martedì 4 ottobre 2016

"Dante Eco, spirito green" ( viaggio fotografico tra mistici e poeti ) a Palazzo Rasponi a Ravenna



Un poeta, Dante, il sommo, esule dalla propria città per ragioni politiche in un’Italia frammentata, dilaniata da conflitti tra papato e impero, lui costretto al perpetuo esilio da una corte all’altra fino ad approdare a Ravenna dove termina l’ultima cantica del “divino poema” pietra miliare della cultura e della lingua letteraria del nostro paese; poi un santo dal misticismo e dall’estasi religiosa generati nel contatto con la natura, Francesco d’Assisi, che rinunciando a tutti i suoi averi sulla via di Cristo e della povertà sceglie di vestire un saio di tela grezza legato da una semplice corda e fonda  più tardi l’ordine francescano per dedicarsi completamente alla vita spirituale. Lui che comprendeva e parlava la lingua delle creature, degli animali, dei boschi e del cosmo abitato dalla presenza infinita del divino celebrata nel celeberrimo  poema in italiano volgare “Il cantico delle creature”. Infine, l’ultima figura profetica dello stesso periodo storico è il precursore e interprete delle Sacre Scritture nato dell’entroterra cosentino Gioacchino da Fiore teologo e mistico medievale dalla dottrina monastica rigorosa che confluisce nella fondazione di un nuovo ordine Florense. Nella sua interpretazione profetica del Vangelo elabora una teoria della Trinità  cristica vista attraverso le tre età della storia che sarebbero culminate con l’avvento dell’era dello Spirito.  L’eco di queste tre figure attraverso i luoghi a loro legati è quello che ispira e tiene insieme il progetto fotografico “ Dante Eco spirito green” a cura di Francesco Tassone  con le fotografie di Giampiero Corelli visibile fino al 9 ottobre nella splendida cornice di Palazzo Rasponi a Ravenna.   

Reinterpretare, ri- fotografare  i luoghi dell’entroterra ravennate, la pineta prima fra tutti che Dante ha attraversato e volto in versi, poi quelli interiori, simbolici dove si esplica e prende forma e intensità la vita del santo francescano, tale operazione già implica una trasmutazione poetica della materia, nonché  il porre una relazione innegabile tra l’ecologia come l'amore e il rispetto per il pianeta e poesia come la ricerca del senso e della forma dell’essere. Perché amare la natura, prendersene cura, la cura di sé e dell’altro diviene uno dei gesti fondanti del progetto qui pensato “Dante Spirito Green” ispirato ai luoghi che come tracce spirituali ci riportano al sommo poeta e alle altre figure d’eccezione a lui associate nella mostra. Significa raggiungere nel modo più semplice e diretto possibile il divino, lo spirito o meglio la presenza d’uno spirito universale in esso che riconduca all’assoluto, a Dio o all’essere in qualunque modo lo si voglia denominare. Equazione perfetta che lega nel suo aspetto essenziale l’ecologia e la poesia, là dove l’amore e il rispetto per il cosmo divengono strumento per ritrovare e esprimere l’anima divina nell’uomo, allo stesso modo la sua relazione alla parola e alla poesia.


Le tre immagini della prima sala espositiva ci riportano a uno dei temi fondanti dello scrittore e teologo Gioacchino da Fiore, quello della trinità interpretata in tre epoche della storia terrena,  l’età del Padre corrispondente alle narrazioni dell’Antico Testamento, quella del Figlio rappresentata dal Vangelo e dalla venuta di Cristo ancora in corso, infine quella dello Spirito coincidente con un prossimo avvenire dove una più elevata umanità e una nuova chiesa spirituale e libera avrebbe preso il posto di quella precedente. Nella prima immagine, il corpo del Cristo crocifisso appare disteso di fronte alla finestra absidale e allungata d’una cripta scavata nel sottosuolo, nell’abbazia fondata da  Giacchino a S. Giovanni in Fiore.   Antro di luce luminoso la cui sola sorgente sembra provenire da quell'unico punto di luce sopraelevato, esso irradia proiettandosi attraverso una scalinata di gradini scavati nella pietra fino a raggiungere il suolo e il corpo scolpito del crocifisso nella totale oscurità in cui è immerso il luogo. La figura di Cristo è deposto  su questo piano sepolcrale, dal sudario alla pietra e ancora inciso dei segni e impresso delle sue stigmate: scarno, denudato, apparentemente privo di vita eppure disteso esattamente di fronte a quella scalinata o sorgente di luminosità divina nella totale oscurità che precede l’ascesa verso l’alto, il ritorno all’assoluto o il congiungimento al Padre. Forse che la sua anima ha già lasciato quel corpo impresso nel sudario e deposto sulla nuda 
pietra in attesa di risurrezione.

Nell’immagine successiva la seconda persona della trinità, il Figlio si incarna nel volto d’una statua, fotografata in sfocatura intenzionale o nell’effetto di duplicazione voluta dell’immagine attraverso una miriade di proiezioni che si sovrappongono e in parte dileguano, incerte, sfuocate o di difficile leggibilità sull’emergere imponente del fondo. Il volto dell’umano appare perduto nella nebbia della ricerca di sé, dei propri confini e di un dialogo inevitabile al Padre: volto in perdizione nel magma di un fluire umano e conflittuale di sentire, nel gioco dei riflessi e delle sovrapposizioni tra i diversi io che lo abitano, infine nella dissoluzione della propria immagine a tratti contro i contorni sfumati   dell’ambiente esterno.


La terza persona della trinità, lo Spirito, appare personificato in questa sorta di animale celeste o creatura quasi alata aprendosi un cammino con le sue corna simili ad ali in mezzo a un bosco di rovi, cespugli a macchia, alberi a arbusti.  Un bianco ariete appare in mezzo a una foresta di vegetazione selvaggia vista in un profondo chiaro-oscuro come una scia luminosa del bianco in mezzo all’oscurità della selva, dei sentieri e degli alberi circostanti. Traccia l’avvento di una nuova era per lo spirito, la via d’una spiritualità ancora in parte da percorrere per gli uomini, un regno dell’elevazione del pensiero e del ricongiungimento alla sua essenza divina. 



Nella seconda sala la presenza del sommo poeta, Dante, è evocata attraverso i luoghi che sono divenuti tracce spirituali e letterarie della sua vita nonché della sua opera là dove l’amore per il luogo, per la natura divengono elementi fondanti della parola poetica.  L’immagine ispirata alla pineta Classense vicino a Ravenna, uno dei topos letterari della Commedia dantesca si rifà al tema della rinascita, dell’elevazione spirituale o del ritorno alla luce dopo il lungo peregrinare del poeta attraverso i regni delle tenebre e dell’espiazione.  Nella versione fotografica di Corelli, esclusivamente in bianco e nero, una giovane donna abbraccia il figlioletto appena nato, vista di profilo, in primo piano, entrambi nudi fino al busto sullo sfondo delle cannucce e dei tronchi di pini contro il tramonto. Solleva il bambino al cielo elevandolo alla grazia del creato, alla potenza del divino nel gesto di tendere le braccia verso l’alto contro il tramonto per celebrare la nuova vita lì sopraggiunta, la nascita o la ri-nascita d’un tratto. Manifesta il ricongiungimento all’assoluto attraverso la natura e disegna la via dell’amore per il creatore partendo dall’amore per la piccola creatura.  Immagini dominanti sono qui quelle della nudità, della trasparenza e della rinascita.


Nell’ultima sala la visione fotografica di un Dante esule è ispirata dalla pineta limitrofa a Ravenna, a Lido di Dante. L’uomo vaga solo attraverso la spiaggia, in riva al mare sul bordo esterno della pineta,  lui il poeta, l’esiliato e il profugo, il religioso Dante. Dopo essersi smarrito in mezzo alla selva infestata di selve e aver intrapreso insieme alle sue guide spirituali il viaggio attraverso la dannazione infernale, l’espiazione e la redenzione- forse poco prima di cominciare il cammino di ascesa verso l'assoluto- si ritrova qui su questa spiaggia deserta alle spalle della pineta, vagando contro la costiera aspra e selvaggia spazzata via dai venti e battuta dai fiotti marini, lui l’uomo e il poeta , l’esiliato e il geniale visionario.     



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