(Lucio Fontana, "concetto spaziale"
" Sfere")
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Giosetta Fioroni |
“La
ceramica che cambia” nella mostra organizzata dal MIC di Faenza
segue l’evoluzione del lavoro scultoreo
in terracotta dal secondo dopoguerra al presente; quale pratica scultorea essa
viene fatta riconfluire a pieno titolo nel filone delle arti plastiche
contemporanee liberandosi del proprio ruolo decorativo e ornamentale, dalle
precedenti gerarchie di appartenenza e categoria . Diviene oggetto di
sperimentazione e rinnovamento, parte integrante e una delle tante vie
aperte dall’evoluzione della scultura
moderna fino ai giorni nostri, frammista ai materiali più svariati, aperta a
tecniche diverse dalla pittura all’installazione, quale mezzo espressivo
antichissimo reinterpretato nel panorama multiforme e sfaccettato dell’arte
contemporanea. Tale evoluzione viene
anticipata, come mostra il percorso espositivo, da una grande personalità del
rinnovamento scultoreo italiano, Arturo Martini, che negli anni ’40 riporta
la scultura a un piano di figurazione realista e, insieme la investe di un nuovo
potenziale espressivo. Su questo stessa via si esprimono altri artisti in opere
diverse.

Nel suo grottesco darsi e disfarsi in uno stesso moto di definizione e sfinimento, di costruzione e sfasamento della figura nel colore, l’ocra avvicinandosi al marrone si trasmuta in giallo magma vulcanico, inarginabile rendendo la figura massa appena riconoscibile.
Altrove, un volto femminile (Saturni)
affiora delineandosi nella forma d’un oncia in maiolica verdastra, acerba e
scolorita nel riflesso attenuato in diluizione dalla pittura. La maschera-viso,
la testa culminante nel cranio aperto dell’anfora, il collo sinuoso e parte del
busto appaiono appena accennati; la figura trapela in questa particolare
rigatura, scanalatura d'un viso allungato, apparendo a tratti dal substrato
materico per casuale emergenza e in indissociabile unione con il fondo plastico
sottostante.
La scultura ceramica attraversa l’epoca del neo-cubismo con produzioni improntate sul lavoro picassiano degli anni ‘50/’60 dove domina l’esplorazione della tecnica pittorica dalle vivide, rilucenti cromie sulla ceramica, la sperimentazione attraverso assemblaggi di materiali su forme tradizionali di maiolica
“Dormiente
”(1998) in terracotta refrattaria di ingobbi e smalti coperto. Disteso al
contatto con l'arenaria fredda e sabbiosa riposa su questa duna di sabbia e
acqua attingendo al sole della marina e al suolo fresco d'arenaria improntato
di passi.
La testa riempita di passi,
di passi che dipartono dalla sabbia al cranio forato da un buco nero di proiettile, lui scarno rigenerandosi dormiente sulla sabbia matrice, il viso acerbo, inumano, oscurato, gli occhi socchiusi in un sonno d'immobilità e d' acque stagnanti.
Stigmate sulle mani sono date per acri verdi smaltati .
Una grande creatura d’acqua, un animale acquatico enorme sopra di lui, sovrasta il suo profilo ergendosi testa e corpo, anonimo, inconoscibile o senza volto. Gli occhi sono buchi neri svuotati, incorporei, inumani e la sua pelle squamosa del dorso sovrasta il dormente, un’ apertura o lacerazione sulla superficie della schiena.
La testa riempita di passi,
di passi che dipartono dalla sabbia al cranio forato da un buco nero di proiettile, lui scarno rigenerandosi dormiente sulla sabbia matrice, il viso acerbo, inumano, oscurato, gli occhi socchiusi in un sonno d'immobilità e d' acque stagnanti.
Stigmate sulle mani sono date per acri verdi smaltati .
Una grande creatura d’acqua, un animale acquatico enorme sopra di lui, sovrasta il suo profilo ergendosi testa e corpo, anonimo, inconoscibile o senza volto. Gli occhi sono buchi neri svuotati, incorporei, inumani e la sua pelle squamosa del dorso sovrasta il dormente, un’ apertura o lacerazione sulla superficie della schiena.
Il colore di fondo di questa duna ocra e porosa è tracciato dal profilo della figura sulla sabbia: l'impronta della
medesima, poi, quell'adiacenza o continuità forzata che lega la creatura
d'acqua, habillée d'eau, vestita d'acqua, al corpo di sabbia nel suo
contatto al suolo granoso e avvolgente.
Lo
strappo è improvvisa lacerazione sul tracciato del dorso, apertura sulla pelle irta
dell'animale, varco inciso sullo strato di materia d'argilla e, insieme, proteiforme tentativo di sovrapporsi e inglobare da parte dell'animale l'umano, da
parte della materia, la forma e la figura. Il cranio è aperto da un foro nero a lato, incisione e
fessura, ma il luogo atemporale, d’oro e di sabbia dello spazio su cui il corpo è
sospeso, sosta e si rigenera, resta rinvia a uno
spazio vagheggiato, a un luogo primario e atemporale apparendo là come limite
in controluce alla creazione.
Giosetta Fioroni, “Il mezzo fatato” (1998)
Una scala rossa sale verso l’alto, rilucente, fluida, ondulante nelle forme; il suo tronco rosso smaltato sale verso l’ aperto, infinitamente altro dando su uno spazio-dimora senza tetto e senza barriere, rifugio dalla forma non-finita afferrato da una mano d’oro, forse divina.
Una scala rossa sale verso l’alto, rilucente, fluida, ondulante nelle forme; il suo tronco rosso smaltato sale verso l’ aperto, infinitamente altro dando su uno spazio-dimora senza tetto e senza barriere, rifugio dalla forma non-finita afferrato da una mano d’oro, forse divina.
Il suo percorso d’ascesa verso l’alto resta come un’
enigma senza risoluzione dove tale antro sospeso si dischiude come un teatrino
delle meraviglie, un palazzo di carta velina, luccicante e dorata, apparente
tuttavia, al primo colpo di vento divelta. Lo sguardo surrealista rivolto a una
realtà immaginifica e fatata, liquefacente nelle sue forme, lascia il posto qui
a un moto ascendente che aspira, sembra, a un assoluto più puro, a un altro
tipo di infinito.
“Caravella” (Goffredo Gaeta) luccicante
d’oro in ceramica riflessa, smaltata e ondulante dalle forme risplendenti dei
vecchi velieri, dalle vele dispiegate, il vento a favore.
Sull’albero
oscillante attraversa le onde mentre la base frammista ai riflessi dorati sulle
acque è vista con qualche guizzo di blu
e smeraldo a prua, lungo il ponte in coperta scintillante nelle sembianze
ondulatorie e quasi animate del volto d'una dea.
Luigi Ontani, “TrumeauAlato” (1997-2007)
Il suo scrigno alato o antro delle
meraviglie è un oggetto performativo e teatrale per eccellenza, finemente
smaltato e rifinito in oro e pittura in ceramica, finemente decorato, assumendo
le sembianze tutte umane dell’artista nelle diverse personalità che convivono
in lui. Stivaletti smaltati e piedi nudi, zampe di tigre o di rapace nella
base, cassetti e antri segreti apribili come quelli dei piccoli secretaire
dell’epoca monarchica e libertina francese finemente rifiniti in oro e ceramica
dove si nascondevano pergamene e lettere manoscritte, sigilli e giuramenti,
veleni d’amore o filtri di morte. Tale oggetto rispendente da boudoir del
segreto appare decorato dai quadretti di Ontani auto-rappresentandosi in
differenti posture, imposture o celebrazioni narcisistiche di sé: come
Cristoforo Colombo esploratore impavido del mondo, poi riflesso attraverso i
suoi libri riprodotti nella forma di volumi talmente scintillanti da apparire
là in trompe-d’oil sul reale che uno sarebbe indotto ad aprirli, sfogliarli,
leggervi attraverso per scoprire che sono solo simulacri intagliati in oro e
ceramica, raffinate decorazioni
intessute sul nulla.
L’involucro svuotato d’una biblioteca
inesistente appare così ricomposta: il Cavaliere inesistente di Calvino, le
poesie di Baudelaire, la commedia "Divina"di Dante, il teatro di Molière, gli scritti di Cesare Pavese e
altro ancora. Mani, busto-trumeau librandosi verso l’alto si ricongiungono
alla testa dell’artista, volando insieme ad essa con le due statuette di Dafne
e Mercurio verso il proprio luogo alato.
Tale oggetto del segreto ricompone, tiene insieme tutta la saggezza e il sapere
del mondo ai suoi piedi, reale o lasciata ai suoi esterni
simboli e la celebrazione d’un sé
narcisistico, molteplice lui pure
simulato in questo piccolo antro delle meraviglie, luogo d’attraversamento come
d’Alice nello specchio, bijou-simulacro riflettente e performativo.
La pittura in ceramica di Nanni è la “Fantasia”
d'una mente radiografata in qualche sogno ad occhi aperti, la fantasia d'una
mente scomposta in diecimila posture, figure, affioramenti presenti fuori dal
tempo e dallo spazio possibili. E' una mente che visualizza forme geometriche,
sintesi d'elementi decorativi e non, figure inverosimili in uno sfolgorio di
colori e forme rinate da linee e punti diversi:
antri geometrici, manichini, scacchiere, patchwork di colori, stagni, laghi, pozzanghere e specchi d’acqua,
oppure semplici macchie colorate e intrusioni di volti di tanto in tanto fra
quelle.
.
Dagli anni
’50 fondamentale resterà per la ceramica la grande rivoluzione
stilistica aperta dall’arte informale nella suo rinato approccio alla materia,
nel ricorso al gesto accidentale, all’impulso segnico, nell’emergere della
traccia o del segno nella creazione d’opera, in un ritorno, infine, primordiale
all’impasto materico di cui la terra rossa d’argilla apparirà come componente
scultorea prima.
L’informale riflette da un punto di vista
filosofico la mutata coscienza del presente in epoca post-moderna insieme al
senso d’una rottura, ironico distacco e rivisitazione con la coscienza del poi
rispetto alla continuità storica della modernità; è, allo stesso tempo, tale presente a imporsi
nella sua urgenza vitalistica, nel gesto violento e immediato dell’action
painting americano, nella sua capacità di rottura e rinnovamento estetico
espressa dalle varie poetiche degli artisti informali. Pittura materica sostanzialmente
non figurativa: tracce, chiazze, segni filiformi, matasse, grovigli, filamenti,
macchie e grumi di colore, del segno allo stato puro, infine l’impasto denso,
intriso dell’apporto d’altri materiali sono
il più evidente manifestarsi della poetica dell’informale.
Attraverso le sculture dell'informale in ceramica...( immagini.. )
E' una testa-montagna in rilievo in colatura di colore materico, granuloso e d’argilla (Enrico Bai)
E' materia in ceramica squagliata,
lasciata fondere al calore estivo, come dolce dessert a poco a poco liquefatto
nel viso distorto d’un espressione d’attesa.
E' Scultura-massa, massiccia nell’imporsi
ineluttabile della sua forma primaria ed essenziale (Bertagnin).
Sono fogli di scrittura su ceramica, linee
di versi incise su rotoli di papiri a sfidare la leggerezza del tempo e la
fragilità della creta.
Sono tessuti, ragnatele e matasse;
E' la terra come luogo di poesia,
l’essenzialità della terra evocata attraverso le sue zolle scolpite in Zauli.
Intagliato sulla creta il suolo è aperto da crepe irregolari su una
terra incisa e dissecata di sale e d’acqua marina prosciugata e, in alcuni punti, ancora
visibile in pozzanghere rilucenti e argentee (Cherchi).
Tronchi si ergono da una base nuda in
“incontro d’inverno” , dove cortecce di bianche e grigie squame si mischiano a oscuranti vernici; la corteccia
squamosa si distacca a stralci come massa mossa e voluminosa contro la materia
dura, indelebile del tronco (Leoncillo
Leonardi).
Il “Cane” di Zauli liquefatto in irosi
guaiti schiuma lava ribollente di rabbia disfacendo contorni, linee e profili
fino a riportarli alle forze del basso della materia. Singolare ergendosi,
cumulo informe, materico d’animale organicamente visto.
Un albero liquefatto in tronco è aperto, scavato fino a renderci visibile la matrice disegnata dai suoi cerchi millenari; restano i residui materici della corteccia ai lati e il centro inciso del tronco mancante.
Una scala
discende, linee a scacchiera color ambra, rosso rubino e cenere
ossidata;
“il ventre di Giona”(Rontini) è scavato e inciso simile all’interno d’una grande foglia, l’incavo d’un albero svuotato e ricoperto d’oro e d’ocra.
Pagine scritte, un totem-graffito, un
volto graffiato;
Un involucro scavato come antro in
terracotta “dove si racconta l’angelo”;
un grande orecchio cosmico lo sovrasta dove si odono boati e echi dal mare (Valentini).
Impronte di foglie, disegni lievi del vento sulla sabbia (Lucietti).
un grande orecchio cosmico lo sovrasta dove si odono boati e echi dal mare (Valentini).
Impronte di foglie, disegni lievi del vento sulla sabbia (Lucietti).
Una meteorite precipitata dall’ altrove
come fulminea scheggia appare conficcata nella terra con una punta affilata.
La pelle ispida, squamosa d’un "serpente puntigliato di rosso la sera".
Lo scheletro inciso, argenteo brillante delle vertebre d’un uomo in platino e terzo fuoco.
Lo scheletro inciso, argenteo brillante delle vertebre d’un uomo in platino e terzo fuoco.
Il“dado esploso” di Zauli, il suo “primario esploso”: esubero di materia in
ceramica allo stato puro,
fluida, espansiva e riflessa di smalti e vernici.
fluida, espansiva e riflessa di smalti e vernici.
Lucio
Fontana, ricerca materica, dimensione spaziale
“Ho preso una massa di gesso, gli ho dato
una struttura approssimativa e gli ho gettato addosso del catrame. Mi
interessava trovare una nuova strada, una strada che fosse tutta mia”. (sulla
scultura “l’uomo nero", 1930). La vocazione alla materia in Fontana comincia ad
avere il sopravvento dal ’36 quando
attratto dalle potenzialità della terracotta scolpita vi lavora assiduamente
divenendo uno dei protagonisti del rinnovamento
della ceramica contemporanea. Modella la terra nell’apparenza cromatica,
luminosa e quasi astratta della sua scultura ma con un richiamo organico, sempre presente e quasi
magmatico alla materia. Dalla fine degli anni ’30 si fa anticipatore dei motivi
dell’Informale europeo dominanti dal secondo dopoguerra. In una
dichiarazione-manifesto del 1939 “la mia ceramica” afferma:
L’espressione nuova dell’arte spaziale di Fontana nei “concetti spaziali forati” su tela, nella scultura in ceramica e il suo nuovo modo di pensare lo spazio a stretto contatto con l’opera e oltre la bidimensionalità della tela, l’inclusione anche del vuoto in esso ne fanno un grandioso rinnovatore e precursore nei primi anni ‘50.
Il gesto assoluto di lacerazione su una materia statica, impenetrabile come quella della ceramica ossidata nelle sfere tende a modificare lo spazio, a mostrarcelo in una sua dimensione di infinito, di apertura all’indeterminato, ma anche nel vuoto che esso rivela attraverso la fenditura. Tale spazio in ogni caso aspira a ricongiungersi nell’ottica spazialista a uno “dimensione assoluta”, primaria e atemporale o comunque antecedente al flusso storico determinato .
Le perforazioni, i buchi sulle sfere dell’ocra e del nero smaltati paradossalmente nella loro ritmica precisa e definita non creano rottura ma continuità con lo spazio reale o apparente Questo altro spazio evocato, immaginabile come limite filosofico è simile a quel' infinito intravisto partendo dalla materia per trascenderla definitivamente.