Vivere, sopravvivere o diversamente buon vivere, in questa dicotomia obbligata e, insieme sentiero
che biforca in contrastanti direzioni
sembra porsi la scelta obbligata della società a noi contemporanea così come il
nodo focale della mostra attualmente a Forlì, Civilization. Come se la nostra civiltà planetaria giunta ormai al
ventunesimo secolo debba fermarsi di fronte a un bivio irreversibile tra innovazione tecnologica_ un avanzamento
digitale senza precedenti_ dall’altra parte, la minaccia di sopravvivenza per
quella stessa umanità messa di fronte a processi
irreversibili e distruttivi da essa stessa generati. Basta solo enumerare i
molteplici e deleteri mutamenti della superficie terrestre, la manipolazione distruttiva delle sue risorse o
le derive ambientali che giorno dopo giorno continuano a mettere in discussione
la sussistenza del nostro pianeta, i suoi abitanti ed ecosistema. Inedita alternativa che si prospetta rispetto
a tale dicotomia è quella citata nell’ultima parte del titolo, la scelta del
“buon vivere”, scelta consapevole di un ritorno a una sorta di equilibrio
planetario ristabilito, altra via percorribile rispetto a quella attuale nella
progettazione delle nostre società presenti e future. Trecento immagini e
centotrenta fotografi provenienti da oltre 30 paesi nel mondo raccontano e riflettono,
esaminano e attraversano i nodi focali di tale attualità spesso conflittuale da
molteplici prospettive e luoghi del mondo.
Lo strumento di comunicazione forse più immediato e
universale oggi per rappresentare e condividere storie e scorci del nostro
presente è la fotografia, digitale e non, alla portata di tutti, intuitiva e
immediata nel suo modo di riflettere e raccontare, immortalare e interrogare la
realtà contemporanea al crocevia tra ricerca estetica e riflessione
politica. Otto sezioni, otto temi
conduttori all’interno di Civilization
ci permettono di navigare attraverso la miriade di scatti proposti, tra
esponenti cardine della fotografia internazionale ( Burtynsky, Hofer, Mosse) e
artisti emergenti o meno noti del panorama italiano e oltre.
Alveare, ( Hive) il primo tema esplora il
reticolo, l’agglomerato tentacolare, le reti urbane che danno forma alle
civiltà moderne e ai loro sottotesti architettonici nei quali le città si
articolano ed espandono oggi. Si passa, poi, al concetto di flusso ( flow) quale “ i movimenti
visibili e invisibili delle persone, delle merci e delle idee attraverso il
mondo contemporaneo”. Si giunge, infine, al tema della persuasione ( Persuasion) e del controllo
l’uno esponendo i meccanismi subliminari di manipolazione e influenza da parte
dei media, pubblicità e social network, l’altro come l’aperta sorveglianza nell’esercizio
del potere in varie parti del mondo, la Russia per citare l’esempio più
palese. A ciò si oppone l’estremo della
rottura ( “disrupture”) altro concetto cardine di Civilization come tutto ciò che rompe l’ordine o la struttura in
essere di un sistema costituito sia esso una guerra come quella attuale in
Ucraina o ogni conflitto interno a un paese che conduce a massicci flussi
migratori, infine l’evento pandemico che ha colpito la sfera globale. Fuga ( “escape”)nella sala seguente
rappresenta l’antitesi occidentale, la risposta di evasione e fuga dal reale in
meccanismi inibitori che sfociano negli eccessi dell’industria del divertimento
senza limiti dell’occidente. Infine con “Next”, oltre, il percorso si
conclude con un punto di sospensione, una domanda aperta e senza risposta sul “ e poi”, ciò che viene dopo rispetto a questo presente
raccontato in molteplici sfaccettature e contraddizioni. Ci sono i nuovi
orizzonti aperti dalle intelligenze artificiali, la robotica e le sempre più
audaci esplorazioni dello spazio nella
caleidoscopica visione futurista del ventunesimo secolo ma anche le sacche di
marginalità e miseria, i flussi di popoli in fuga da guerra e carestie dall’altra
parte del pianeta. Tale la dicotomia irrisolta, i sentieri che biforcano o le
vie possibili percorribili per la nostra prossima umanità raccontata per
immagini nelle molteplici visioni di Civilization.
1-Alveare: “Favelas
nella periferia di Bombai”, R. Polidori
La tentacolare città indiana nella periferia di Bombai è vista
come una distesa caotica e polimorfa di costruzioni precarie e tetti di lamiera
che occupano completamente l’altopiano e si estendono fin dove lo guardo può
arrivare senza lasciare uno spiraglio, un respiro, un attimo di tregua a chi
guarda. Emanano un senso di saturazione, di affollamento ma anche un groviglio
disordinato di forme difficili da ricondurre a un disegno preciso mentre in un altro
quadro astratto di Cyril Porchet, “folla”, l’idea di affollamento è vista come un
concetto dinamico, un movimento ribollente di guizzi e colori simili a un
vortice che si riavvolge su sé stesso, verso il proprio centro mentre
l’arancio, il rosso e il giallo finiscono per ingurgitare tutti gli altri
colori.
Nella sezione “Soli
insieme” la ricerca di socialità nella metropoli va di pari passo con il senso
di solitudine dilagante e quello di interdipendenza rispetto ai propri simili.
Florian Bohm in “wait for walk”, (attendere prima di attraversare) rappresenta
una folla di persone anonime, oscure e indaffarate, ferme a un attraversamento
pedonale sulla 5 strada di New York; ciascuno preso nel proprio piccolo
universo di vita, indifferente agli altri e tuttavia parte di una composizione
più grande che viene a disegnarsi malgrado sé stessa in quello scatto
fotografico perfetto. Persone in cammino sul bordo della stessa indifferenza e
tuttavia viste in un quadro poliedrico, in una composizione mista di etnie,
provenienze e ceti, specchio della nostra società d’oggi.
2- Solitudini a confronto
Peter Hugo in “there is
a place in hell for me and my friends” riprende in primo piano ritratti di
individui di cui la pelle diviene contrassegno, marchio di diversità rispetto
ai canoni estetici condivisi e ancora rilievo di un confine su cui si combatte
l’appartenenza a un gruppo come assimilazione e invece, al contrario la stigma
prodotta dall’ ambiente su quello stesso individuo in caso di cesura con il
medesimo.
Wang Qingsong
“Work, work, work”
La schiavitù epidemica del lavoro nella società cinese di
oggi dominata dal capitalismo produttivo occidentale è vista attraverso una
messa in scena volutamente eccessiva e grottesca dove una folla di impiegati vestiti
in uniformi simili a detenuti o prigionieri di guerra è rinchiusa dentro un
capannone saturo di computer e rumore
mentre continua a lavorare in maniera spasmodica: loro mantenuti in vita da
flebo artificiali per resistere ai ritmi disumani imposti. E ancora in queste
visioni di solitudini a confronto nelle metropoli moderne sono le visioni di
volti schiacciati contro i vetri della metropolitana ritagliati di notte in singoli riquadri oppressi dal soffocamento
dello spazio circostante.
3- Flusso
Mintio, “Bangkok,
concrete euphoria”
Nel grande circuito elettrico delle metropoli moderne
apparentemente tutto scorre in un fluire
rapido e continuo dove il denaro così come le azioni quotate sul mercato finanziario, il petrolio o ogni
altra fonte di energia produttiva si
muovono invisibili e onnipresenti alla velocità della luce attraverso le condutture
che reggono e oliano tutto l’apparato. Tuttavia tali sistemi appaiono tanto
tecnologici e veloci quanto esposti al loro collasso improvviso e definitivo
nel momento in cui qualcosa si rompe o si arresta nel circuito: un’epidemia,
una guerra, una crisi che sconvolge gli assetti mondiali e l’accesso alle
risorse energetiche, l’evento eccezionale e non calcolato che accade come il suo
irreversibile punto di non-ritorno.
4-Persuasione e
controllo
Identità e controllo subliminare dei media: algoritmi sempre
più esatti e complessi creati dai grandi colossi che dominano la rete riescono
non solo a raccogliere dati, influenzare le scelte degli utenti del web ma
addirittura a predire e uniformare, plasmare e modellare i nostri gusti futuri,
trend dominanti e preferenze sulla rete.
La persuasione può essere esercitata in maniera sottile o palese, indotta attraverso la pubblicità e il marketing in operazioni
commerciali estremamente sofisticate nelle nostre società attuali. Vediamo tra
le fotografie stereotipi di ritratti resi plasticamente su cartelloni
pubblicitari, simulazioni di luoghi identici
agli originali in angoli desueti della terra come una filiale di Starbucks aperta
in mezzo a falsi di palazzi antichi negli Emirati. Ancora, immagini multiple in schermi simultanei volutamente confondono
l’individuo dissimulando una percezione nitida della realtà. Infine nella
fotografia di Thomas Weinberger, “luce condensata”, un’atmosfera surreale e
rarefatta emerge da un paesaggio urbano di impianti industriali irradiati di
luce artificiale a distanza. La civiltà è qui rappresentata attraverso la grande
metafora della fotografia là dove la luce irradia celebrando il potere creativo
dell’uomo, la sua capacità di trasformare tangibilmente la realtà ma anche la fragilità
di tale costrutto nell’inverso potere di
distruggerla o manipolarla a discapito
dell’altro.
Le civiltà appaiono come meccanismi complessi, un insieme di componenti che devono funzionare
in un ingranaggio perfetto e resistente a minacce interne o esterne al sistema.
L’idea di controllo è espressa in questo modo attraverso tutti quei meccanismi
di sorveglianza e potere con cui l’autorità viene esercitata nel quotidiano sull’individuo
da istituzioni anonime e senza volto nelle stazioni di polizia, nelle prigioni,
nelle centrali elettriche, nei tribunali o negli ospedali. In questa parte
della mostra le immagini ci parlano di sistemi complessi o semplici, di punti
che si compongono in un reticolato, di circuiti elettrici inglobati insieme in un’unica rete. Altrove sono i fotomontaggi
di regimi e parate militari alludendo alla recente storia cinese in un’ottica
di imposizione sulle masse. Si oppongono così i due estremi opposti di libertà
individuale, democrazia come pluralità, diversità, espressione di una
maggioranza condivisa ma anche della sua opposizione e, dall’altra parte, i regimi
di sorveglianza e controllo indiretto oppure apertamente imposto sulla vita del singolo in forme coercitive di
potere.
5-Rottura e fuga
Le fotografie in questa sezione evocano tutti quei fenomeni
di frattura sociale, politica, catastrofi naturali o generate dall’uomo che
conducono a un punto di non-ritorno, a una svolta radicale e senza precedenti
rispetto allo status quo della realtà esistente ma, anche, a tutti i conflitti
insanabili interni o esterni a un popolo che ci costringono a guardare in
faccia il fallimento della nostra idea di civiltà. Tra le immagini più recenti quelle relative
alla guerra russo-ucraina, Kiev colpita dai missili russi, le devastazioni
prodotte su città ucraine come Mariupol occupate dall’esercito russo, “la marcia ucraina “dell’orgoglio
nazionale” nel 2017, e ancora le flotte di migranti in fuga verso l’Europa
occidentale: i profughi di guerra e quelli naufraghi al largo dei porti nel
Mediterraneo. Infine sono le immagini
della pandemia nella sua prima e più violenta ondata di contagi, la reclusione
e l’isolamento nei reparti Covid durante l’inverno 2020.
6-Next…Cosa viene dopo?
E poi cosa viene dopo? Ci interroga l’ultima sezione della
mostra, mentre gli aerei con auto-pilota
sono già una realtà e le intelligenze artificiali sostituiscono in parte
il lavoro degli umani nelle catene di produzione industriale robot operano sui
corpi e sostituiscono parti dei loro arti con protesi artificiali. Se
l’avanzamento delle tecnologie e l’avvento del digitale con l’ausilio della
rete prospetta innovazione e progresso in ogni ambito della nostra vita
dall’altra parte i fotografi contemporanei mettono in luce anche l’altro lato
della medaglia: le derive e i conflitti
che tale corsa verso un progresso tecnologico fine a sé stesso o un sistema economico globale non
sostenibile o non equo producono con effetti devastanti sulla sussistenza dello
stesso pianeta. Tale la dicotomia irrisolta, la domanda lasciata aperta e alla quale solo le scelte nel prossimo futuro
della nostre civiltà europee e non potranno dare risposta. Tra le vie
percorribili “sopravvivere”, cioè proseguire verso una propria inevitabile auto-distruzione, vivere o infine “ben vivere”
con una differente consapevolezza politica e umana globale.
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