Cinquanta oggetti per cambiare i nostri gradi di libertà
Gli oggetti
della nostra casa, quelli che ci portiamo appresso, che riempiono le nostra
borsa o tasche, le cose che fanno parte della nostra vita e ci accompagnano o
ci rassicurano al quotidiano, divengono punti di riferimento, qualche volta
ancore di salvezza, piccoli rituali che ripetiamo ogni giorno in maniera
metodica, quasi sacramentale. Le cose e il loro uso, la relazione che
stabiliamo ad esse possono regalarci un grado ulteriore di libertà, ma anche di
necessità che diviene dipendenza, sembra suggerirci la mostra presentando 50
oggetti immanenti alla nostra esperienza, al nostro essere immersi dentro le
cose e nel movimento del vivente.
L’automobile
per andare dove vogliamo, internet per creare contatti, connessioni e scambi in
rete, per navigare liberamente nello spazio aperto e virtuale del web,
i giornali che leggiamo, quelli che ci danno l’impressione di conoscere, scegliere, e comprendere i movimenti e le dinamiche del mondo, di controllare e non essere controllati,
di sapere e non essere manipolati.
Poi le università, le associazioni, le scuole, le mostre, i musei, i teatri, gli oggetti che portiamo appresso, amuleti, anelli, pietre o croci, gli oggetti dei nostri piccoli esorcismi al quotidiano,
le pantofole che nascondiamo sotto il divano, gli oggetti che ci portiamo in vacanza,
i fogli, I documenti, le fotocopie, le note scritte su foglietti volanti per non dimenticare.
i giornali che leggiamo, quelli che ci danno l’impressione di conoscere, scegliere, e comprendere i movimenti e le dinamiche del mondo, di controllare e non essere controllati,
di sapere e non essere manipolati.
Poi le università, le associazioni, le scuole, le mostre, i musei, i teatri, gli oggetti che portiamo appresso, amuleti, anelli, pietre o croci, gli oggetti dei nostri piccoli esorcismi al quotidiano,
le pantofole che nascondiamo sotto il divano, gli oggetti che ci portiamo in vacanza,
i fogli, I documenti, le fotocopie, le note scritte su foglietti volanti per non dimenticare.
Gradi di
libertà: la scrittura per liberare il nostro pensiero e spazio interiore, gli
infradito che portiamo d’estate al mare,
i tablet che portiamo con noi sempre, le borse che carichiamo di oggetti e libri sulle nostre spalle, addosso come le parole scritte addosso, gli anti-dolorifici, le pillole, i rimedi naturali, gli infusi, le tisane, quelli omeopatici, i rituali contro i nostri stati doloranti d’essere, i saponi che ci detergono, i detersivi con cui ripuliamo i nostri spazi fisici e interiori, i telefoni, i cellulari per tenerci in contatto, gli sms, le foto, i messaggi per ricevere e dare continuità, scambio, presenza .
i tablet che portiamo con noi sempre, le borse che carichiamo di oggetti e libri sulle nostre spalle, addosso come le parole scritte addosso, gli anti-dolorifici, le pillole, i rimedi naturali, gli infusi, le tisane, quelli omeopatici, i rituali contro i nostri stati doloranti d’essere, i saponi che ci detergono, i detersivi con cui ripuliamo i nostri spazi fisici e interiori, i telefoni, i cellulari per tenerci in contatto, gli sms, le foto, i messaggi per ricevere e dare continuità, scambio, presenza .
La luce elettrica, le lampadine che si
accendono nella nostra mente, quelle che ci danno la libertà di leggere, di
lavorare o vivere di notte; il copyright, le monete, le unità di valore e di
scambio, gli assegni,
i crediti, i pagamenti a breve, medio, lungo termine, a mai.
i crediti, i pagamenti a breve, medio, lungo termine, a mai.
Gradi di
libertà: i cereali, i grani, i risi, le farine, la terra, i nutrimenti, i
manufatti, l’acqua che beviamo,
gli orologi,
le pile elettriche, le luci che si illuminano nell’oscurità, i certificati di
laurea, i libri. Le parole, le
lingue straniere se ci permettono di comunicare , di incontrare lo
sconosciuto, l’estraneo, l'altro, di vedere il mondo un po’ più grande o un po’ più
piccolo, i viaggi per cambiare le nostre prospettive o punti di vista e imparare
a guardare con altri occhi;
i passaporti, i voli low-cost, i biglietti d’aereo o di treno, i messaggi, i contatti e le foto digitali che ci scambiamo nell'attraversamento.
i passaporti, i voli low-cost, i biglietti d’aereo o di treno, i messaggi, i contatti e le foto digitali che ci scambiamo nell'attraversamento.
Il diritto al
voto, la legge quando ci tutela, le note musicali quando ci accompagnano, le
lettere scritte o quelle della scrittura, le cifre virtuali di conti bancari inesistenti,
le lenti a contatto, la tecnologia, il gioco nell’infanzia e nell’arte.
Colori e pennarelli, una scatola di matite colorate, una tavolozza di tempere e vernici, di pigmenti rari e coloranti artificiali compaiono per dare forma e sfumature ai nostri gradi d’essere, di
divenire umani, vitali, depositari d'un segno unico, irripetibile, a noi solo. Le scarpe da
ginnastica, da sport o di danza,
i libri in edizione economica, le tazze di caffè e i libri usati, la proprietà privata e la privacy.
i libri in edizione economica, le tazze di caffè e i libri usati, la proprietà privata e la privacy.
L’acqua , gli
acquedotti, la circolazione di fluidi nei corpi, di merci sul libero mercato , di idee e parole sulle pagine scritte;
gli orologi per misurare il nostro tempo interiore, i fogli per non dimenticare, le monetine,
le chiavi, i gessetti colorati,
gli orologi per misurare il nostro tempo interiore, i fogli per non dimenticare, le monetine,
le chiavi, i gessetti colorati,

gli oggetti irrisori che portiamo con noi al quotidiano creano o sanciscono, costituiscono o limitano la nostra esperienza giorno per giorno. Ci rendono dipendenti e liberi insieme, per gradi o su piani diversi, noi immersi nel flusso del vivente, dentro le cose e nella relazione unica, personale, assoluta ed emotiva che stabiliamo ad esse perché se da un lato riscattano parte del nostro tempo, delle nostre conoscenze e azioni al quotidiano dall'altro intrecciano intimamente in noi reti tensive di necessità, di abitudine o di memoria rischiando di re-imprigionarci dentro la loro medesima determinazione.
Cao Fei, “
Whose Utopia” , 2006 (Video in 3 parti)
Una fabbrica della Osram per la
fabbricazione di lampadine elettriche appare, una delle tante, innumerevoli realtà
sorte in China nel processo di delocalizzazione, di produzione industriale a
basso costo e a catena d’una multinazionale spostatasi nella sperduta provincia
del Guangdong.
La videasta filma
in primissimo piano il lavoro in fabbrica, l’automatismo d’una infinito
processo a ripetizione, i colori atoni, spenti, quasi ricoperti della stessa
patina di acciaio e vetro dell’ambiente, la luce artificiale, alogena delle
lampade a led, l’inumano e macchinino sistema di produzione a catena.
Bulloni, meccanismi a ripetizione sono ripresi in primissimo piano dalla telecamera: rulli, ruote e nastri trasportatori atti all’ottimizzazione dei tempi e dei risultati, pedane riempite di merci, tubi in plastica, filamenti d’acciaio, bulbi in vetro.
Bulloni, meccanismi a ripetizione sono ripresi in primissimo piano dalla telecamera: rulli, ruote e nastri trasportatori atti all’ottimizzazione dei tempi e dei risultati, pedane riempite di merci, tubi in plastica, filamenti d’acciaio, bulbi in vetro.
Fuoco e
acqua, sistemi di saldatura e di raffreddamento: mani lavorano incessantemente
alla catena, file di mani in un minuzioso lavoro di incastro e cesellatura, oppure
guanti usurati di individui divenuti parti del meccanismo a ripetizione.
Lampade, luce puntata dagli occhi al tavolo di lavoro, gli sguardi sono ciechi,
i volti disumanizzati, assorbiti dal processo di produzione.
Corpi umani
di anonimi lavoratori sono visti attraverso le linee di sedie, di postazioni o
di macchine in basso sul suolo , in alto alla luce piatta e alogena attraverso
gli spogli soffitti. Fasci di neon, bianchi tubi in primo piano, imballaggi
Osram, etichette a vista.
Le lampadine sono pronte per essere inscatolate, impilate e poi sigillate in pacchi e cartoni in attesa della spedizione. Numeri e file di merci compaiono, poi container, muletti trasportatori e esportazioni in serie tutta la giornata nel quasi silenzio interrotto solo dai rumori ordinari degli imballaggi e dal basso continuo dei motori.
Le lampadine sono pronte per essere inscatolate, impilate e poi sigillate in pacchi e cartoni in attesa della spedizione. Numeri e file di merci compaiono, poi container, muletti trasportatori e esportazioni in serie tutta la giornata nel quasi silenzio interrotto solo dai rumori ordinari degli imballaggi e dal basso continuo dei motori.

Musica di pianoforte, lenta e avvolgente. Stesso sfondo industriale, scarpette di danza classica e una ballerina sulle punte in tutu bianco appare danzando tra i meccanismi a ripetizione ora arrestati della fabbrica. Altri corpi emergono, uomini e donne improvvisano gesti lievi, movimenti appena accennati di mani e braccia divenute ora ali di uccelli e linee di aironi ondeggianti in aria. L’abito leggero d’una danzatrice si lascia condurre in una danza lieve e sinuosa tra innumerevoli file di cartoni e imballaggi industriali; un uomo improvvisa un serie di gesti su un fondale divenuto ocra e beige, colorato e vivo come lui ora, non più ricoperto di quella patina d’acciaio e di ferro. Un chitarrista intona alcuni accordi, ali d’angelo sono viste sulla linea della catena di montaggio.
Tanti modi di
dirsi attraverso la danza in una possibile ri-affermazione di sé: la libertà
del corpo nel movimento , la libertà d’essere là, semplicemente danzando,
lasciandosi ondeggiare sulle note lente d’una musica di pianoforte.
lasciandosi ondeggiare sulle note lente d’una musica di pianoforte.
Immagini
colorate nella fabbrica in un’utopia di presenza, di umanità e di voce.
Autentici
esseri umani ri-compaiono: giovani, uomini e donne della Osram sono ripresi
nella loro vita quotidiana in un ritorno all’umano, al colore,
all’individuale oltre l’automatismo del
sistema.
Filmati nella
loro peculiarità appaiono come ritratti di individui singolari: un viso, un’espressione
, uno sguardo, la differenza unica di ciascuno. Imbarazzo e timidezza, orgoglio
o disagio nel comparire di fronte alla telecamera trapelano nei ritratti, i
colori blu, rosso e giallo, jeans e magliette colorate sullo sfondo d’un
ironica musichetta jazz. La nudità dell’esporsi di fronte a una telecamera,
dell’avere uno sguardo, un volto, dell’essere presenti, semplicemente per
mostrarsi in un istante di vita.
Esserci nella propria umanità, come gruppo, come singolo, sembra dire il video: il futuro è qui e ora, Osram deve poter divenire quel luogo d’insperata utopia.
Esserci nella propria umanità, come gruppo, come singolo, sembra dire il video: il futuro è qui e ora, Osram deve poter divenire quel luogo d’insperata utopia.