sabato 2 novembre 2024

“Byron contemporaneo”, Giampiero Corelli ( Chiostri danteschi, Ravenna)





















 Lord Byron, figura di spicco del secondo romanticismo inglese, poeta e uomo di lettere ma anche politico e spirito indomito che come una voce fuori dal coro si impone nell’immaginario collettivo di tutta una generazione romantica, ha dato origine al cosiddetto mito dell’eroe byroniano: fascinoso, inquieto, dalla vita avventurosa travolta da innumerevoli passioni amorose, dalla morte eroica in Grecia, in ogni caso sempre e comunque ribelle rispetto alle convenzioni della società borghese a lui contemporanea. 

Byron trascorse in Italia una parte della sua vita sfuggendo dalla noia e la disillusione del proprio paese a causa di una serie di scandali personali e finanziari; soggiornò in diverse città italiane dal 1816 al 1823 per approdare  infine a Ravenna dove rimase tre anni nel corso di una intensa quanto illecita relazione amorosa con la contessa Guiccioli. La città oggi gli dedica un museo permanente  la cui apertura è prevista a fine ottobre  2024 a Palazzo Guiccioli in occasione del bicentenario della sua scomparsa e una mostra fotografica temporanea, rivisitazione dell’opera e del vissuto del poeta da parte del fotografo Giampiero Corelli in un riallestimento contemporaneo del mito byroniano.

 

Le immagini di Corelli illuminano come scintille o sprazzi luminosi alcune citazioni della vicenda e dei luoghi byroniani in una vera e propria immersione nel suo universo poetico legato a doppio filo al tempo presente. Un tracciato quasi inestricabile lega, infatti,  la poesia alla sua esistenza: la sua ricerca di libertà nel disprezzo del giudizio sociale, e, soprattutto, il mito del sé al limite dell’eccentricità riflesso nei suoi alter ego letterari . Le fotografie traslando dal passato al presente mantengono nel lavoro di Corelli lo spirito o meglio l’essenza del mito byroniano ma si rivestono dei volti e dei paesaggi del mondo contemporaneo. Nella prima immagine e forse la più rappresentativa della mostra un uomo a cavallo avanza verso di noi attraverso i fiotti dell’oceano mentre la linea dell’orizzonte dissolve alle sue spalle : l’uomo e la sua maschera. La verità poetica emerge attraverso la maschera dell’eroe solitario e ribelle sullo sfondo dell’oceano oltre la linea dell’orizzonte che spalanca come volevano i romantici una "finestra sull’infinito” .

 

 Il cavaliere errante


“Ancora una volta sulle onde. Ancora una volta! E le onde balzano sotto di me come destriero che conosce il suo cavaliere. Benvenuto al loro ruggito” (Childe Harold’s, III)


L’orizzonte è striato da bagliori tenui e violacei come fosse il sopraggiungere dell’alba e l’uomo a cavallo avesse percorso tutta la costa nella notte per sopraggiungere alla città sconosciuta ai primi bagliori dell’alba nella luce mattutina. Tenue, il mare scompare all’orizzonte là dove si incontrano terra e cielo, su quella linea d’ombra sottile che dissolve in lontananza oltre il nostro sguardo. L’uomo avanza cavalcando verso di noi a raso delle acque: ombra, fantasma quasi proveniente dal passato, maschera imponente e misteriosa, malinconica e austera in questa figurazione contemporanea dello spirito romantico. Il volto appare ora in primo piano: una maschera bianca e neutrale che celando mette a nudo il carattere indomito dell’eroe solitario e ribelle evocato dal tema byroniano.

L’oceano

“Io non amo di meno l’uomo ma di più  la natura per questi nostri incontri nei quali mi allontano furtivamente da ciò che posso essere ora o essere stato prima, per unirmi all’universo e sentire quello che non posso mai esprimere eppure nemmeno mai interamente celare”. 

Il mare ritorna come un eco incessante nelle diverse composizioni poetiche tra cui il quarto canto di Childe Harold’s evocando l’idea di un’infinità insita nella natura che supera e mette alla prova i limiti dell’umano secondo il concetto di sublime romantico. Là,  il poeta e l’uomo percepisce la propria finitezza e, insieme, quell’intima tensione verso ciò che lo conduce oltre: l’incommensurabile che la natura porta in sé. Là, ancora, sente risvegliarsi questa sua sete inesausta di  spirituale divenendo egli stesso parte dell’infinito che si rivela.

 

 La passione amorosa

 “In questa parola bella in ogni lingua, ma soprattutto nella tua_ amore mio_ è compresa la mia esistenza. Sento che esisto qui e temo che esisterò in seguito, a quale scopo lo deciderai tu. Il mio destino riposa in te” ( Lettera alla contessa Guiccioli. 1819)


L’intensità del sentimento amoroso verso la donna cui indirizza questa serie di epistole , la contessa Guiccioli, pur attraverso una relazione clandestina destinata a concludersi a breve si esprime con parole scritte in una lingua straniera, l’italiano, fatta propria per amore. Le immagini di Corelli in questo frangente  si ispirano direttamente al vissuto biografico del poeta oppure come citazioni più sottili lo riportano alla realtà dei giovani volti d’oggi.

 

Farewell my love but not all mine”

 Sullo sfondo di una biblioteca dai volumi antichi nella dimora di una nobile famiglia ravennate_ semi-avvolti dall’oscurità del luogo_ i due amanti nella rivisitazione di Corelli  leggono insieme da uno stesso libro citando implicitamente il Canto Quinto dell’Inferno di Dante con Paolo e Francesca. Le due figure appaiono ricomprese dentro quest’unica aurea luminosa e passionale che li mostra come unità insondabile  e insieme li staglia opponendoli attraverso il  forte chiaroscuro al nero del fondo. I volti illuminati, il calore del respiro fra i due corpi stretti l’uno all’altro nella parziale nudità_ intravvediamo il corsetto della donna e la camicia bianca di lui _ , si stagliano nell’oscurità insieme al grande libro aperto che tengono tra le mani come unico elemento di connessione con l’esterno. Alludendo, implicitamente, al consumarsi  di una segreta relazione amorosa.  

 

 “Tutti gli addii dovrebbero essere improvvisi quando sono per sempre”.

 Nell’immagine successiva, ritorna l’allusione ai pochi momenti di intimità rubati tra i due amanti in una relazione che si consuma perlopiù a distanza e sfocia inevitabilmente in un addio. L’abbraccio clandestino tra i due in primo piano  occultato dai lunghi capelli di lei che ne nascondono i volti si staglia ancora una volta sullo sfondo della biblioteca scura in rovere antico. In un’altra foto sono in primo piano le lettere d’amore manoscritte e scambiate segretamente tra i due amanti come il solo strumento per manifestare e cedere alla propria passione, ora per dirvi addio.

 

La maschera: “E dopo tutto cos’è una bugia? Solo la verità in maschera”

 

Tanto  ha a che vedere nel mito letterario costruito da Byron con l’illusione e la verità, una finzione che permette di raccontare una qualche verità più profonda, insidiosa da svelare. Da un lato Byron crea attraverso la propria immagine pubblica e alter ego poetici il mito di un eroe inquieto e solitario, nobile di nascita, outsider per eccellenza della società benpensante inglese che fugge lontano dal proprio paese per nascondere un qualche retaggio del passato e vede riflessi i propri stati d’animo nell’immensità della natura. Dunque la poesia in questo caso consolida la finzione di un personaggio che si offre come maschera, invenzione letteraria di una soggettività poetica. Basti pensare agli alter-ego poetici da Childe Harold alla versione più satirica di Don Juan. Da un altro punto di vista, Byron attacca la società inglese toccando il tema dell’ipocrisia e della falsità che la caratterizza là dove la maschera è ciò che occulta o manipola  secondo i propri fini la semplice e nuda realtà. Alter ego, maschere e commistioni tra l’umano e l’animale riempiono questa sezione delle immagini di  Corelli riportando al centro il tema della dualità dell’uomo e del poeta Byron: l’energia animale e quella mentale, la ragione e il sentimento, la maschera che occulta e insieme svela una verità   poetica soggiacente.

 

“Sono portato a pensare che una persona abbia non solo la pelle che appare all’esterno, ma ne abbia anche due o tre all’interno”.

 

Nell’immagine di Corelli un giovane uomo e una donna sullo sfondo di un salotto di una dimora nobiliare appaiono avvolti nella vibrazione e nella tonalità di un rosso vivo ripreso dai broccati degli interni e delle tende. Rosso è l’abito sottoveste lungo sensuale della donna e la tunica dell’uomo, rossa la maschera che tiene in mano la giovane mostrando il suo volto nudo, opposto alla maschera nera di lui diviso tra il corpo dell’umano e la testa dell’animale che gli copre il volto. Un gioco di rinvii si dispiega da un’immagine all’altra della serie fotografica: un dialogo amoroso scandito dal silenzio, da un’improvvisa rottura o da un addio preannunciato tra i due personaggi nella foto .

La maschere figurate da Corelli possono in definitiva essere viste come la serie la volti differenti e contradditori  con le quali il poeta Byron era solito mostrarsi alla società borghese e conservatrice cui tentava di rifuggire nel suo paese  ma anche come gli Alter Ego poetici, da Manfred a Harold, che nel tempo hanno dato vita al mito dell’eroe byroniano. Eppure sono proprio quelle maschere a permettere a Byron di rompere i legami oppressivi, l’eredità soffocante del passato e la tradizione letteraria classicista aprendo la via così verso una poesia lirica nuova, totalmente soggettiva, romantica di ispirazione ma tendente già verso un linguaggio poetico moderno.