giovedì 30 giugno 2016

"Seven days": ai confini dell'immagine video, installazione di M+M al Mambo di Bologna












Sette scene, protagonista lo stesso camaleontico attore Christophe  Luser si spirano  a celebri film degli anni ‘70 e ’80_ dal “Shining” di Kubrick, a “un homme et une femme” di Lelouch, a “tenebre” di Dario Argento, all’indimenticabile,  “il disprezzo” di Godard_ per dare  vita alla video-installazione del progetto “7 giorni” del duo artistico tedesco M e M attualmente al Mambo di Bologna. Quattro schermi, i video in serie si susseguono in corrispondenza a ogni giorno della settimana sdoppiati in due versioni  dove la medesima scena, stessi dialoghi e ambientazione sono interpretate dalle coppie speculari dell’adulto o del bambino, dal duo padre/figlia, marito/moglie, da un personaggio giovane o da uno più vecchio per lasciarci volutamente in una sorta di ambiguità visiva generata dall’aspetto seriale e fittizio dell’immagine messa in scena, nell’ambiguità delle relazioni che si disegnano differentemente ogni volta secondo il contesto o per la mutata atmosfera che ne emerge.
 

Da subito la forma aperta e in divenire lasciata all'installazione video ci pone di fronte all’immagine filmica nel suo potenziale di pensiero e, insieme nella sua forza di rottura: un’immagine capace di risvegliare i sensi, la memoria o una riflessione sulla realtà che racconta, di indurre una scossa alla percezione usurata e quotidiana o perlomeno su una realtà resa volutamente incerta, incomprensibile alla coscienza del singolo, oggetto di indagine e interrogativo piuttosto che di affermazione e giudizio attraverso il visivo. Tale immagine “che pensa”e induce chi la riceve a pensare, a percepire, a sentire si svincola dalla necessità di seguire una sequenza cronologica di azioni in una trama narrativa, la cosiddetta “immagine-movimento” del cinema classico per darsi come libera associazione di forme del pensiero o della memoria non necessariamente connesse a un senso cronologico o causale :“ immagini-tempo” come le definiva Deleuze nei suoi saggi su cinema e pensiero.

In “Sette Giorni”  segmenti filmici in montaggio libero sono proiettati in sequenza su quattro schermi consecutivi in una doppia narrazione simultanea per ogni giornata/scena. Percezioni temporali soggettive dei singoli personaggi dominano al centro del video, identità mutevoli o in divenire per uno stesso individuo visto in prospettive molteplici e momenti differenti della propria esistenza. I volti appaiono in primo piano scrutati a distanza ravvicinata, studiati, analizzati dalla telecamera qualche volta in maniera insidiosa e sottile seguendo le infinite, imperscrutabili sfumature emozionali che vi si delineano a tratti: fulminee appaiono e altrettanto rapidamente  svaniscono per lasciarli nel tempo segnati, incisi, scavati fino a modificare come un destino i tratti di un’esistenza.  Lo spazio a sua volta è colto attraverso una serie di “soggettive” sull’ambiente in quanto vissuto o esperito dalla coscienza individuale ; infine la natura complessa e ambigua delle relazioni trapela, in una coppia, dentro una famiglia o nel rapporto tra l’io e l’ambiente esterno passando attraverso fragili equilibri da momenti di rara armonia, a improvvisi conflitti o inaspettate rotture. 
  
Un corpo narrativo comune si delinea attraverso i sette video, mentre lo stesso attore, camaleontico protagonista della nostra contemporaneità agisce in scenari radicalmente differenti fino a delineare la figura di un personaggio universale, un soggetto del nostro tempo, “nomadico” nel proprio darsi attraverso le mutevoli ambientazioni dei video e visto nelle molteplici sfaccettature della propria identità. Il suo volto cambia, invecchia, si trasforma, viene segnato dal tempo, la vita organicamente  vissuta o registrata dal suo sguardo diviene un tutt’uno con lo stile e la forma filmica che permette di scrutarlo a distanza, all’interno d’uno spazio o in una precisa atmosfera, oppure avvicinandosi attraverso primissimi piani che ne rivelano i dettagli del volto, le più intime sfumature,  la sottile indagine psicologica consegnata al solo stile cinematografico.




Lunedì

La stessa scena, due schermi simultanei, un dialogo, una conversazione serrata e tensiva tra un uomo e una giovane donna, lei, camicetta gialla, capelli lunghi e sciolti, abiti usuali nell’ambientazione d’ una stanza d’hotel sconosciuta, lui giovane dal volto scarno, affilato, nella durezza nei tratti. Stesso profilo nel secondo video, simili indumenti ma questa volta la ragazza ricompare nella figura di una bambinetta e la conversazione si trasforma in un dialogo abbozzato tra padre e figlia. Ritorna al centro della scena la natura ambigua e conflittuale delle relazioni tra i membri di una famiglia o  quella più intima di una coppia là dove la comunicazione è resa difficile o impedita e i dialoghi si ripercuotono in scambi vuoti di parole, in frasi abbozzate e non finite tendenti a nulla dire o nulla comprendere dell’altro. Tenero e genuinamente tensivo in un caso il dialogo tra il padre e la figlia, serrato, pieno di aspettative o risentimento nell’altro quello tra il ragazzo e la ragazza mentre si insinua in maniera vaga e costante il dubbio, la distanza e, insieme, il senso d’una fragilità insita nella relazione o, semplicemente, in un contatto autentico con l’altro. Sempre, gran parte della scena è lasciata al non-detto dell’immagine filmica, a una sorta di sospensione o impossibilità a tutto dire, tutto comprendere  fatta di pause lunghe e obbligate dove i silenzi si caricano di attese e implicite tensioni taciute o riempite di sguardi assenti e non-detti della parola.

Martedì

Salone Botticelli, un negozio di parrucchieri; il giovane uomo è seduto in attesa di farsi radere all’italiana da una donna matura dalla capigliatura rossiccia comparendo alle sue spalle. Primissimo piano sul volto di lui: mani si avvicinano con un nugolo bianco e spumoso per schiumargli il viso. Una lama affilata inizia a sfiorargli il volto, filmata a raso della pelle nell’atto di percorrere ogni centimetro della sua epidermide mentre una conversazione vaga e allusiva si instaura tra i due interrotta di tanto in tanto scivolando come il gesto, lentamente verso la propria deriva. Le frasi vuote di lui si ripetono costellate da lunghe pause d’assenza, vagamente malinconiche, qualche volta di silenzio forzato in assenza di parole. Le mani della donna appaiono vicinissime al volto dell'uomo in primo piano, filmate attraverso  una crescente tensione erotica e insieme la violenza di un gesto appena accennato; insinuano il senso di un pericolo immanente ogni volta che la lama entra a contatto con il viso e sfiora la pelle. Tutto è giocato su questa sottile continuità tra erotismo o forza desiderante insita nei corpi di fronte alla camera e un crescendo della medesima volgendo nel suo opposto  complementare e distruttivo convocato nella metafora d’una lama affilata che si avvicina inesorabile a un volto.

Mercoledì
Un auto nella notte, la più totale oscurità d’una strada senza illuminazione, il senso di un vagare indistinto, nel video in bianco e nero il volto di un giovane uomo scarno, rischiarato dai fari delle auto . Proiettata su due schermi identici e paralleli, l’immagine dà spazio alla proiezione del suo pensiero, visualizza il lavorio della sua coscienza attraverso un monologare ininterrotto e logorroico incentrato sul volto mentre campi lunghi riprendono in esterno i fari delle auto nella notte abbaglianti in un metaforico non-vedere: l'annebbiamento dei sensi o della coscienza. Il giovane è alla guida in un lungo monologare solitario, immerso in uno spazio allucinato, oscurante, lo spazio interiore della propria mente;  immagina la scena che si svolgerà tra breve a casa di lei  percuotente, in maniera ossessiva nel suo pensiero tra gelosia, rabbia e desiderio. Il video lascia spazio totalmente al funzionamento o disfunzionamento della sua mente e, insieme,  visualizza un’identità frammentaria, ripresa alla lente d’una percezione espansa e totalmente soggettiva  del tempo.

Giovedì

La visione è dall’alto di palazzi in vetro e acciaio scintillanti in un moderno quartiere finanziario d'una anonima metropoli simile a una Wall Street dell’attualità. In una sala riunioni durante un consiglio d’amministrazione ad alto rango il giovane si toglie gli abiti che indossa uno a uno di fronte all’assemblea incredula e sconcertata degli azionisti e dei famigliari, di fronte all'incomprensibilità della madre,  alla  freddezza granitica del padre; lascia ai suoi piedi tutto quello che possiede, deponendoli uno dopo l’altro fino a restare in una totale, assoluta letterale e metaforica nudità. Ispirato a una scena del film di Laura Cavani sulla vita di “Francesco” il video mette in scena la rottura di Francesco con i genitori e il suo rifiuto radicale alla ricchezza riportandolo nel contesto attuale del mondo della finanza. Esprime l’idea d’una rinuncia totale, d’una totale e assoluta investitura in una nuova vita dedita a Dio e alla povertà francescana nella storia del santo. Qui ritorna l’idea di nudità, il gesto di rottura radicale compiuto con intenzionalità di fronte  a una predominanza di potere, infine la scelta etica e libertaria di rifiuto rispetto a un determinismo obbligato, a un percorso esistenziale scelto non da lui ma da altri attraverso il semplice gesto di deporre al suolo le scorie della sua prima pelle, l'involucro esterno della sua precedente esistenza.

Venerdì

Buchi neri sono filmati in esterno in primissimo piano  su pareti in cemento grezzo di case popolari neanche intonacate; l’aspetto aspro e rugoso della materia al tatto, la sua repulsione quasi allo sguardo intrusivo della telecamera. Dall’aspetto sordido e sgretolante dei mattoni il video scivola verso l’interno d’una di quelle case . Una giovane donna esce avvolta in un asciugamano nel primo video, stessa ambientazione ma la donna diviene più anziana nel secondo, entrambi proiettati in simultanea sui due schermi contigui. Un uomo si avvicina alle loro spalle con un rasoio alla mano, un taglio rapido in primo piano, macchie di sangue si espandono spaventose e dilaganti al suolo. Entrambi i corpi appaiono distesi nel continuo dei due video, la giovane donna, poi l’altra più anziana, una macchia di sangue espandendo devastante sul cemento. Infine la cinepresa corre sul volto di lui,  nel crescendo violento della musica. L’ambientazione visualizza l’immagine-memoria d’una casa in disuso a metà avvolta da teli in aperto trasloco, poi l’immagine espansa e amplificata di un rigagnolo di sangue al suolo e uno stesso volto femminile, ora giovane, ora vecchio, infine il primo piano sul questo altro volto di uomo criptato, incomprensibile, inumano.

Sabato

Due coppie si alternano sulla pista da ballo d’un club ripreso sullo stile del celebre “Saturday night fever" con Travolta. Luci basse, colori elettrici e artificiali da club notturno, violacei, aranci, blu accesi e psichedelici, musica elettronica dalle tonalità martellanti e ripetitive. La scena continua attraverso un dialogare ininterrotto, lo stesso nei due video paralleli mentre le immagini scivolano da un uomo e una donna danzando insieme a due uomini visti nella stessa scena di seduzione. La tonalità emotiva si trasforma nella simultaneità degli atteggiamenti  creando volutamente ambiguità, mentre si gioca ironicamente sulla variante del genere nella relazione per decostruire una versione unica e monolitica della società e della coppia.

  Domenica

Straiati su un letto, stessa stanza di mattino, la stessa scena è raccontata attraverso un medesimo dialogo ispirato alla celeberrimo prologo di “Il disprezzo” di Godard ma con un’ambientazione e una tonalità che muta radicalmente nei due punti di vista incarnati: la tenerezza avvolgente del dialogo tra padre e figlioletta in una sorta di rituale affettuoso; ora, invece, è il gioco amoroso ad instaurarsi nel rituale erotico e di seduzione che tra il giovane uomo e la ragazza nel letto disfatto al risveglio.

Le immagini , qui nello specifico l’immagine filmica, hanno il potere di aprire spazi di pensiero, di memoria o di desiderio in chi le riceve facendo anche a noi attraversare in maniera più o meno consapevole quella soglia di razionalità oltre la quale vorremo facilmente perderci o lasciarci portare. “L’image-temps” teorizzata negli scritti su cinema e filosofia dal francese Gilles Deleuze era definita come quell'immagine prodotta da un cinema nuovo dopo la crisi del neo-realismo che non si limitava più a documentare la realtà in quanto tale, che non serviva più semplicemente alla rappresentazione del movimento filmico in quanto azione ma che, invece, diveniva immagine della non-azione, d’una versione assolutamente soggettiva e imparziale, frammentaria e incerta della realtà in quanto percepita, ricordata, immaginata o vissuta in relazione alla temporalità esistente. Emergenze prodotte dal visivo, dalla memoria involontaria ma anche biforcazioni e salti temporali tra passato e futuro o, ancora, qualcosa di imprevedibile o incerto come  l’evento inaspettato, la possibilità cui non avevamo pensato, qui nel caso specifico di “Sette giorni” quella variante sulla versione del cinema classico dove entrano in gioco sdoppiamenti di punti di vista, versioni parallele di uno stesso dialogo o biforcazioni temporali nel monologo.  Identità mutevoli e in divenire se ne delineano, tutta una serie di "soggettive" cinematografiche che, ancora una volta, riflettono e interrogano la forma e il concetto di soggettività nel nostro tempo dando una visione della realtà frammentaria, mutevole o scomposta in molteplici sfaccettature .




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