giovedì 24 giugno 2010

Ellissi II


















Estrarle dalle miniere, strapparle dalle pareti di roccia dove sono incastonate,
dal fondo di rocce laviche dove
trovano la loro matrice prima nascendo come esuberi, solidificazioni di materia liquida, espansa.
Nome che viene dal nulla.

Di queste pietre a specchio ne esistono di varia forma e natura, di bianche e di nere.

Bianche, simili ad agata dove ci si può contemplare come su uno specchio chiaro, trasparente, espanso da un centro che irradia verso l’esterno in circoli di luce diffusa, assumendo le tonalità del rosa, del grigio o del bianco.
Là tutto è portato alla purezza della
superficie e non ci sono insenature, grumi, imperfezioni, fenditure o irregolarità della materia.

L’altro lato dello specchio é ristallo denso,
oscuro e paco,
frastagliato da faccette esagonali rinviando verso un centro asimmetrico simile a cristallo d'ametista dove le immagini si sdoppiano o
si sovrappongono uscendo come dilatate o amputate . E’ uno specchio che resiste al viso, che deforma o nega i tratti della figura
lasciando intravvedere un luogo perturbante dove l’essere umano scompare.
Luogo di rocce aride, di siccità permanente per assenza d’acqua,
di disfacimento di forme, di deliquescenza della materia;
terra desolata, preda d’infertilità, dove non esiste forma umana.
Freddo glaciale, dove l’acqua eternamente solidifica in ghiaccio distendendosi come una superficie immobile, piatta, dissecata di vita.
Ghiaccio spazzato via dal vento, da raffiche di vento solitario, violento e selvaggio dove tutto scivola, scorre,
corre via lontano, scomparendo insieme alle vento che lo
porta.






























Bordi: note di incerta provenienza...

Stato di sospensione: E' il momento in cui l’immagine si stacca e appare fisicamente sulla pagina, persiste nutrendosi di vita propria
dalla densità psichica dell’immaginazione .

L’immagine s’auto-genera, ha una propria memoria, memoria della propria costituzione, non
il “prima” né il “dopo” ma la permanenza dell’istante nell’atto del suo farsi .

L’esperienza del vuoto. Perché la metamorfosi avvenga su scena bisogna che ci si svuoti della propria personalità, coscienza, della soggettività che è già in sé, o meglio che questa discenda e divenga tutt’uno con i visceri, la carne, le membra, che divenga parte del nostro essere dentro ogni singolo istante, dentro la più piccola pulsazione di vita che precede l’iscriversi fuori di ogni scossa, vibrazione o impercettibile movimento di senso.

Il corpo, involucro carnale all’immagine della metamorfosi che subirà lo spazio esterno investito, misurato o espanso dalla presenza di qualcuno:
sporcato delle sue energie in eccesso,
intaccato dalla sue forze in perdere,

potenziato dai suoi slanci improvvisi,
circolante di forze fluide, elettriche e vitali,
degli eccessi dell’uno o delle mancanze dell’altro,

delle pause d’inerzia o d’abbandono,
dei vuoti a perdere,
nella cumulazione, nello scambio,
nel passaggio d'onde impercettibili dall'uno all'altro.







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