Hiroshima e Nagasaki furono completamente
distrutte da due bombe atomiche lanciate nell’arco di due giorni sulle due
città giapponesi ( il 6 e il 9 agosto la
data del primo e del secondo lancio) per sancire nelle parole dell’esercito
americano la fine del II conflitto mondiale. Oltre la morte immediata di centinaia
di migliaia di persone seguirono nei giorni e negli anni a venire gli effetti
devastanti, irreversibili e prolungati delle radiazioni sui corpi e sugli spazi
contaminati nel breve o lungo termine tanto da produrre conseguenze visibili o
non immediatamente manifeste, menomazioni fisiche o irreversibili traumi sugli
individui.

“Il mio lavoro e` una profonda affermazione
di appartenenza verso il mio paese nella pittura come nella performance ma
anche condividendo con esso uno stato d’essere , una tensione diffusa, apparente,
un’inquietudine permanente verso il futuro. Perche’ abbiamo visto e studiato a
diverse riprese il passato sviluppando una consapevolezza storica differente
sull’esistenza. Ho creato una serie di paesaggi antropologici e geografici
basati sulla mia visione e sensibilità”. Una specie di ragnatela dove le storie
si intessono tra passato e presente, vere o presunte, tratte da documentazioni
storiche o fittizie, chiare o oscure, situandosi tra il pubblico e il privato, tra
le immagini d’archivio o la trasposizione pittorica, espressionistica e
assolutamente soggettiva delle medesime.
Attraverso i filtri colorati che ne
trasformano o influenzano completamente le sembianze le città di Nagasaki e
Hiroshima appaiono ora ricoperte da uno schermo o velatura giallo-arancio
simile a una radiazione diffusa e illocalizzabile, bruciante come una sfera di
fuoco, un nucleo solare incandescente d’inverno, ora assumendo i colori grigio-argenteo
slavato e verde cinereo di una bomba all’idrogeno esplosa: la colorazione
cianurica e malsana di una distesa velenosa e epidemica di morte, d’una
contaminazione irreversibile e sottilmente dilagante, corrosiva sulla superficie
della terra.
Una decorazione militare del corpo kamikaze sullo sfondo d`una sfera solare arancio da’ inizio emblematicamente alla serie dei dipinti disposti in piccolo formato sulla parete; seguono i ritratti stilizzati in ideogrammi a china e matita degli ufficiali dell`esercito responsabili del lancio dell’atomica, il volto sullo sfondo violaceo e rosato d`una madre con il figlioletto in braccio in un ritratto velato che riporta l’immagine alla dimensione del mito o del sacro quasi celato nell’enigma del volto femminile; di lei si racconta che si gettò in un fiume insieme ai propri figli lasciandosi annegare per permettere al marito di proseguire la propria carriera nell`esercito al più alto grado come kamikaze di morte.


Ancora, appare un orologio da polso ricoperto d`una patina
verdastra e immobile, l`incisione inattesa del giorno e dell`ora, della data rimasta
fissata alle 8 e 15 del mattino, il momento preciso in cui venne sganciata la
bomba su Hiroshima a un km dall` epicentro. Il velo verdastro della patina che ricopre
simbolicamente l`oggetto e la data dell`evento in un`altra versione diviene una
coloratura sfumata,cinerea e bluastra che come le ceneri dopo una combustione
ricopre di quella distesa di polvere e fumo l’oggetto dopo l’esplosione.
Hiroshima e` vista nei colori del grigio e
del rosa sfumati, diluiti e diffusi come un’infinità di minuscole particelle
ionizzate dall`irradiazione attraverso l`atmosfera. L`orizzonte della citta’ e`
sempre piu` cancellato dalla nuvola atomica di particelle gassose in espansione
che ne dileguano ogni forma solida, la linea di ogni contorno in slavature intenzionali
di colore, il blu, il grigio e il rosa o nella loro parziale svaporazione
eterica.

Una pioggia nera appare ancora su uno
sfondo rosato in rigatura di linee dense e oscure lasciando rigagnoli e tracce d`acqua colanti scavate sulla superficie del quadro: si dice che una pioggia nera cadde
dal cielo a pochi giorni dall`esplosione sul fondo rosato e violaceo di una
citta’ colpita, anestetizzata e semi-distrutta.
Nagasaki appare come un corpo carbonizzato,
come lo scheletro d`un luogo di morte, cinereo, grigio e cianurico in un`altra
versione della serie. Un sandalo incenerito e rimasto intatto nella sua forma
originaria appare tra i primi piani degli oggetti assunti come segni o simboli indelebili della tragedia su uno sfondo blu
indaco e celeste, reso quasi irriconoscibile da una pioggia di colore
espressionista. Ancora un triciclo abbandonato
è dipinto in primissimo piano maculato in macchie d’arancio incendiarie
e divoranti come le radiazioni di un sole infuocato su una patina grigia di
fumo e di sonno mortale. Infine un`uniforme mimetica verde militare appare
letteralmente corrosa dagli effetti d’una radiazione diffusa e impalpabile.
Nella serie il volto di una giovane donna ustionata a quattro giorni dall’esplosione appare in un violento chiaro-oscuro a matita e acrilico su tela. Volto sfigurato, in parte cancellato dalle lesioni, la capigliatura e il contorno sono resi per l’effetto d’un segno violentemente tracciato, inciso quasi, violaceo, indaco e innaturale contro l’involucro esterno della pelle ricoperta di cicatrici, intensamente segnata anch’essa, grigiastra e marcata come la maschera di un volto assente in sé stesso; quasi il calco funerario di un’umanità scomparsa, gli occhi restano cavità vuote, spente prive d’ogni scintilla di vita a renderli ancora riconoscibili e umani.

Come un’eco da un tempo altro, come la memoria di un’età mitica fuori dalla storia e dalla cronologia degli eventi, come una dimensione poetica intrecciandosi a quella dell’attualità tragica raccontata dalla storia recente di Hiroshima, un altro ideogramma appare, ugualmente ricoperto d’una patina rosa, indaco a tratti intensamente violaceo di colore che trasfigura i volti e i corpi fino a trasporli ancora una volta in una dimensione irreale, mitizzata e astratta. In questa versione è una fotografia di gruppo, una scuola femminile prima della guerra, studentesse d’una istituzione altolocata giapponese e insegnanti reclutate in seguito durante la battaglia di Okinawa nel 1945 come infermiere volontarie, la metà delle quali morì durante la guerra. Ritratti immobili fissati nell’istante atemporale di una eterna edenica infanzia: questa volta il velo rosato e indaco posto sull’immagine è quello lieve e impalpabile della memoria, dell’infanzia come luogo mitico antecedente la storia e non intaccato ancora dall’ombra o dalla traccia manifesta della sofferenza, del conflitto o della morte. Volti antichi, lontani da ogni identificazione realista possibile, capelli intrecciati, camicette bianche candide, gonne lunghe tra loro d’una identica uniforme imposta alle giovani allieve, poi il velo distanziante, la patina lieve e avvolgente del ricordo, quasi come se l’immagine fotografica fosse colta nell’immobilità di un istante unico e irripetibile.
“Facing
histories in Hiroshima” la reading-performance tenutasi il 6
agosto per rendere omaggio alla memoria storica dell’evento e alle
sue vittime ha combinato le modalità espressive del teatro
giapponese classico che affonda le sue radici nella tradizione del n^o e del kabuki , teatro ritualizzato ricondotto all’essenziali d’una
“messa in scena” che fissa la forma come pura presenza scenica
attraverso un lavoro particolare sull’energia e sull’essenzialita’ del gesto, nonché attraverso l’uso di maschere. Dall’altra
parte era la tradizione performativa occidentale attraverso la
lettura di testi poetici estratti da autori sopravvissuti alla
tragedia nella voce lenta, limpida e tenue di Yumi Karasumaru e sulle
sonorità elettroniche di Enrico Serotti. Paesaggi sonori
accompagnano creati dalla combinazione aleatoria, di suoni, basi
elettroniche e suggestioni vocali nella pura improvvisazione del
momento.
Quadri
dell’artista sono proiettano sullo sfondo di una parete immensa
mentre un recitativo lento e scandito prosegue nelle due lingue,
l’italiano e il giapponese, attraverso la lettura di un papiro
bianco che srotola progressivamente al suolo ai suoi piedi.
Il
profilo del corpo nel kimono bianco si tinge come la città delle
diverse colorazioni dei quadri proiettati sul muro: paesaggio
dell’anima astratto e espressionista e’ dato per diverse tonalità
emotive, ora cinereo, lugubre e grigiastro nella sembianze di una
morte annunciata per Hiroshima dopo l’esplosione, ora infuocato,
rosso, irradiante nella contaminazione che ne ricopre ogni corpo e
luogo nei mesi e gli anni a venire. Una polifonia di suoni
elettronici accompagna, paesaggio sonoro creato dai gesti lenti,
minimali e improvvisati del musicista sintetizzando gli input vocali
e sonori su scena.
“I
corpi si espandono così terribilmente che non ci sono più confini,
quello di un uomo e di una donna visti in un’unica forma.”
Un
volto carbonizzato, devastato dal fuoco. Parola flebile, sussurrata:
“Aiutatemi per favore. Questo è il volto di un essere umano”.
“Trovarono
rifugio in una stanza, neppure una candela tra loro. L’odore di
sangue crudo, il sudiciume, il sentore di morte.
In
quella stanza del seminterrato, una giovane donna stava per dare alla
luce un bambino, nel travaglio senza neanche un fiammifero acceso a
rischiarare la totale oscurita’.
Le
persone non pensavano più a loro, alla loro paura, al loro dolore,
aiutarono l’arrivo del nuovo nato.
La
levatrice morì in mezzo a una pozza di sangue senza poter vedere
l’alba del nuovo giorno, morì portando alla luce una nuova vita.
Portare
avanti la vita anche se doveva lasciare la sua, una nuova vita là in
mezzo all’ inferno.”
“Ridateci
la pace.
Ridateci
i nostri padri, le nostre madri, i nostri anziani, i nostri bambini.
Ridateci
noi stessi. Ridateci coloro che hanno dato senso e bellezza alla
nostra vita.
Ridatemi
me stesso, ridatemi il calore che da senso alla mia esistenza.
Ridateci la pace, una pace umana, semplice e sacra che persista finché questo mondo possa chiamarsi di nuovo umano”.