lunedì 23 marzo 2009

Metamorfosi e danza






























“Il multiplo, l’acqua, il mare”. Tutto questo spazio estraneo, “labirinto immenso, sconfinato dove sono precipitato”[2]. Come potrei sapere che il groviglio non é infinito, che arriverò un giorno ai suoi confini, che tocchero’ i suoi margini esterni? Confondo gli alberi, questi alberi che si assomigliano tutti; sento rumori intorno ma non so da dove provengano, uno é più forte degli altri, mi afferra, ma no, non é un rumore...é come un mormorio, un brusio di fondo, un sussulto che mi guida, appena percettibile. Cresce di giorno in giorno, basso e continuo, quando gli altri restano discontinui, infranti, intermittenti...

La danza fa del corpo “un possibile[3]una pura possibilità, questa cosa che nasce e muore nel momento in cui non sono nessuno e posso divenire mille forme possibili.

Primo tragitto: ritorno al nulla, all’indifferenziato.
Devo camminare verso la “non esistenza”, l’indeterminazione, la nudità: il luogo dove sono nudo e solo, al più di dentro di me stesso e dunque al di là di me stesso, li’ dove divengo una pura possibilità. Su una scena devo diventare questo “corpo bianco”[4], impossibile a dirsi, innominabile quasi. Il butoh lo fa vedere nella messa in scena dei suoi corpi embrionali, larve o bozzoli di fiori dischiusi, ricoperti di colore bianco riportati alla matrice della materia attraverso il contatto primo con il suolo.
Devo raggiungere questo spazio bianco, nudo, non protetto dalla costruzione di un’identità, per questo tanto più esposto alle raffiche di un di-dentro, di-fuori, lentamente condotto sul bordo di un precipizio dove voglio lasciarmi precipitare spinto verso la voragine che s’apre ai miei piedi.
Sono libero come una parola che scrive, rapido come un pensiero che sfugge,
leggero come una danza d’acqua. Nudo e trasparente, folle e ragionevole, capace di tutto o di nulla, saggio e ingenuo, bambino e vecchio insieme, indeterminato e per questo soggetto ad infinite determinazioni[5].

Kaos é l’increato del mondo[6], la confusione pura della materia anteriore ad ogni creazione, il disordine che precede ogni taglio sulla forma. Che cosa ha a che fare tutto questo con la danza, questa sorta di caos primordiale da cui sorge una partizione di senso e anche quando una composizione si costituisce, possiamo dire secondo leggi proprie, c’é sempre un continuo processo, va-e-vieni come del divenire figura di una materia animata e vivente e poi del suo ritorno all’informe originario.

Pensando ai danzatori di butoh

All’origine della vita é il caos, lo stato disorganizzato della materia, l’universo acquatico dal quale si genera la vita nel cosmo. E’ cosi’ che deve essere stato agli inizi; è quello che la danza butoh ci insegna nel suo approccio al suolo, al peso, al contatto con la forza gravitazionale del corpo a terra. Più tardi arriva la forma finita delle cose, l’ordine ritagliato dentro il disordine universale quando la materia fluida, liquida o malleabile incomincia a prendere forma, a fissarsi in unità discrete, in concentrazioni finite di energia e materia.
Potremmo immaginare uno stato mediano di passaggio tra l’informe e la forma, tra il caos aperto e turbolento e la fissità di qualcosa che si irrigidisce defininendosi nel tempo. Potremo pensare a questo stato temporaneo di transizione tra due poli dove le forme sono ancora fragili e lo scambio dall’uno al multeplice generatore di infinite possibilità. Pensiamo a quest’immagine vedendo le cellule elementari, i fragili equilibri di forme sensibili nell’atto di venire alla luce come esistenza .


[1] Questa parte è stata suggerita da alcuni passaggi di Michel Serres, Genèse, Grasset, Paris 1982.[2] Ibid, p. 73 : « Il danzatore come il pensatore è una freccia verso l’altrove. Fa vedere altra cosa, la fa esistere. Fa discendere un mondo assente nella presenza. Deve dunque lui stesso essere assente. Il corpo del danzatore é un corpo possibile, é bianco, nudo, non esiste »[3] Ibid.,[4] Ibid, p. 73[5] Ibid. p. 84 : « L’uomo non ha istinto, non é determinato, l’uomo é libero, l’uomo é possibile. Libero come la mano, rapido come il pensiero, possibile come la giovinezza, libero come la danza lo forma e lo rompe.”[6] A questo proposito si veda Michel Serrès, Genèse, Grasset, paris, 1982, p. 160 « Il tempo é un caos in primo luogo, é in primo luogo un disordine e un rumore. Il presente ora è questo miscuglio inestricabile. Questo caos non è soltanto primitivo, mi accompagna a tutti i passi, lo dimentichiamo spesso, spesso i gruppi e la storia lo ritrovano.”

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