Sette scene, protagonista lo stesso camaleontico attore Christophe Luser si spirano a celebri film degli anni ‘70 e ’80_ dal “Shining” di Kubrick, a “un homme et une femme” di Lelouch, a “tenebre” di Dario Argento, all’indimenticabile, “il disprezzo” di Godard_ per dare vita alla video-installazione del progetto “7 giorni” del duo artistico tedesco M e M attualmente al Mambo di Bologna. Quattro schermi, i video in serie si susseguono in corrispondenza a ogni giorno della settimana sdoppiati in due versioni dove la medesima scena, stessi dialoghi e ambientazione sono interpretate dalle coppie speculari dell’adulto o del bambino, dal duo padre/figlia, marito/moglie, da un personaggio giovane o da uno più vecchio per lasciarci volutamente in una sorta di ambiguità visiva generata dall’aspetto seriale e fittizio dell’immagine messa in scena, nell’ambiguità delle relazioni che si disegnano differentemente ogni volta secondo il contesto o per la mutata atmosfera che ne emerge.


Da subito la forma aperta e in divenire lasciata all'installazione video ci pone di fronte all’immagine filmica nel suo potenziale di pensiero e, insieme nella sua forza di rottura: un’immagine capace di risvegliare i sensi, la memoria o una riflessione sulla realtà che racconta, di indurre una scossa alla percezione usurata e quotidiana o perlomeno su una realtà resa volutamente incerta, incomprensibile alla coscienza del singolo, oggetto di indagine e interrogativo piuttosto che di affermazione e giudizio attraverso il visivo. Tale immagine “che pensa”e induce chi la riceve a pensare, a percepire, a sentire si svincola dalla necessità di seguire una sequenza cronologica di azioni in una trama narrativa, la cosiddetta “immagine-movimento” del cinema classico per darsi come libera associazione di forme del pensiero o della memoria non necessariamente connesse a un senso cronologico o causale :“ immagini-tempo” come le definiva Deleuze nei suoi saggi su cinema e pensiero.

Un
corpo narrativo comune si delinea attraverso i sette video, mentre lo stesso
attore, camaleontico protagonista della nostra contemporaneità agisce in scenari radicalmente
differenti fino a delineare la figura di un personaggio universale, un soggetto
del nostro tempo, “nomadico” nel proprio darsi attraverso le mutevoli
ambientazioni dei video e visto nelle molteplici sfaccettature della propria
identità. Il suo volto cambia, invecchia, si trasforma, viene segnato dal
tempo, la vita organicamente vissuta o registrata dal suo sguardo diviene un tutt’uno con lo stile e la forma filmica che
permette di scrutarlo a distanza, all’interno d’uno spazio o in una precisa
atmosfera, oppure avvicinandosi attraverso primissimi piani che ne rivelano i dettagli
del volto, le più intime sfumature, la
sottile indagine psicologica consegnata al solo stile cinematografico.
Lunedì
La stessa
scena, due schermi simultanei, un dialogo, una conversazione serrata e tensiva
tra un uomo e una giovane donna, lei, camicetta gialla, capelli lunghi e
sciolti, abiti usuali nell’ambientazione d’ una stanza d’hotel sconosciuta, lui
giovane dal volto scarno, affilato, nella durezza nei tratti. Stesso profilo nel
secondo video, simili indumenti ma questa volta la ragazza ricompare nella figura
di una bambinetta e la conversazione si trasforma in un dialogo abbozzato tra
padre e figlia. Ritorna al centro della scena la natura ambigua e conflittuale delle
relazioni tra i membri di una famiglia o
quella più intima di una coppia là dove la comunicazione è resa difficile
o impedita e i dialoghi si ripercuotono in scambi vuoti di parole, in frasi
abbozzate e non finite tendenti a nulla dire o nulla comprendere dell’altro. Tenero
e genuinamente tensivo in un caso il dialogo tra il padre e la figlia, serrato,
pieno di aspettative o risentimento nell’altro quello tra il ragazzo e la
ragazza mentre si insinua in maniera vaga e costante il dubbio, la distanza e, insieme, il senso d’una fragilità insita nella relazione o, semplicemente, in un contatto autentico con l’altro. Sempre, gran parte della scena è
lasciata al non-detto dell’immagine filmica, a una sorta di sospensione o
impossibilità a tutto dire, tutto comprendere fatta di pause lunghe e obbligate dove i
silenzi si caricano di attese e implicite tensioni taciute o riempite di
sguardi assenti e non-detti della parola.
Martedì
Salone
Botticelli, un negozio di parrucchieri; il giovane uomo è seduto in attesa di
farsi radere all’italiana da una donna matura dalla capigliatura rossiccia comparendo
alle sue spalle. Primissimo piano sul volto di lui: mani si avvicinano con un
nugolo bianco e spumoso per schiumargli il viso. Una lama affilata inizia a sfiorargli
il volto, filmata a raso della pelle nell’atto di percorrere ogni centimetro
della sua epidermide mentre una conversazione vaga e allusiva si instaura tra i
due interrotta di tanto in tanto scivolando come il gesto, lentamente verso la propria
deriva. Le frasi vuote di lui si ripetono costellate da lunghe pause d’assenza,
vagamente malinconiche, qualche volta di silenzio forzato in assenza di parole.
Le mani della donna appaiono vicinissime al volto dell'uomo in primo piano, filmate attraverso una crescente tensione erotica e insieme la violenza di un gesto appena accennato; insinuano il
senso di un pericolo immanente ogni volta che la lama entra a contatto con il viso
e sfiora la pelle. Tutto è giocato su questa sottile
continuità tra erotismo o forza desiderante insita nei corpi di fronte alla
camera e un crescendo della medesima volgendo nel suo opposto complementare e distruttivo convocato nella metafora d’una lama affilata che si avvicina inesorabile a un volto.
Un auto
nella notte, la più totale oscurità d’una strada senza illuminazione, il senso
di un vagare indistinto, nel video in bianco e nero il volto di un giovane uomo
scarno, rischiarato dai fari delle auto . Proiettata su due schermi identici e
paralleli, l’immagine dà spazio alla proiezione del suo pensiero, visualizza il
lavorio della sua coscienza attraverso un monologare ininterrotto e logorroico
incentrato sul volto mentre campi lunghi riprendono in esterno i fari delle auto nella notte abbaglianti in un metaforico non-vedere: l'annebbiamento dei sensi o della coscienza. Il
giovane è alla guida in un lungo monologare solitario, immerso in uno
spazio allucinato, oscurante, lo spazio interiore della propria mente; immagina la scena che si svolgerà tra breve a casa di lei percuotente, in maniera ossessiva nel suo pensiero tra gelosia, rabbia e desiderio. Il video lascia spazio totalmente al funzionamento o disfunzionamento della
sua mente e, insieme, visualizza un’identità frammentaria, ripresa alla lente
d’una percezione espansa e totalmente soggettiva
del tempo.
Giovedì
La visione è dall’alto di palazzi in vetro e acciaio scintillanti in un moderno quartiere
finanziario d'una anonima metropoli simile a una Wall Street
dell’attualità. In una sala riunioni durante un
consiglio d’amministrazione ad alto rango il giovane si toglie gli abiti che indossa uno a uno di fronte all’assemblea incredula e sconcertata degli azionisti e dei famigliari, di fronte all'incomprensibilità della madre, alla freddezza granitica del padre; lascia ai suoi piedi
tutto quello che possiede, deponendoli uno dopo l’altro fino a restare in una totale, assoluta letterale e metaforica nudità. Ispirato a una scena
del film di Laura Cavani sulla vita di “Francesco” il video mette in scena la
rottura di Francesco con i genitori e il suo rifiuto radicale alla ricchezza
riportandolo nel contesto attuale del mondo della finanza. Esprime
l’idea d’una rinuncia totale, d’una totale e assoluta investitura in una nuova
vita dedita a Dio e alla povertà francescana nella storia del
santo. Qui ritorna l’idea di nudità, il gesto di rottura radicale compiuto con
intenzionalità di fronte a una predominanza
di potere, infine la scelta etica e libertaria di rifiuto rispetto a un
determinismo obbligato, a un percorso esistenziale scelto non da lui ma da
altri attraverso il semplice gesto di deporre al suolo le scorie della sua prima pelle, l'involucro esterno della sua precedente esistenza.
Venerdì
Buchi
neri sono filmati in esterno in primissimo
piano su pareti in cemento grezzo di case popolari neanche
intonacate; l’aspetto aspro e rugoso della materia al tatto, la sua repulsione
quasi allo sguardo intrusivo della telecamera. Dall’aspetto sordido e sgretolante dei mattoni il video scivola verso l’interno
d’una di quelle case . Una giovane donna esce avvolta
in un asciugamano nel primo video, stessa ambientazione ma la donna diviene più anziana
nel secondo, entrambi proiettati in simultanea sui due schermi contigui. Un uomo
si avvicina alle loro spalle con un rasoio alla mano, un taglio rapido in primo
piano, macchie di sangue si espandono spaventose e dilaganti al suolo. Entrambi
i corpi appaiono distesi nel continuo dei due video, la giovane donna, poi
l’altra più anziana, una macchia di sangue espandendo devastante sul cemento. Infine la cinepresa corre sul volto di lui, nel crescendo violento della musica.
L’ambientazione visualizza l’immagine-memoria d’una casa in disuso a metà
avvolta da teli in aperto trasloco, poi l’immagine espansa e amplificata di un
rigagnolo di sangue al suolo e uno stesso volto femminile, ora giovane, ora vecchio, infine il primo piano sul questo altro volto di uomo criptato, incomprensibile,
inumano.
Sabato
Due
coppie si alternano sulla pista da ballo d’un club ripreso sullo stile del
celebre “Saturday night fever" con Travolta. Luci basse, colori elettrici e
artificiali da club notturno, violacei, aranci, blu accesi e psichedelici,
musica elettronica dalle tonalità martellanti e ripetitive. La scena continua
attraverso un dialogare ininterrotto, lo stesso nei due video paralleli mentre
le immagini scivolano da un uomo e una donna danzando insieme a due uomini visti nella stessa scena di seduzione. La tonalità emotiva si trasforma nella
simultaneità degli atteggiamenti creando
volutamente ambiguità, mentre si gioca ironicamente sulla variante del genere nella
relazione per decostruire una versione unica e monolitica della società e della
coppia.
Straiati
su un letto, stessa stanza di mattino, la stessa scena è raccontata attraverso
un medesimo dialogo ispirato alla celeberrimo prologo di “Il disprezzo” di
Godard ma con un’ambientazione e una tonalità che muta radicalmente nei due
punti di vista incarnati: la tenerezza avvolgente del dialogo tra padre e figlioletta in una sorta di rituale affettuoso; ora, invece, è il gioco amoroso ad instaurarsi nel
rituale erotico e di seduzione che tra il giovane uomo e la ragazza nel letto
disfatto al risveglio.
Le
immagini , qui nello specifico l’immagine filmica, hanno il potere di aprire
spazi di pensiero, di memoria o di desiderio in chi le riceve facendo anche a
noi attraversare in maniera più o meno consapevole quella soglia di razionalità
oltre la quale vorremo facilmente perderci o lasciarci portare.
“L’image-temps” teorizzata negli scritti su cinema e filosofia dal francese
Gilles Deleuze era definita come quell'immagine prodotta da un cinema nuovo
dopo la crisi del neo-realismo che non si limitava più a documentare la realtà
in quanto tale, che non serviva più semplicemente alla rappresentazione del
movimento filmico in quanto azione ma che, invece, diveniva immagine della non-azione, d’una versione assolutamente soggettiva e imparziale,
frammentaria e incerta della realtà in quanto percepita, ricordata, immaginata
o vissuta in relazione alla temporalità esistente. Emergenze prodotte dal visivo, dalla memoria involontaria
ma anche biforcazioni e salti temporali tra passato e futuro o, ancora, qualcosa
di imprevedibile o incerto come l’evento
inaspettato, la possibilità cui non avevamo pensato, qui nel caso specifico di “Sette
giorni” quella variante sulla versione del cinema classico dove entrano
in gioco sdoppiamenti di punti di vista, versioni parallele di uno stesso
dialogo o biforcazioni temporali nel monologo. Identità mutevoli e in divenire se ne
delineano, tutta una serie di "soggettive" cinematografiche che, ancora una volta, riflettono e interrogano la forma e il concetto di soggettività nel nostro tempo dando una visione della realtà frammentaria, mutevole o scomposta in molteplici sfaccettature .