inibisce l’azione. Di lì si attinge la musicalità della danza E’ forse la prima fonte di ispirazione per ogni coreografia.

Coscienza dell’istante: concentrazione, disponibilità, immersione nel transitorio del processo creativo. Rendersi totalmente a questa apertura della sensibilità, all’ascolto del proprio essere impulsivo; captare il respiro di quello che ci circonda di uno spazio-tempo abitati di luce, movimento, presenza, voci e colori, forze centripete e spinte centrifughe. Riconoscere, possedere, abitare questo spazio-tempo; esplorarlo,contenerlo, scavarlo attraverso i sensi, poi cominciare a viverlo senza paura.
Ritornare al primordiale di una materia psichica raggiunta partendo dalla densità della carne: il corpo agente-agito, la prima scena del movimento dove si svolge il teatro all’origine.

“Cartografare” scrive Lourence Louppe in Poetica della danza contemporanea è dare a leggere un corpo, un individuo, un soggetto attraverso i suoi atti fisici, poetici o sovversivi: di rifiuto, di abbandono, di rabbia, di scusa, di frustrazione, di angoscia o di solitudine. Fare questa cartografia in controluce di un io-corpo agente e agito è andare dall’inizio contro il gesto codificato, riconoscibile, direttamente leggibile, contro il movimento troppo giusto, ideale, corretto; contro i codici della verosimiglianza, della rappresentazione, del realismo. Il corpo si da a leggere ma, allo stesso tempo rifiuta ogni facile leggibilità: un’aurea lo avvolge, lo circonda isolandolo anche in qualche modo dall’esterno. Lo rende permeabile e esposto oltre la linea della propria pelle, sempre e comunque sparso, diffuso entro il suo centro mobile, non riconducibile a un semplice contorno: l’immagine che gli altri vogliono dare di noi, la linea che ci trattiene, ci limita e circoscrive.
La testa immersa sotto il livello dell’acqua, un mondo espanso s’agita al di sotto…
Siamo questa superficie sensoriale che non s’arresta un solo istante di respirare e dunque di muoversi soggetta a infinite modificazioni anche quando dormiamo e forse li’, ancora di più, nella sua parte d’incoscienza.

Essere tutt’uno con il vivente al rischio della propria de-figurazione. Cosa succede quando si porta questa mappatura del corpo al limite della decostruzione? Quando viene messa in gioco la certezza stessa dell’identità di un soggetto, la sua immagine all’esterno? Quando si trova spinto, sospinto verso questo margine dove non sa più d’essere , quando si trova spinto, sospinto verso questo stato di__disseminato, disgiunto, contaminato, infranto.

L'aurea: l’energia vibratile, espansiva, invadente e in eccesso del corpo isterico domandando dépense, spesa, consumo, speco, investimento anche come produzione di qualcosa dell’ordine di una presenza, d’un atto: qualcosa di fisico, tangibile,concreto come un gettare fuori, espellere, estromettere quello che può in questo modo rientrare nel circolo significante in luogo di subirne i movimenti d’eccesso, di mancanza, di vuoto-pieno del suo turbinio inarrestabile.
Aurea dunque: qualcosa che si diffonde, tocca, arriva, contamina, inquina, sempre e comunque coinvolge l’altro oltre i confini della mia pelle. L’aurea dell’ oggetto distrutto dalla sua riproducibilità secondo Benjamin; l’aurea del poeta caduta, insozzata nel fango nella strada nell’immagine di Baudelaire; l’aurea che si infrange allora, e trascina insieme ad essa nel fango, nello stato scivoloso dell’anima,
melma che mi assorbe, mi insozza,mi dissipa, preda di me stesso, dell’Altro che non saprei dire, dei mille altri che non saprei controllare.

Il corpo perturba sempre per la sua carica di intensità”, scrive ancora L. Louppe; porta in sé la “cosa” del sacro, dell’indefinibile che è anche quella dell’inquietante, dell’estraneo nella sua dimensione di incoscienza. Perturba in primo luogo per “l’intensità del suo atto di presenza” che non trovo così netta, inesorabile, immediata altrove. Sono dentro i miei atti prima ancora che dentro le mie parole o forse anche quelle allora diventano atti scenici: energia fisica della voce, del suono, ritmo primo che si libera dal corpo in una cadenza, una scansione, un respiro ora enunciato, ora portato fuori in una voce, ora semplicemente sussurrato in un ansito leggero . Come se appunto qui ritrovassimo la presenza del soffio vitale, del respiro poetico che da il tempo all’azione, alla parola, al gesto- il teatro nel suo primo atto. Il senso di quello che si scrive verrebbe solo dopo, passerebbe quasi in secondo piano, la bellezza formale del linguaggio anche, e sarebbe questo respiro a portarci, a farci attraversare, a muoverci e a fare senso. Di qui, un’assoluta semplicità della frase, del linguaggio liberato dal peso che ogni parola assume nel solco della tradizione perché non è a quella che si rifà ma a un respiro più antico, mai sottomesso, misterioso e inconoscibile ancora.

Danzare nella definizione di Daniel Dobbels: l’esperienza singolare dove qualcosa “nous arrive” ci accade attraverso questo corpo e per suo mezzo. Perturbato, resta come in una sorta di sospensione, di non azione, di immobilità apparente dalla quale sorgerebbe il “gesto inatteso” secondo Nikolais. L’intervallo, la sospensione, allora, è questo momento di una messa tra parentesi del pensiero, dell’intenzione, dove qualcosa si libera, si ritira, retrocede e lascia spazio. Lascia fare all’inatteso di sé : l’illimitato, l’imprevedibile, il vuoto, l’aereo nella sua carica di gesti refulés, rimossi, rimasti non detti. Strati antichi, respinti in zone di memoria inaccessibili alla coscienza che andiamo a toccare, a risvegliare forse, attraverso il movimento…

"Corpo a venire" Materia fisica e psichica di carne e pensiero insieme, si rende sempre più malleabile, mobile, in-sottomessa, risvegliata, in atto, in gioco, senza pretese, senza difese, semplicemente in questo movimento inarrestabile, spinta, sospinta da forze e contro-forze
contraddittorie, violente, in vita.

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