lunedì 22 agosto 2016

"FACING HISTORIES IN HIROSHIMA" reading-performance e mostra al Mambo di Bologna





Hiroshima e Nagasaki furono completamente distrutte da due bombe atomiche lanciate nell’arco di due giorni sulle due città giapponesi ( il 6  e il 9 agosto la data del primo e del secondo lancio) per sancire nelle parole dell’esercito americano la fine del II conflitto mondiale. Oltre la morte immediata di centinaia di migliaia di persone seguirono nei giorni e negli anni a venire gli effetti devastanti, irreversibili e prolungati delle radiazioni sui corpi e sugli spazi contaminati nel breve o lungo termine tanto da produrre conseguenze visibili o non immediatamente manifeste, menomazioni fisiche o irreversibili traumi sugli individui.

Nel corso di una performance-reading al Mambo di Bologna Yumi Karasumaru ha reso omaggio alla storia drammatica contemporanea del proprio paese attraverso una rielaborazione consapevole, emozionale e poetica insieme della memoria collettiva e personale risvegliata attraverso le immagini tratte dalla storia recente dell`esplosione atomica in Giappone. Riproduzioni, proiezioni su larga scala di fotografie tratte dalla stampa, dai filmati o da collezioni private dell’epoca sono stati successivamente reinventati dall’artista attraverso una pittura libera emozionale, in ideogrammi lirici improntati sulla tradizione pittorica giapponese e sui versi brevi degli haiku. L’esito è una rivisitazione espressionistica, poetica, affidata in primo luogo alla vibrazione sperimentale di una cromia estrema che evoca pur nella scelta della figurazione un tipo di pittura informale e astratta.

“Il mio lavoro e` una profonda affermazione di appartenenza verso il mio paese nella pittura come nella performance ma anche condividendo con esso uno stato d’essere , una tensione diffusa, apparente, un’inquietudine permanente verso il futuro. Perche’ abbiamo visto e studiato a diverse riprese il passato sviluppando una consapevolezza storica differente sull’esistenza. Ho creato una serie di paesaggi antropologici e geografici basati sulla mia visione e sensibilità”. Una specie di ragnatela dove le storie si intessono tra passato e presente, vere o presunte, tratte da documentazioni storiche o fittizie, chiare o oscure, situandosi tra il pubblico e il privato, tra le immagini d’archivio o la trasposizione pittorica, espressionistica e assolutamente soggettiva delle medesime.

Attraverso i filtri colorati che ne trasformano o influenzano completamente le sembianze le città di Nagasaki e Hiroshima appaiono ora ricoperte da uno schermo o velatura giallo-arancio simile a una radiazione diffusa e illocalizzabile, bruciante come una sfera di fuoco, un nucleo solare incandescente d’inverno, ora assumendo i colori grigio-argenteo slavato e verde cinereo di una bomba all’idrogeno esplosa: la colorazione cianurica e malsana di una distesa velenosa e epidemica di morte, d’una contaminazione irreversibile e sottilmente dilagante, corrosiva sulla superficie della terra.








Una decorazione militare del corpo kamikaze sullo sfondo d`una sfera solare arancio da’ inizio emblematicamente alla serie dei dipinti disposti in piccolo formato sulla parete; seguono i ritratti stilizzati in ideogrammi a china e matita degli ufficiali dell`esercito responsabili del lancio dell’atomica, il volto sullo sfondo violaceo e rosato d`una madre con il figlioletto in braccio in un ritratto velato che riporta l’immagine alla dimensione del mito o del sacro quasi celato nell’enigma del volto femminile; di lei si racconta che si gettò in un fiume insieme ai propri figli lasciandosi annegare per permettere al marito di proseguire la propria carriera nell`esercito al più alto grado come kamikaze di morte.



Ancora, appare un orologio da polso ricoperto d`una patina verdastra e immobile, l`incisione inattesa del giorno e dell`ora, della data rimasta fissata alle 8 e 15 del mattino, il momento preciso in cui venne sganciata la bomba su Hiroshima a un km dall` epicentro. Il velo verdastro della patina che ricopre simbolicamente l`oggetto e la data dell`evento in un`altra versione diviene una coloratura sfumata,cinerea e bluastra che come le ceneri dopo una combustione ricopre di quella distesa di polvere e fumo l’oggetto dopo l’esplosione.
Hiroshima e` vista nei colori del grigio e del rosa sfumati, diluiti e diffusi come un’infinità di minuscole particelle ionizzate dall`irradiazione attraverso l`atmosfera. L`orizzonte della citta’ e` sempre piu` cancellato dalla nuvola atomica di particelle gassose in espansione che ne dileguano ogni forma solida, la linea di ogni contorno in slavature intenzionali di colore, il blu, il grigio e il rosa o nella loro parziale svaporazione eterica.

In altri quadri la  città e` vista come ricoperta da macchie e aloni d’un infinita’ di punti d`arancio frammisto a grigio sullo sfondo d`una tonalita’ rosso bruciante infuocata in rari sprazzi all`orizzonte, vista come gli effetti della radioattivita` sui corpi, sul paesaggio o sull`atmosfera avvelenata dalle sue cellule ionizzate.
Una pioggia nera appare ancora su uno sfondo rosato in rigatura di linee dense e oscure lasciando rigagnoli e tracce d`acqua colanti scavate sulla superficie del quadro: si dice che una pioggia nera cadde dal cielo a pochi giorni dall`esplosione sul fondo rosato e violaceo di una citta’ colpita, anestetizzata e semi-distrutta.


Nagasaki appare come un corpo carbonizzato, come lo scheletro d`un luogo di morte, cinereo, grigio e cianurico in un`altra versione della serie. Un sandalo incenerito e rimasto intatto nella sua forma originaria appare tra i primi piani degli oggetti assunti come segni o simboli  indelebili della tragedia su uno sfondo blu indaco e celeste, reso quasi irriconoscibile da una pioggia di colore espressionista. Ancora un triciclo abbandonato   è dipinto in primissimo piano maculato in macchie d’arancio incendiarie e divoranti come le radiazioni di un sole infuocato su una patina grigia di fumo e di sonno mortale. Infine un`uniforme mimetica verde militare appare letteralmente corrosa dagli effetti d’una radiazione diffusa e impalpabile.







Nella serie il volto di una giovane donna ustionata a quattro giorni dall’esplosione appare in un violento chiaro-oscuro a  matita e acrilico su tela. Volto sfigurato, in parte cancellato dalle lesioni, la capigliatura e il contorno sono resi per l’effetto d’un segno violentemente tracciato, inciso quasi, violaceo, indaco e innaturale  contro l’involucro esterno della pelle ricoperta di  cicatrici, intensamente segnata anch’essa, grigiastra e marcata come la maschera di un volto assente in sé stesso; quasi il calco funerario di un’umanità scomparsa, gli occhi restano cavità vuote, spente prive d’ogni scintilla di vita a renderli ancora riconoscibili e umani.



Come un’eco da un tempo altro,
come la memoria di un’età mitica fuori dalla storia e dalla cronologia degli eventi, come una dimensione  poetica intrecciandosi a quella dell’attualità tragica raccontata dalla storia recente di Hiroshima, un altro ideogramma appare, ugualmente ricoperto d’una patina rosa, indaco a tratti intensamente  violaceo di colore che trasfigura i volti e i corpi fino a trasporli ancora una volta in una dimensione irreale, mitizzata e astratta. In questa versione  è una fotografia di gruppo, una scuola femminile prima della guerra, studentesse d’una istituzione altolocata giapponese e insegnanti reclutate in seguito durante la battaglia di Okinawa nel 1945 come infermiere volontarie, la metà delle quali morì durante la guerra. Ritratti immobili fissati nell’istante atemporale di una eterna edenica infanzia: questa volta il velo rosato e indaco posto sull’immagine è quello  lieve e impalpabile della memoria, dell’infanzia come luogo mitico antecedente la storia e non intaccato ancora dall’ombra o dalla traccia manifesta della sofferenza, del conflitto o della morte. Volti antichi, lontani da ogni identificazione realista possibile, capelli intrecciati, camicette bianche candide, gonne lunghe tra loro d’una identica uniforme imposta alle giovani allieve, poi il velo distanziante, la patina lieve e avvolgente del ricordo, quasi come se l’immagine fotografica fosse colta nell’immobilità di un istante unico e irripetibile.    








 “Facing histories in Hiroshima” la reading-performance tenutasi il 6 agosto per rendere omaggio alla memoria storica dell’evento e alle sue vittime ha combinato le modalità espressive del teatro giapponese classico che affonda le sue radici nella tradizione del n^o e del kabuki , teatro ritualizzato ricondotto all’essenziali d’una “messa in scena” che fissa la forma come pura presenza scenica attraverso un lavoro particolare sull’energia e sull’essenzialita’ del gesto, nonché attraverso l’uso di maschere. Dall’altra parte era la tradizione performativa occidentale attraverso la lettura di testi poetici estratti da autori sopravvissuti alla tragedia nella voce lenta, limpida e tenue di Yumi Karasumaru e sulle sonorità elettroniche di Enrico Serotti. Paesaggi sonori accompagnano creati dalla combinazione aleatoria, di suoni, basi elettroniche e suggestioni vocali nella pura improvvisazione del momento.

Quadri dell’artista sono proiettano sullo sfondo di una parete immensa mentre un recitativo lento e scandito prosegue nelle due lingue, l’italiano e il giapponese, attraverso la lettura di un papiro bianco che srotola progressivamente al suolo ai suoi piedi.
Il profilo del corpo nel kimono bianco si tinge come la città delle diverse colorazioni dei quadri proiettati sul muro: paesaggio dell’anima astratto e espressionista e’ dato per diverse tonalità emotive, ora cinereo, lugubre e grigiastro nella sembianze di una morte annunciata per Hiroshima dopo l’esplosione, ora infuocato, rosso, irradiante nella contaminazione che ne ricopre ogni corpo e luogo nei mesi e gli anni a venire. Una polifonia di suoni elettronici accompagna, paesaggio sonoro creato dai gesti lenti, minimali e improvvisati del musicista sintetizzando gli input vocali e sonori su scena.





I corpi si espandono così terribilmente che non ci sono più confini, quello di un uomo e di una donna visti in un’unica forma.”
Un volto carbonizzato, devastato dal fuoco. Parola flebile, sussurrata: “Aiutatemi per favore. Questo è il volto di un essere umano”.

Trovarono rifugio in una stanza, neppure una candela tra loro. L’odore di sangue crudo, il sudiciume, il sentore di morte.
In quella stanza del seminterrato, una giovane donna stava per dare alla luce un bambino, nel travaglio senza neanche un fiammifero acceso a rischiarare la totale oscurita’.
Le persone non pensavano più a loro, alla loro paura, al loro dolore, aiutarono l’arrivo del nuovo nato.
La levatrice morì in mezzo a una pozza di sangue senza poter vedere l’alba del nuovo giorno, morì portando alla luce una nuova vita.
Portare avanti la vita anche se doveva lasciare la sua, una nuova vita là in mezzo all’ inferno.”

Ridateci la pace.
Ridateci i nostri padri, le nostre madri, i nostri anziani, i nostri bambini.
Ridateci noi stessi. Ridateci coloro che hanno dato senso e bellezza alla nostra vita.
Ridatemi me stesso, ridatemi il calore che da senso alla mia esistenza.

Ridateci la pace, una pace umana, semplice e sacra che persista finché questo mondo possa chiamarsi di nuovo umano”.