All’inizio
del percorso è un melo verdeggiante visto su una tela enorme che occupa tutta
la superficie di una parete in mattoni a vista e s’apre in cima a un’enorme
scalinata in marmo;la mostra prosegue poi da un corridoio centrale in salette
laterali dall’intonaco scrostato e varchi o fessure sulle pareti grezze
nell’antico convento di San Francesco a Bagnacavallo volutamente scelto per
ospitare l’opera di uno degli artisti più originali del novecento italiano:
Mattia Moreni.
Fino
alla fine del prossimo gennaio, infatti, in tale spazio inusuale all’apparenza
disertato, lasciato al decadimento della sua forma originale di “luogo
religioso” ma irradiato di una luce
naturale, soffusa che lo attraversa come una scia luminosa da lato a lato è
visitabile la prima parte del percorso espositivo dedicato a Mattia Moreni: “Dagli
esordi ai cartelli”. Il progetto proseguirà itinerante con altre quattro mostre
fino alla conclusione del ciclo espositivo a Maggio 2026 per celebra la poetica
del pittore dagli inizi all’apice della carriera in particolare nel suo legame
unico e profondo con la terra romagnola.
“Un
melo”(1964) dunque si erge all’inizio del percorso immenso nelle tonalità verdi
e azzurre sulla parete centrale della galleria. Così lo vede Moreni, portato
quasi alla deformazione espressionista nell’uso esacerbato del colore in poche
linee essenziali eppure vitali, sospinto dal vento che come ondata lo travolge e lo assimila al
suolo verdeggiante ma anche, lo trasforma in un’entità vivente, innata nel
movimento, antropomorfa quasi. Lo sfondo del cielo è ugualmente soggetto a tale
immersione profonda in un blu espressivo, intenso e anti-naturalistico.
La fase espressionista: “Autoritratto” (1946)
Verde
e rosso i colori sulla tela, la figura appare deformata, squadrata e
ingigantita di fronte ai nostri occhi come ci trovassimo dentro “a un racconto
fantastico” o nella cosmogonia di un mondo aspro e favoloso dalle qualità
tipicamente espressioniste. Tuttavia, al di là della dissimulazione del corpo
reso in dimensioni innaturali ed esasperate lo sguardo irrompe piangente,
genuino e malinconico facendo risuonare sottile e oscura una qualche voce
dell’anima. Emerge chiaramente nel Moreni di questo periodo la vivacità della
stagione giovanile nelle sue molteplici sperimentazioni che lo porta di lì a
poco ad avvicinarsi al cosiddetto “movimento dell’astratto/concreto”
lasciandosi alle spalle l’espressionismo per entrare tangenzialmente a far parte del “Gruppo degli Otto” esponenti
dell’Informale italiano definito dal critico Lionello Venturi.
L’Astratto-geometrico
: “Canale Candiano “(1953)
In questa fase di formalismo astratto è l’analisi o meglio “la disposizione mentale del segno” che domina sulla tela distillando qualche porzione di realtà per trarne un reticolo astratto-geometrico. Tuttavia, nella visione del “Canale Candiano” del 1953 l’atmosfera crepuscolare del mare con le sue reti e battelli dei pescatori trapela oltre la griglia geometrica attraverso il riflesso argenteo, grigio-azzurro del corso d’acqua fermo, immobile nella luce smorzata del tramonto che rimanda a una realtà più materica e concreta, più palpabile anche negli oggetti a lato, segno di linee e forme decise a prendere corpo a poco a poco sulla tela.
L’informale
Tra
il 1956 e il 1966 Moreni vive e lavora tra Parigi e Palazzo San Giacomo a Russi
nel ravennate eletto come suo atelier temporaneo di pittura avvicinandosi al movimento dell’Informale di matrice
francese per giungere lì probabilmente al culmine della sua fama ed esporre nelle
principali gallerie europee. La sua pittura si fa sempre più “emotiva”,
coinvolgendo l’esistenza tutta in una espressione “Informale” della medesima:
grandi pennellate, segni potenti e
materici, colori vivaci nel confronto, infine sempre, con la natura in un
ritorno alla realtà seppur su matrice astratta. Un medesimo paesaggio appare qui
per esempio, reincarnarsi su due tele parallele , nel grigio prima e nel verde
poi, facendosi sintesi di un’immersione totale nel colore e, insieme, di un gesto
astratto per la pittura.
Cartelli e paesaggi: lo scontro violento con la natura
L’insorgenza di un grido “ primario e primordiale, incombente e opprimente,
terribile nella sua forza e raffigurato con tutta la sua carica psico-fisica”, tale l’essenza di questa nuova strada e insieme la svolta radicale che a partire dal 1959-60 assume la pittura
di Moreni elaborando una nuova poetica dei “paesaggi” e dei “cartelli”. I primi
incarnano quell’urlo silenzioso e inaudito dell’umano che come emergenza
psichica istintiva non può essere taciuto né detto ma riesce a tradursi solo in
pura traccia e segno materico. I secondi appaiono come messaggi criptati
lanciati al vento nell’isolamento della campagna oppure nascosti dentro una
bottiglia di vetro; la denuncia di un
qualcosa che viene meno o disintegra nella realtà e nella storia a lui contemporanea
in una tendenza progressiva verso la regressione
pittorica degli anni successivi.
“Immagine bestiale”, (1960)
Violento, incontenibile
come l’estrapolarsi di un getto di colore nell’irreversibile potenza del nero,
appare il paesaggio in questa tela, quasi in una rottura violenta alla memoria
di un dripping pollockiano. Colore-impronta, colore-emozione ad effetto sulla
tela, colore come vita e morte insieme interfacciate, celate tra il nero, il
grigio e l’ocra oltre i confini sanciti
dalla cornice, oltre la fine della superficie bidimensionale del quadro
simile a una ferita, un grido o semplicemente un’insorgenza di materia e vita.
“Un cielo cattivo” (1957)
E’ una terra vista come
globo circolare, sferico nella forma della tela da Moreni scelta per questa
“emergenza” di paesaggio dove tensioni
ed energie insieme attrattive e repulsive la attraversano. E’ “un cielo
cattivo”, una terra malata, una commistione di colori a raffica dove il nero ancora la fa da
padrone frammista ad ansiti di bianco e schegge di rosso e di blu. E’ la
complessità di forze incontenibili dentro una cornice spingendosi fuori in
un’emergenza materica non figurativa ma neanche completamente astratta. E’ qualcosa che inciso, lacerato o
scritto vuole manifestarsi, gridare o rendersi visibile in una traccia puramente
pittorica.
Cartello “non calpestare il prato”(1964)
Su uno sfondo grigio e
denso, su una copertura totale di vernice come del reale esistente un cartello
quasi banksiano appare nella scitta incisa e colante in bianco: “ non
calpestare il prato”, non gettare via fiori invano, non calpestare la vita
sulla terra, non rovinare o distruggere ogni spazio vivente intorno a te, e
ancora, lascia uno spazio di bianco e di vuoto, una pennellata di luce, una
scia aperta di bianchezza e di candore per i cuori e le menti quando la realtà
intorno sembra sempre più oscurarsi, essere ingoiata e scomparire.
“Agonia di un campo”
(1969)
Come afferma Moreni “il
rapporto tra il pittore e la terra che ha scelto è un rapporto d’amore” alludendo
alla terra romagnola dove Moreni decide di insediarsi per gran parte della sua
vita, qui prescelto come focus per l’intero percorso pensato in cinque tappe
museali. Tuttavia , l’artista rileva anche nella fase più regressiva della sua
produzione come sempre più la realtà appaia ai suoi occhi precaria o destinata alla dissoluzione, i campi plastificati o
fatti esplodere dalla chimica dell’inquinamento e la natura sempre più soggetta
alla distruzione.
“Travolto dall’ ammoniaca
e dall’acetone dell’Anic” il campo di Moreni qui rappresentato “esplode e
muore” ma dileguando sulla tela immensa della parete irradia ancora di luce
propria o riflessa. Dissolve dal verde iniziale della natura al bianco livido
dell’irradiazione, sfuocato in una luce quasi irreale e metafisica con qualche
tocco di ocra e di pastello. Dal livore conclamato della terra a una levità e
leggerezza inaspettate l’artista chiude così in un cerchio perfetto la sua
visione della natura da quella verdeggiante e espressionista della tela iniziale
a questa eterea e dileguata dell’ultima
versione.