giovedì 17 settembre 2015

Bologna Danza Urbana II: improvvisazioni dalla performance “ Dancing around the world” ( seconda parte)




Impressioni e improvvisazioni poetiche da“ Dancing around the world”




Essere nel presente, incontrare le strade, le architetture, i luoghi della città fisicamente, sensibilmente.
Con uno sguardo aperto e periferico cogliere i dettagli camminando: la facciata rossiccia e ruvida d’un palazzo, un manifesto strappato e annunci incollati, un graffito su un muro,  una tenda arrotolata, volti tra la gente, voci di manifestanti o di artisti di strada, magliette colorate sulla piazza, pietre diroccate o in rilievo sul selciato, zone di inciampo sull’asfalto;  passaggi di bus, pezzi di un dialogo interrotto tra due.
Camminando mettersi in relazione alle persone del  gruppo.
Muoversi, agire in uno percorso urbano che diventa performativo attraverso l’intervento del caso e dell’improvvisazione.
Cambiare la percezione dello spazio esistente sperimentando, re-imparando a sentire, a percepire sé stessi attraverso le cose.
De-saturare i luoghi dalle loro restrittività sociale, attraverso l’esserci del teatro.
Essere nell’istante, in presenza semplicemente,  lasciar circolare energie creative e vitali al servizio della collettività.
Creare il senso d’una comunità attraverso l’azione di un gruppo.











Iniziano a muoversi in mezzo alla folla in maniera quasi casuale al ritmo d’una canzonetta ironica e sovversiva di Lucio Dalla. Altri li raggiungono dalla piazza e si uniscono, il coretto cresce insieme alle voci mentre assecondano ritmicamente le parole con le ondulazioni, i movimenti appena accennati dei loro corpi. Affacciati su una piazza la attraversano, la percorrono e poi decidono di lasciarla da tutte e quattro le direzioni; danzando si disperdono tra i passanti, si soffermano in incontri casuali coi medesimi , dileguano riflessi contro le vetrine dei negozi per poi ritrovarsi nuovamente in gruppo. Seguono con lo sguardo una danzatrice, tutto il gruppo è insieme a lei al suolo a sentire l’asfalto, con il volto in alto e il corpo in tensione a guardare verso il cielo, a fissare un cielo azzurro, limpido all’orizzonte, oltre i profili dei palazzi. Accovacciandosi sull’asfalto in un arresto improvviso, in una pausa di sospensione, si ritrovano, infine, al suolo distesi raccontando la propria storia come un filo di parole tese in frasi interrotte, in racconti frammentati, inudibili a volte nel coro delle voci: parole casuali o disconnesse, ironiche o lanciate come fulmini attraverso l’aria .
Raccontano come sono arrivati o partiti da Bologna, cosa è stato per alcuni venire a vivere qui, chi ha trovato la libertà, chi ha perduto un amore, chi ha iniziato una nuova vita, chi ha gridato per scuotere la folla, chi è partito per fuggire da una situazione precedente, chi ha cambiato casa, lavoro o iniziato gli studi, chi è un semplice pendolare, lavoratore, viaggiatore in transito o abitante, i racconti si intrecciano in maniera casuale, le parole tra la folla.


“Le città sono tutto questo insieme, gente, architetture, strade, movimenti, idee: io sono uno sguardo tra la folla, il cielo è ancora abbastanza azzurro da mostrare i profili dei palazzi, delle torri e i loro smerli sopra gli schiamazzi, le proteste dei manifestanti, le parole urlate ai microfoni di qualche show sulla piazza,
le ingiunzioni e gli ordini del potere. Abbiamo scorso dalle periferie al centro storico, da un sito abbandonato e rioccupato d’una ex-caserma a una scuola di teatro d’un quartiere di periferia; dal selciato a pietra a vista di linee perdendosi di fronte a una chiesa, alle strade del centro, a Piazza Maggiore di fronte al magnificente Nettuno. Abbiamo lanciato parole sulla piazza, gesti nella semplice sincronia di una composizione di gruppo, verso il cielo e poi a terra, abbiamo permesso a uno sguardo utopico, altro di apparire sulle nostre città”.



Sollevano un corpo in aria, lo depongono; seguono improvvisazioni libere attraverso le strade fermandosi per far danzare la gente, il gruppo in cerchio intorno a loro. Sono in fila, rotolano sull’asfalto, sollevano braccia verso l’alto, ora si accovacciano in ginocchio e poi si rialzano, i corpi sorgono in tensione in diverse direzioni. Vediamo quartetti come dialoghi interconnessi di corpi, passaggi di sentire attraverso la pelle e le varie parti organicamente rispondendosi nel movimento, un assolo e poi momenti di incontro esuberanti e vitali del gruppo. Infine attraverso una camminata lenta sfumando a poco a poco verso la conclusione i danzatori scandiscono gesti lievi di mani e di braccia sollevate verso l'alto in una domanda aperta come l'inesausta ricerca volta verso l’altro o in dialogo serrato con sé stessi.







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