sabato 25 luglio 2009

Artaud III


Il rito si fonda sul potere efficace dei segni; é come un “poema del mondo, un discorso fisico che incide la materia inscrivendovi sopra la legge ineluttabile del desiderio"[1].
Il linguaggio poetico, allo stesso modo, si indirizza al mondo sensibile e opaco dei segni, nella materializzazione, per la parola o il corpo, di pure insistenze interiori . Lo spazio é abitato da segni, attraversato da una continuità ritmica di suoni, sensi, silenzi musicali; anche apparentemente vuoto non é mai semplicemente vuoto. Il sapere del corpo é un sapere del respiro, sapere che fa dell’attore-danzatore questo passeur, mediatore, anello capace di rifare la catena delle analogie universali, lui, veicolo e interprete, non sempre consapevole, di forze che lo animano, lo investono, lo sovrastano. Portatore di segni attivi, possiede il sapere delle forze analogiche che legano l’individuo al cosmo come delle correnti nervose, affettive e organiche che attraversano il suo corpo. Ritmi, danze o musiche diventano mezzi per operare tale passaggio, immagini che assumono un’efficacità fisica nello spazio caricandosi di un magnetismo vitale, di una forza animale che agisce infine sulla scena allo stesso modo in cui lo fanno le pratiche rituali.

Il ritmo poetico, intimamente legato al souffle, al respiro primordiale dell’uomo, si ritrova nel movimento danzato nello spazio, nelle sincronie e diacronie di un tempo più o meno musicale, come nel ritmo proprio a una qualunque vera scrittura. Il teatro possiede la capacità di convocare l’energia diffusa nello spazio attraverso il movimento, il gesto o la voce e, in questo modo, di guarire l’uomo producendo una trasformazione profonda della sua realtà interiore.

Rinascere avendo fatto ritorno alle proprie radici, avendo riconquistato il controllo delle proprie energie vitali, tale la ricerca dell’io su una scena. Un corpo riunificato e di nuovo guidato dal proprio impulso interiore ritrova, infine, su di sé la forza del gesto e della voce, ritornando al nodo essenziale dell’atto poetico-teatrale.
Produce segni in uno spazio abitato dove esso é crovevia, crogiolo mai neutrale di un gioco voluto di forze: costantemente in cerca di una presenza a sé, poi di uno spazio di scambio, di relazione o “inter-azione” tra sé e il mondo. Il teatro é del corpo, giocato nel corpo stesso dell’attore-danzatore là dove una trasformazione s’opera nell’atto facendolo accedere a un piano di conoscenza superiore: una soglia di coscienza fisica e energetica che normalmente non si raggiunge nel vivere quotidiano.

Restituire la verità della vita al potere del inguaggio necessita la rottura di una struttura consolidata dalla tradizione, dell’involucro svuotato, carcassa inalterata di una forma troppo lontana dall’impulso creatore, dalla forza propulsiva che l’ha generata. Le culture delle origini si fanno garanti di un sapere segreto che fa l’unità di tutti i saperi: gli esoterismi occidentali ma anche le culture dell’altrove extra-europeo opposte alla razionalità riduttrice del pensiero occidente. Tradizione occulta che mantiene inalterata la bellezza di una visione magico-religiosa del mondo, essa ci induce a spostarne limiti mettendo in pratica una critica dell’identità e del soggetto, aprendo a un’altra visione dell’individuo nelle sue relazioni alle forze invisibili che lo legano al resto del vivente. Il teatro allora incarna un’altra concezione dell’individuo nel suo rapporto al mondo, un’altra pratica del linguaggio. Esso farà appello a una logica magico-religiosa fondata su una una presenza attiva di forze, su una visione unitaria dove non si separano più i piani di realtà dal singolo all'universale . Reinscrivere il teatro nel campo di questo pensiero sincretico significa spostarlo al cuore di una logica altra, mitico-rituale. Esso é fatto di segni nello spazio prodotti da corpi che incessantemente si interrogano e interrogano la loro relazione al mondo e al discorso, definendosi, allo stesso tempo, in quanto forma e presenza. La scena apre all'uomo questa circolazione di forze, lui preso tra il potenziale increato di sé e il proprio repentino, grottesco, improvviso annientamento.



[1] Cfr Monique Borie, Artaud, le théâtre et le retour aux sources, Gallimard, 1989

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