La traccia si iscrive, si imprime o si
deposita, nella pietra o sulla tela, attraverso i tasselli e le lamine di mosaico, tra le schegge di vetro, i residui di calce o sui graffiti ai muri. Ricopre di smalto i marmi, il grès e la ceramica, riempie con miriadi di sassolini e pietruzze incastonate l’una all’altra i solchi che l’acciaio lascia scoperti dentro la loro cornice vuota . Striatura intenzionale sulla materia del mondo, la traccia assume ogni volta nuova forma, dando vita a una propria realtà nel linguaggio, qualsiasi sia la materia in cui viene iscritta. Allo stesso modo un’impressione si deposita, una parola si scrive, la traccia d’un esistenza manifesta il proprio segno vivo nel linguaggio, corpo scritto e scrivente sul mondo. Un filo si intreccia a un altro e trova la propria tessitura, la propria estensione nello spazio, tra l’io e il nostro piano dell'esperienza, tra la misura dell’intelletto e le fluttuazioni della nostra sensibilità. Nella messa in arte che il linguaggio produce l’interno si riversa nell’esterno e viceversa, ugualmente il tempo proprio, interiore assume una concretezza, un’estensione nello spazio; ogni vero istante diviene un punto preciso del firmamento mentre il corso del tempo, tutto ciò che accade nella continuità dei giorni e delle ore è una linea sfumata, perduta e ritrovata come la trama vaga di un’esistenza- linea puramente spaziale o quella d’una pagina scritta. Può presentarsi come una linea dritta, tendente all’infinito oppure ondeggiare, avvolgersi a spirale, chiudendosi a cerchio perfetto su di sé: sfera che porta in sé la propria perfezione, auto-alimentandosi d’un energia propria in un micro-cosmo a sé.

Matylda Tracewska"Aquarium" (di marmo madreperlaceo, vetro trasparente e opaco, colori minerali su malta).
In questo acquario guizzano frammenti di corpo, frammenti di sé.
Guizzano pesci madreperlacei alla deriva, scintillanti in argentei tasselli,
pezzi di sé alla deriva come scaglie dorate di manti di sirene e occhi puntati
sul dorso_ guardarsi alle spalle_
Scarpe beige antico, il
solo colore in evidenza di vecchi piedi stanchi e gambe gonfie ritagliate dal resto della figura.
Guizzano maschere
linguacciute di qualcuno che sberleffa in volto, fluttuazioni di corpi e
capelli alla deriva, liberi, mossi o espansi in trame ondeggianti sott’acqua.
Frammenti di corpi, frammenti di sé, ritratti di volti perduti o a
metà cancellati e bocche dissimulate dai movimenti delle onde. Il volto di un
bambino sfuocato riappare a tratti tra la nebbia di un’incerta memoria; ancora
sulla porosità della pietra vediamo scintillanti squame di pesci diamantati e
sirene in una danza sott’acqua dove verdi occhi smaglianti vi fissano dal fondo
dei loro tratti.
Tra le fluttuazioni immaginate dei corpi alla deriva sono le
immersioni senza ritorno a riva oppure i vaghi ri-affioramenti di sé in questo
mondo acquatico e lunare fatto di distese grigie e indistinte perdendosi
nell’ indeterminato. Punti madreperlacei vi si stagliano, nitidi e irripetibili
come i tratti unici di un' immagine sulla linea indistinta del tempo e
dall’interno della propria forma-memoria.
Dentro una bolla di sapone, sott’acqua, creature marine fluttuano
a tratti in un acquario immaginario di volti riapparsi sulla porosità greve
della pietra.
Sara Vasini, “Una stanza tutta per sé”

Metaforica stanza della scrittura, lì dove essa comincia delinearsi, dal corpo in primo luogo, dal segno tracciato d’una mano su una pagina bianca, lì dove comincia a imporsi, a essere ovunque, immensa e sconfinata, spoglia e viva, semplice e terribile insieme nell’atto primo della sua genesi.
Vuota
immensità di fronte agli occhi nell’ implicito enigma del suo attraversamento.
Un mosaico
virtuale si ricompone di mille possibili percorsi, di sentieri incrociati da
seguire come foglietti di inchiostro rosso volanti, incollati insieme a caso
sul fondo d’una parete beige lucida e riflettente fino a dare il senso d’una
storia, d’un testo scritto o da raccontare, differentemente secondo come lo si
legga, in quale direzione si scorrano le frasi, da quale lato le cartelle. Abbozzi
di materia procedono per aggiunte e ricomposizioni casuali come passi su un
sentiero che può perdersi in mezzo a un bosco di parole, nel nulla della pagina
bianca oppure divenire significante d’un tratto per l’improvvisa alchimia del
fare poetico nella foresta del linguaggio.

Nella ricostruzione del volto le tessere appaiono perdersi nella disgregazione della figura sul retro della tela. Il ritratto tende a svanire sul fondo, a perdersi o disperdersi nella nebulosa indistinta della memoria oltre la sapiente ricostruzione del volto in primo piano. Il riaffioramento è incerto, fugace e effimero come la sensazione generata da un istante di memoria involontaria richiamata in vita da un’evenienza del presente, in questo caso dal riapparire d’una foto del passato. L’immagine emerge dal fondo, a fatica, riappare come questo stato di innocenza richiamato in vita dal volto della bambina in un’irradiazione improvvisa sgorgante di luce dal centro del ritratto. Un fulcro di luminosità intensa e improvvisa emana dal centro del petto nella zona del cuore prima che da quella degli occhi o del volto soggetto già al processo di scomposizione in atto nel resto del ritratto. Sul viso uno strano stato di stupore, la ri-emergenza fluida e alonata d’una luminosità compare come un istante di memoria percettiva, involontaria, un istante di sensazione ritrovata che si ri-presenta, viene a noi viva e materializza nel ritratto partendo dal centro della figura mentre il resto tende a scomparire in secondo piano. Lentamente disintegra nel lavorio della tessera, lasciandosi inghiottire come soggetta alla corrosione del tempo, alla disgregazione asincronica della singola particella. Come sfuggisse ai nostri occhi il ritratto appare lentamente dileguare, gradualmente procedere verso un fondale reso sempre più etero e sfumato, correre irreversibilmente verso la propria matrice o fondo immateriale. Lì, al contrario, al centro del ritratto, il volto rivive intensamente un istante: l’immagine nasce e muore nell’istante di quell’innocenza perduta e ritrovata.
Andrea Sala, “Luna”
Un tessuto argenteo e irradiante espanso
da un centro crea un suolo lunare ricostruito in mosaico con schegge di pietra
e vetro, trasparenti, incastonate l’una all’altra nel riverbero dell’acciaio.
Una forma circolare, quasi messianica appare evocando, pura e
assoluta nel suo darsi, quelle geometrie
misteriose ridisegnate dalle correnti o dalle forze naturali dell’universo; grandi
vortici si iscrivono in moto sferico sui campi di grano come sulle distese
immense e sconfinate delle pianure spazzate dal vento dopo che i campi sono
stati mietuti e i raccolti sottratti alla terra. Iscrivono in sé stesse forze
sopranaturali, vortici di energia divina, spostamenti infinitesimali della mano
di Dio sulla superficie terrestre. La forma circolare espansa su una pietra
dura, granitica e incisa nella roccia d’ardesia chiude in sé il cerchio
d’ordine cosmico, divino, tale che è ripreso in questo perfetto micro-cosmo a
mosaico.
Marco de Santi, "Ultra-contemporary bodies"

"Absence", Carla Passarelli
Colonne di fumo salgono verso l’alto,
un palazzo reticolare in mosaico, un grattacielo, un edificio si eleva a vista
attraverso lo spazio. Parte dei tasselli del reticolo spariscono d’un tratto e
i grandi riquadri sulla presunta facciata dell’edificio mosaicato restano vuoti.
Ampi spazi bianchi si aprono in mezzo a loro come grandi interstizi che
prendono piede tra una tessera e l’altra e ridisegnano l’opera in tangibili impronte vuote di materia, di non-presenza. Grandi
riquadri svuotati appaiono nel processo di sottrazione in corso. Assenza di
materia, d’idee, di tratti quasi riaffermando una non-presenza del soggetto,
dell’opera reale o simulata di mosaico, della tangibile materia di marmo. Essere
là con questa assenza in sé a tratti, in tale inevitabile vuoto d’assenza
assunto come statuto o modo d’essere, di
dirsi nel mondo.
Mohamed Banawy, "Aerials 5"
Antenne satellitari, sistemi digitali si
spingono in alto, proiettandosi senza fili oltre il limite del quadro in
trompe-l’oeil a vivo sulla ceramica dal fondo rosso magenta, contro il blu oltremare
alternato al grigio asfalto della base. Si spingono come captatori di presenza
verso l’alto oltre le linee basse e squadrate del blu e del grigio, oltre i
riquadri sordidi e cementificati di presunti edifici evocando profili di città
medio-orientali. Riportano alla memoria immagini di paesaggi urbani
calcificati e di costruzioni semi-distrutte o non-finite. Contro quelli le
antenne paraboliche in un inedito skyline medio-orientale si stagliano verso
l’alto sopra mari di cemento grezzo e sulla proliferazione disordinata di blocchi
e di colonne squadrate, non-finite, contro il sudiciume di strade dove
l’asfalto si imbratta di rifiuti e polvere.
Torri di captazione in primo piano in “Aerial 5” si ergono, in ceramica mosaicata, su un fondale rosso magenta costellato di punti luccicanti e luminosi, argentei e aerei come intercettatori a vivo di presenze nello spazio. Divengono captatori di energie sottili, di idee o di aerei passaggi di testimoni attraverso i corpi, di trasmissioni e influenze dissimulate attraverso l’etere, di fluidi, o forze d’attrazione e repulsione attraverso lo spazio , captatori, anche di influenze o intrusioni multiple tra gli individui oppure intercettando linee di sensibilità comune, idee o cammini similari, a tratti condivisi. Oltre il visibile. Oltre la cementificazione del grigio, oltre la linea bassa e appiattente d’un orizzonte finito il rosso satellitare si impone scintillante in punti di contatto argentei come nuclei rifrangenti: fulcri generatori di pensiero e sensibilità condivisa.
Torri di captazione in primo piano in “Aerial 5” si ergono, in ceramica mosaicata, su un fondale rosso magenta costellato di punti luccicanti e luminosi, argentei e aerei come intercettatori a vivo di presenze nello spazio. Divengono captatori di energie sottili, di idee o di aerei passaggi di testimoni attraverso i corpi, di trasmissioni e influenze dissimulate attraverso l’etere, di fluidi, o forze d’attrazione e repulsione attraverso lo spazio , captatori, anche di influenze o intrusioni multiple tra gli individui oppure intercettando linee di sensibilità comune, idee o cammini similari, a tratti condivisi. Oltre il visibile. Oltre la cementificazione del grigio, oltre la linea bassa e appiattente d’un orizzonte finito il rosso satellitare si impone scintillante in punti di contatto argentei come nuclei rifrangenti: fulcri generatori di pensiero e sensibilità condivisa.
Ritratti


Allo stesso modo, i “ritratti” di Agnese Scultz in smalti e mosaico appaiono nella loro ripetizione esasperata come una serie tracce in variazione, atti di differimento e appropriazione dei tratti partendo dallo stesso volto, di sdoppiamento e coloritura su grigio a seconda dell’atmosfera dominante in ogni versione. Procedono per doppi, come qualcuno che guardandosi allo specchio si proiettasse ogni volta differentemente in una nuova rivelazione di sé, alla luce o alle tenebre del proprio esserci, ora intaccato da aloni, macchie oscuranti sul volto fino ad appesantirlo e rimuoverne i tratti, marcatamente inciderli o defigurarli, ora alonato di smalti verdi e ocra, rischiarato in precise zone del volto conferendogli una diversa intensità, una marcatura d’intenzione, d’espressione. Sempre, in ogni caso, è la tessera piuttosto che la composizione su supporto a dominare, l’interstizio aperto dal singolo tassello piuttosto che l’unità della figura nel ritratto tradizionale.
In Clement Miteran, ugualmente, le “contingences” portano il ritratto della figura mosaicata a scomporsi, a infrangersi in pezzi e ricomporsi in nuova forma non perfettamente ricostruita dove le rifiniture in oro sono frammiste alle fessure aperte sulla superficie. Vediamo apporti o intrusioni d’altri materiali, pezzi di corteccia, tessere d’oro intersecate alla superficie malamente ricomposta del volto poi, iati, interstizi, spazi vuoti lasciati volutamente aperti in una forma ibrida, post-moderna, la sola attuabile qui come ritratto in questa “ricomposizione per assurdo” della figura.
"ESTRUSIONI, ENTANGLEMENT"
Queste opere dalle tecniche più svariate e eterogenee, dai
materiali in sperimentazione libera e non convenzionale possiamo anche leggerle
come una serie di tracce scritte che ispirandosi al mosaico si rifanno solo metaforicamente
alla sua estetica partendo dalla tessera come particella minimale, unità
minima che compone e decostruisce la tessitura d’insieme dell’opera. Una serie
di tracce scritte sul marmo o la pietra, sul legno, lo smalto, la resina o
attraverso i pixel dell’immagine digitale circuiscono nei suoi limiti la
tradizione musiva, ne mostrano le possibilità differendo il concetto stesso di tessera
in un idiosincratico uso della medesima: tassello come pixel di immagine
elettronica, come lettera a inchiostro rosso scritta su carta, come vernice,
smalto o resina industriale su ceramica, oppure calce e detriti di cemento al suolo.
Tali opere del contemporaneo mettono in tensione l’estetica del mosaico e la
sua tecnica, la forzano, la allungano, la tendono come il tessuto elastico composto
da fibre ottiche messe in movimento fino a generare nuove forme nel video conclusivo della mostra. “Entanglement ” mobilita il concetto di tessera che da
particella minima vista nella staticità di un materiale solido come la pietra,
l’oro, il piombo o il vetro intagliato diviene tessuto ottico soggetto a una
serie di mutazioni infinite come dentro una danza d’acqua. Il suo ordito di
fibre visto nella rifrazione elettrica di un blu oltremare si allunga, si
deforma o tramuta visibilmente nella mobilità di linee divenendo altre e altre
ancora. Già nell’opera di Barbara Crevatin ad essa adiacente“Optical #1 Estrusioni” assistevamo a
una messa in movimento puramente ottica dei quadrati statici in marmo
decorati in smalti su ceramica dove
l’effetto e la luminosità del mosaico produceva rifrazione e interno eco ai riquadri
moltiplicandone la potenza cromatica del bianco, del grigio, del beige e del
nero.
In una virtuale messa in movimento del quadro precedente “Entanglement”(Dora Bartolomei) è intreccio: tessuto ottico in metamorfosi video, intreccio di cellule, la doppia catena a spirale di un qualche DNA fotografato, nastro di Mobius a un solo lato e bordo ininterrotto o, ancora fascio muscolare.
E' un corpo muovendosi in una simulazione di movimento, è l’idea della danza organicamente pensata come continuità e flusso, è la visione di un corpo elastico in espansione e restringimento.
E sono ancora fiamme mosse dal vento, reticolo blu di fili intrecciati alla sua corrente, blu elettrico, nero incendio, tessuti aerei, fili reticolari, intrecci di vite.
In una virtuale messa in movimento del quadro precedente “Entanglement”(Dora Bartolomei) è intreccio: tessuto ottico in metamorfosi video, intreccio di cellule, la doppia catena a spirale di un qualche DNA fotografato, nastro di Mobius a un solo lato e bordo ininterrotto o, ancora fascio muscolare.
E' un corpo muovendosi in una simulazione di movimento, è l’idea della danza organicamente pensata come continuità e flusso, è la visione di un corpo elastico in espansione e restringimento.
E sono ancora fiamme mosse dal vento, reticolo blu di fili intrecciati alla sua corrente, blu elettrico, nero incendio, tessuti aerei, fili reticolari, intrecci di vite.