giovedì 8 luglio 2010

DYNASTY ( I), museo dell' arte moderna e Palais de Tokyo, esposizione, Parigi



































Stephanie Cherpin




Le « vestige” sono residui, lasciti, oggetti non funzionali o senza utilità: rifiuti, pezzi di ferro, di stagno o di plastica, tubature re-incollate insieme con scotch.
Sono forme contorte, strane o allungate ,
pezzi recuperati da cantieri navali o metallurgici, per lo più andando a scavare nel deposito degli oggetti trovati, tra i relitti o i materiali allo stato grezzo.
Vengono qui ricomposti,
assemblati in costruzioni sculturali dalle proporzioni ampie, monumentali, smisurate,
tali le creature strane, le forme primitive, e selvagge che popolano l'immaginario di Cherpin.

Labirinto-ringhiera tentacolare dalle forme aguzze, tagliate e ricombinate insieme in un assemblaggio plastico, simbolico, impersonale investito di un valore totemico.
Il percorso sculturale è fatto di punte acuminate, di sporgenze aguzze che si interrompono a tratti in punti casuali, indeterminati nel vuoto.
I cammini restano spezzati o interrotti, le parti in ferro re-incollate insieme a forza con nastro adesivo, gli assemblaggi incongrui e ricoperti di vernice nera.
Le forme aggressive o innocue, piene o vuote, sono tagliate e ricombinate con altri elementi secondo un principio puramente formale.

Iniziatico, esoterico o occulto, il percorso é costellato di simboli incomprensibili,
di passaggi rituali, di cammini sbarrati fuori o perduti nel vuoto,
di campi minati e deviazioni di linee,
di parti interrotte e re-incollate insieme. E' evocato attraverso la polarità fredda del ferro,
ricoperta d’uno spesso strato di vernice scura.
Tale metafora visiva, d’una semplicità immediata, si dà come una macchina da guerra,
un percorso accidentato, accidentale, implicitamente investito di senso che rompe o lacera lo spazio bianco, neutrale, indeterminato dello sfondo.





Bertrand Dezoteux

L’immagine video, generata direttamente dal mezzo elettronico, oltrepassa l'impronta dell’immagine “analogica” di paesaggi e individui, per scivolare verso pure vibrazioni luminose, lunghezze d’onde elettroniche non più identificabili a semplici forme naturali. L’immagine subisce la metamorfosi del video, video che “genera una propria materia” nell’espressione di Jacques Rancière come se “ la forma troppo pura” o “l’avvenimento troppo carico di realtà” fossero “ messi fuori da loro stessi” sostituendo una logica di metamorfizzazione infinita all’incatenamento narrativo della tradizionale organizzazione filmica .

"Biarritz". L' immagine liquida, non fissata da una forma o struttura, è decomposta in sei schermi a ripetizione, simultanei e giustapposti. L’ immagine “metamorfica” slegata, autonoma, fatta di pure vibrazioni luminose si assimila naturalmente all’elemento acquatico, a tutto ciò che è dell’ordine dello scorrimento, del flusso, della fluttuazione, dell’onda fisica o elettronica, liquida o magnetica dominante al centro del video.
“I nostri antenati erano anfibi che vivevano in mare e sulla terra. L’idea del progetto era di ritornare all’acqua e vedere se era possibile tornarci in video”. Con "Biarritz" rifletto sulla dimensione plastica del lavoro, tento di portare più lontano il dispositivo filmico usando non un operatore vero ma uno automatico”.
Lo sguardo è fluttuante, attento alla superficie, alle tessiture della materia, della luce.
Immagini-corpo in primo piano al ralenti si alternano alla decomposizione di queste per l’effetto mobile del filtro ravvicinato della telecamera: rombi, forme trapezoidali, losanghe o spirali estratte da decorazioni casuali di tessuti,
dilatati dalla cornice insignificante d’oggetti quotidiani dissolvono a poco a poco la nozione di figurazione in forme impersonali, geometriche, poi in pure ondulazioni acquatiche che prendono il sopravvento e letteralmente ingoiando la figuratività dell’immagine.

Il video una vera e propria forma di divenire.
“Divenire è uno stato importante per ciò che appare, la metamorfosi di quello che avviene nella prospettiva della materia”. Allo stesso modo l’immagine in movimento, filmica o elettronica, porta in sé lo spirito di quello che diviene, l’avvenimento implicito del passaggio di uno sguardo. Divenire secondo Deleuze non è mai “ imitare, fare come, conformarsi a un modello” ; non c’è un termine dal quale si parte e uno nel quale si diviene. Non è fenomeno di imitazione o assimilazione ma di “doppia cattura” o “evoluzione non parallela”. “Divenire è il contenuto proprio al desiderio”, essere umani, desiderare è passare per una serie di divenire; non una generalità ma una realtà della consistenza stessa, “dello scorrimento universale del mondo”.
Divenire è “ogni forma di de-terittorializzazione” che rompe con le “serie chiuse” del modello identitario dominante come “divenire-intenso”, captare variazioni di intensità,
“divenire-molecolare”, captare la molteplicità dell’esistente, “divenire-impercettibile” o minoritario, captare zone di non-evidenza del mondo.


Bettina Samson « Fotografia dello spettro solare alterato dal tempo sotto la forma sognata di carota » Nucrear dust I e II





La proiezione dello spettro solare è impresso su un dispositivo a forma cilindrica in controluce contro le vetrate: fasce colorate a distanza, contorni sinuosi d'alberi fuori.
Espanse, le fasce colorate si riflettono in una policromia di colori freddi. Il colore-materia si impone in degradazione cromatica sfumata nell'assenza più totale di luminosità:
la notte di un blu indaco, malinconico, profondamente riflessivo;
colore dalle risonanze saturnie, dal ripiegamento solitario, nostalgico sul sé,
tale la superficie riflettente del vetro dipinto in bande bluastre, violacee, smeraldo o bordeaux.
Simile a uno schermo o lente distorcente attraverso la quale il mondo fuori é filtrato, deformato e implicitamente destituito.
Due fotografie di galassie, Nuclear dust I e II sono giustapposte sui muri della galleria.
E' l'oscurità più totale dell'universo fotografato fuori dal sistema solare, tempestato di punti, astri, o nebulose brillanti forse, ma spente, diffuse di luce riflessa, percepite attraverso il filtro distanziante nell'eterna notte delle galassie.

Polvere nucleare dunque, la scoperta della radioattività come titola l'opera,
radio-attività, esplorazione scientifica dell'invisibile:
esplosione di materia attiva nell'universo.
Fotografia e densità d'energia nucleare, potenzialmente distruttiva.

Materia in ebollizione:
forza centrifuga, lavica, eruttiva defluendo da un centro verso l'esterno nella formazione del sistema solare.

(Radioattività: « fenomeno fisico nel corso del quale nodi atomici instabili si disintegrano per liberare energia sotto forma di radiazioni. Rocce terrestri di isotopo e uranio ma anche elementi instabili prodotte in seguito alla disintegrazione degli isotopi menzionati.
Universo opaco-trasparente: galassie ospitando miliardi di corpuscoli densi,
agglomerati d’astri e di meteore,
coaguli e nuvole di materia espansa, liquida o gassosa.)



Camille Henrot

« Nella mia visione del mondo è l'ossessione di cercare l'origine delle cose, l'intuizione metafisica che procederebbe la diversità, la divisione della specie”.
Un oggetto che possa esprimere attraverso la sua forma bipartita l'idea d'unità originaria, un oggetto che possa precedere questa divisione in due, momento che associamo nella storia umana alla nascita dei conflitti, delle rivalità, delle guerre, alla divisione del territorio.
L'idea di « simbolon », dal greco simbolo, significa mettere insieme, ricongiungere, ricomporre, nell’usanza greca una tessera in terracotta spezzata tra due individui o famiglie a conclusione di un patto, il combaciare delle due parti provando l’esistenza di tale accordo.
« Simbolo » diventa qui i due pezzi d'un oggetto rotto e ricomposto in modo maldestro: riunione incongrua, realizzata a partire da frammenti che non si corrispondono più o solo parzialmente lasciando intravvedere fessure, iati o zone d'ombra.
L'opera in sospeso, stando su stampelle mobili, esprime il senso di un equilibrio precario e, insieme, la vulnerabilità della materia umana soggetta a tali amputazioni; meno l'affondamento che la ricostruzione eclettica, eterogenea tra diversi regimi, animalità e umano fissati insieme rinviando alla connessione indissociabile che lega l'uomo al proprio fondo primitivo di coscienza.

« Gli oggetti umani sono precari ma allo stesso tempo esistono, resistono. Un pezzo di granito esprime forse la solidità ma non la resistenza ». L'oggetto fragile incarna, al contrario, la forza paradossale della propria esistenza-resistenza come quello che permane nel processo di trasformazione , la metamorfosi celata al bordo dell’abisso,
al cuore d'una debolezza forse infinita,
l'aggiustamento sottile della cosa al proprio divenire prendendo il posto d’una rivoluzione aperta e incendiaria.






« La violenza che scorre da gesti ed emozioni deve servire da forza di resistenza della scultura e contro la scultura”.
Lavoro penoso, difficile, corrosivo, al limite impossibile:
l'impossibilità presa di contropiede, contro sé stessa.
La possibilità a cui si pensa e che non si raggiungerà mai,

come dovendosi sbarazzare di qualcosa che pesa su di voi conducendovi attraverso un percorso impervio, accidentato, o a momenti di rara intensità.

« La musica: strumento indispensabile per far salire un'energia particolare, miscuglio di malinconia e forza guerriera, orientando i gesti, dando la parola al silenzio dell’azione.
La scultura: una forma di lotta, un impegno politico senza partito né militantismo, perso in anticipo ma che si deve continuare a condurre. »

Raphaelle Ricol

Sono figure umane il cui viso diviene una proliferazione di materia primitiva, incollata sulla tela direttamente.
Sono esseri umani le cui teste esplodono in forme atomiche, in nuvole di materia nebulosa, in esseri acefali dove la centralità dell' intelletto scompare.

“ Sole nero”: grumi di materia porosa, ocra, giallastra o grigia, coagulano sulla superficie della tela. Un nucleo solare cerchiato di nero é fatto esplodere in una serie di radiazioni, di rigature dense e ocra a raggiera.
I raggi esplodono come proiezioni della mente, « onde di choc »,
animate da visioni contrastanti passando attraverso il filtro dilatante o contraente della percezione .
Esplosività e contrazione dello spazio intimo in presa diretta sulla materia.
Energia vitale: "l'impulsione del gesto, del segno che precede l'idea, l'intenzionalità dell'atto".
Stato d'urgenza: "esperienza immersiva, immediata, non riflessa della mia realtà interiore".
« Entrare in risonanza, liberare una vibrazione interiore che persiste e si prolunga come l’emissione di un suono che dura », passa, arriva, percuote e resta. “Da un quadro a un altro si puo' sentire una sorta di permanenza anche se le due tele sono dipinte in momenti differenti. L’energia passa da un'opera a un'altra come una traccia che persiste, iscritta nella memoria. La risonanza é anche quella che si percuote nello spirito dell'altro e vi fa eco.
Dipingendo si puo' sperare che significato e significante andranno a unirsi, a fondersi insieme provocando un'onda di choc, entrando in risonanza , imprimendosi nella memoria di qualcuno.” La risonanza vuole essere tripla: quella che passa da un quadro a un altro, quella che unisce due luoghi differenti divenuti cassa di risonanza, quella che incontra lo spirito dell'altro.
Cosi' scrittura e pittura si inscrivono in una riverberazione doppia e prolungata.



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