martedì 6 novembre 2012

Picasso, un universo di pittura ( Palazzo Reale, Milano, Retrospettiva, settembre- gennaio 2012)







“Il ricercare non significa nulla. Trovare, questo è il vero problema. Chi trova qualcosa, non imposta cosa, anche se la sua intenzione non era di cercarla suscita in noi curiosità se non ammirazione. Quello che dipingo è il mostrare quello che ho trovato, non quello che stavo cercando. In arte le intenzioni non sono sufficienti, conta quel che si fa, non quello che si ha intenzione di fare.” (Picasso, Scritti)







Guernica, 1937 (attraverso le fasi fotografiche del suo sviluppo)


Picasso: “Potrebbe risultare interessante fissare fotograficamente non le fasi d’un quadro ma le sue metamorfosi. Forse ci si renderebbe conto delle strade che segue il cervello per realizzare il proprio sogno. La visione iniziale rimane quasi intatta nonostante le apparenze".

"Penso spesso a una luce e a un’ombra. Quando le ho messe in un quadro mi esercito a “romperle” aggiungendo un colore che crei l’effetto contrario, quando poi il quadro viene fotografato mi rendo conto che in fondo l’immagine ottenuta dalla fotografia corrisponde alla mia prima visione, precedente le trasformazioni apportate dalla mia volontà."

“Un quadro non è mai pensato o deciso anticipatamente, segue il mutamento d’un pensiero, quando è finito continua a cambiare secondo il sentimento di chi lo guarda. Vive una propria vita come una persona, subisce i mutamenti di cui la vita quotidiana ci sottopone."1



Il bombardamento del piccolo paese basco di Guernica raso al suolo durante uno degli episodi più sanguinari e violenti della guerra civile spagnola all’opera di forze d’aviazione nazista alleate al nascente regime di Franco si trova alla genesi dell’immenso murale dipinto dall’artista nel 1937 per l’Esposizione internazionale di Parigi. Dora Maar, fotografa e compagna di Picasso all’epoca, segue attraverso una serie di stampe fotografiche l’evolvere progressivo dell’opera nel corso dei mesi, l’imposi dei suoi crescenti valori cromatici cupi, dei forti contrasti chiaroscurali, il raggiungimento della sua piena intensità drammatica. Lo sguardo incrociato tra elaborazione pittorica e trasposizione fotografica, il dialogo ininterrotto tra i due medium sancisce chiaramente la genesi picto-fotografica dell’opera.

Grigio, bianco e nero in forti contrasti chiaroscurali è scelta cromatica essenziale per tradurre in pittura lo shock emotivo sollevato dalla violenza del bombardamento nonché il panorama cupo che si profila all’orizzonte in Europa all’avvento dei nuovi fascismi. Linguaggio post-cubista, astratto, analitico, restituisce l’ equivalente plastico dell’evento, la sua violenza non direttamente rappresentabile trasposta a livello simbolico- qui poche figure scelte e ripetute in variazione multipla sull’estensione del murale: il toro, il cavallo agonizzante, le abbaglianti lampadine, la furia del sacrificio e del sole, “la donna che piange”. Dunque tutta la mitologia personale picassiana abitata da eros e thanatos, attraversata da pulsioni violente, erotiche e distruttive riportata sul piano del politico e del collettivo, ritualizza e insieme traspone uno degli episodi più violenti della guerra civile spagnola in un registro del tragico moderno.

“La pittura: un’azione drammatica durante la quale la realtà si trova disintegrata”.
“Non esiste neanche più un’arte figurativa e non figurativa, tutte le cose appaiono sotto forma di segno, nella somiglianza più profonda all’oggetto, più reale del reale che raggiunge il surreale”.

Stadio 1
Contorni di figure appena delineate, incisioni di bianco su fondo nero, la simbologia essenziale dell’opera è già là: “la donna che piange”, occhi stilizzati nell’atto del guardare , pezzi di braccia e mani irti al cielo, l’animalità brutale del toro, il cavallo agonizzante, la lampada ad olio ,l’alternarsi di campi grigi, bianchi e neri per intensificare i contrasti. Nella versione successiva i contorni bianchi affiorano gradualmente, sempre più netti stagliandosi dal fondo nero come incisioni di gesso su lucido alabastro. Le teste reclinate, rovesciate all’indietro evolvono in un lascito violento, lancinante grido che arriva dal fondo, dall’oscurità di corpi recisi e si eleva all’unisono in bocche aperte, urlanti, in gole intagliate, paurosamente scavate all’esterno nei tratti incisi, svuotati dall’interna voragine di quel grido. Si impongono a noi come una verità gettata fuori, brutalmente impressa sulla tela, riassorbita nella sintesi violenta di pochi segni scaturiti da un linguaggio primordiale, nell’oscurità d’un non-sapere, dal fondo di paure ancestrali, nella memoria latente d’un terrore rinnovato nel presente dell’atto.
Nel secondo stadio cominciano a comparire ritagli in collage andando a dare volume a quelli che erano ancora, solo, contorni delineati come l' imporsi di masse aggiunte sempre più visibili in una profondità spaziale che consolida il contrasto tra bianco, nero e grigio.
Stadio 3: Il nero fondo è riassorbito dal grigio invasivo, qui l’estensione del grigio delle figure dove le parti, gli intagli, i ritagli delle medesime appaiono sempre più definite, espanse, delineate avendo compiuto questo processo di riassorbimento ed eliminazione progressiva dell’esubero di linee tracciate per giungere a definirsi in una visione dalla forma essenziale, dai volumi netti, dal rovesciamento chiaro tra fondo e figura.

Stadi 5/6: prosegue il processo di definizione di nuclei espressivi essenziali drammatizzati al massimo grado, spostati nel registro di un tragico moderno, tali la supplice testimone, le forze distruttive incarnate da fauci aperte di feroci fiere, le teste reclinate all’indietro nel grido, gli arti, i pezzi di mani e braccia spezzati ergendosi in singole parti discontinue.
Da una parte il lavoro picassiano evolve nel senso dell’accrescere, dare densità, intensità drammatica alle figure nel disegno; dall’altra, si tratta di riassorbire, procedere per sintesi e riduzioni rispetto alla distribuzione di linee e forme, infine di reiterare le medesime in una messa in movimento drammatica del disegno, dell’azione plastica delle figure sul murale . Qualcosa d’inumano, di mostruoso, di indicibile accade, si presenta, e presente si ripete, si ripercuote sotto i nostri occhi nell’immensità pitturale del quadro. E’ la detonazione violenta di un’esplosione nel momento in cui provoca e fa insorgere forze distruttive, infernali, impulsi devastanti incarnati da fauci o bocche d’animali aperte, ma anche il compianto degli sguardi, la presenza di occhi disseminati un po’ ovunque dalla “ donna che piange” alle teste reclinate del grido e del terrore.






Cubismo

Picasso: “E’ uno stadio di forme primarie, la forma realizzata lì per vivere di vita propria”.
“Abbiamo introdotto nella pittura oggetti e forme prima ignorate, abbiamo aperto gli occhi su quello che ci circonda, e anche la mente”2

Forme e colori sono riportate nella sperimentazione cubista al loro valore proprio di segni al di là della rappresentazione reale degli oggetti. Partire dall’idea intrinseca della cosa in quanto percepita come essenza eidetica, dettata, imposta dalla mente dell’individuo, scomposta e ricomposta per solidi geometrici, strutture essenziali, compresa, analizzata in multiple prospettive, visualizzata su molteplici piani di realtà, (un viso visto insieme frontalmente e obliquamente); essa sarà infine modificata non solo apportando una propria correzione retinica alla visione ‘dal vero’ come voleva Cezanne ma, qui, completamente uscendo dall’ottica dell’imitazione e della rappresentazione realista.
“L’arte per esprimere la nostra concezione e intelligenza di cio’ che la natura non da mai in forma assoluta. Una tappa nello sviluppo di forme pittoriche dall’esistenza autonoma.”3




“Les demoiselles d’Avignon” (1907) prima opera cubista e forse la più nota di Picasso che come uno spartiacque segna l’inizio dell’arte moderna, stravolge la visione retinica, fenomenica dell’oggetto, l’apparenza immutabile delle cose ora comprese utilizzando strutture interne alla mente dell’uomo per restituire la realtà in quanto visione dialettica, complessa, imprevedibile nelle sue sfaccettature, inevitabilmente conflittuale. Eppure, riguardando il quadro oggi a distanza d’un secolo dalla nascita delle avanguardie storiche, al di là dell’applicazione dei principi di scomposizione cubista, tali figure, all’origine prostitute in un bordello avignonese, si impongono a noi immense, geometrizzate, quasi avanzando massicce e insieme multiple e frammentate in tridimensionalità oltre i limiti piani della tela.
Simili a maschere inumane, gli occhi svuotati, a tratti aperti ora chiusi, esse appaiono fortemente improntate a sculture o maschere dell'arte africana, dal segno bruto, brutalmente dato, nella volumetria di linee e scorci insieme frontali e obliqui. Ricondotte a forme geometriche complesse, sprovviste d’ogni tangibile soggettività, esse divengono anche nella scelta dei colori neutrali, rosati o beige, il prototipi d’un diverso modo di vedere, comprendere e restituire la realtà, di scomporre e ribaltare l’apparenza univoca dell’oggetto sostituendolo al modo in cui le cose si rappresentano a noi, secondo le nostre interne strutture, subcoscienti e insieme cognitive di visione.

  Collage: “ Si puo’ dipingere con tutto cio’ che si vuole, con pipe, francobolli, cartoline, carte da gioco, pezzi di tela cerata, colletti, carta da parati, giornali”. Tutto si può, si deve utilizzare nei collage, qualsiasi materiale è ammesso confondendo, mischiando pittura con effetti trompe-l’oeil, collage d’ oggetti eterocliti, ritagli di giornali, stoffe, carta da parati o caratteri di stampa. Questa una delle grandi intuizioni del cubismo geometrico attraverso la creazione dei papier-collées, commistione e di tecniche e stili, collage di forme astratte, dipinte o incollate, e d’ oggetti trovati, presi dal quotidiano. La loro totale libertà nell’uso dei materiali, nella composizione o casuale assemblaggio dei medesimi sulla tela ci porta direttamente alle soglie dell’arte contemporanea.





“Donne correndo sulla sabbia”(1922)

Sono ingresiane, espanse, sensuali, volumetriche, carnali, ancorate alla terra con volto gioioso rivolto in aria; nella corsa sul fondo sabbioso contro un cielo blu limpido, svuotato d’ogni inquietudini i loro piedi sono sollevati, sospesi a mezz’aria nell’atto d’avanzare correndo, in questa sospensione gioiosa, aerea, a metà surreale tra cielo e terra, su sfondo staccato da riferimenti spaziali concreti. Appaiono in questo gigantismo e carnalità di figure classiche, volutamente destinate alla staticità della loro espansione volumetrica eppure riprese, ugualmente in un moto aereo, nel sollevamento gioioso del salto o della danza, senza limiti o inibizioni nelle vesti discinte, slacciate sulle spalle, in una carnalità palese negli abiti svolazzanti che ne scoprono a metà i seni_  le chiome libere, i piedi nudi.
Statiche e aeree insieme nel gigantismo delle loro forme, restano ancora perfettamente riconoscibili nel limite del loro essere figura eppure sono già in questa sinuosità ricercata a ogni costo, lasciata al tratto perlopiù curvilineo, in questa disproporzione o espansione immaginifica delle loro forme.



  Su Picasso e Surrealismo (1924-35)




 

“ Un quadro viene da molto lontano, chissà da quale lontananza l’ho sentito, l’ho visto, l’ho dipinto, eppure il giorno dopo nemmeno io riconosco quanto ho fatto. E’ possibile penetrare nei miei sogni, nei miei istinti, nei miei desideri, in pensieri, che hanno impiegato tanto tempo a uscire alla luce, in quanto vi ho messo di me stesso forse contro la mia volontà?”

“Osservare la natura ma non confonderla mai con la pittura. La natura si può tradurla in pittura attraverso segni, segni che s’inventano. La surrealtà non è altro che questa profonda somiglianza al di là delle forme e de colori con cui le cose si rappresentano”4.

Eppure Picasso disconosce una filiazione diretta al surrealismo affermando di non aver mai voluto posizionarsi al di fuori dalla realtà o di una sua essenza, perché “ si deve partire sempre da qualcosa anche se poi si andrà a stravolgere quella sua apparenza, ma” l’idea dell’oggetto avrà lasciato un segno inconfondibile”, toccato l’artista, risvegliato le sue idee, scosso le sue emozioni.

Negli anni 1924-35, quelli della pittura Picassiana a più diretto contatto con le suggestioni surrealiste, la figura scompare di scena lasciando il posto a nude anatomie di segni che espansi, immaginifici, propulsivi dettano legge con le loro forme onnipresenti, perturbano e saturano lo spazio della tela. Le figure dunque appaiono a poco a poco divorate, fatte a pezzi e riassorbite da tale alfabeto di forme e segni primordiali spesso fortemente erotizzati, altre volte investite da pulsioni distruttive, forze di smembramento o di de-composizione. Divengono forme vigorose e vitali, sferiche, contorte o allungate, impresse di forze libidinali, dell’energia prima dell’eros.
Curve sinuose e volumi imponenti in linee e contorni primari, gli oggetti, le figure sembrano doversi ricondurre a tali masse prime e essenziali, ora sferiche, curvilinee ora snodandosi in linee ininterrotte, qualche volta dal tratto brutale fino a colmare ogni angolo della superficie.

Nudo disteso” nasce ancora da una griglia di scomposizione cubista della figura ma essa è portata qui dal piano puramente geometrico, astratto e strutturale della prima avanguardia a un piano di forze pulsive, insieme d’animalità e d’eros che la fanno a pezzi, la divorano e poi la restituiscono differentemente per masse e curve secondo una “vera somiglianza surrealista alla cosa”.

Nudo in giardino” espande, metaforizza, scompone la figura per ricondurla a una forma vitale, curvilinea, ininterrotta, per ricondurla a un corpo massa, sinuoso, primordiale, senza interruzioni né angoli dalla colorazione rosa anti-naturalista. Erotizzato, vitale, estratto dall’oggetto reale in una sua intrinseca essenza è impresso a colore dentro un contorno nero, grossolano e primitivo, stagliandosi come collage sul fondo grigio.



“Figure in riva al mare” (1932)

Sono forme neolitiche, masse angolose ocra, beige o rossicce come la terra scomposte e ricondotte a blocchi massicci tagliati e ricomposti in composizione libera. L’animalità congenita alla visione si traduce nell’ astrazione di un’essenza vitale, erotica, ritagliata dalla possente massa primitiva in figure scomposte, in segni plastici, volumetrici, violentemente dati nello spazio.

“L’acrobata” è un corpo enorme, espanso, sinuoso che plasticamente si allunga, si piega, s'amplifica, si estende e si distende, si comprime infine dentro lo spazio della tela come fosse una forma unica, una linea continua di movimento tracciato dal tratto denso, brutale d’un gessetto nero come attraverso un movimento istintivo, ininterrotto, la testa rovesciata al posto del sesso, le braccia al posto delle gambe, corpo-contorno rivoltato, plastico quasi non-umano.




 
“Ragazza d’avanti allo specchio” (1932)

Solare e lunare insieme , di blu e giallo espansa, due ritratti forse ispirati a donne diverse sono ricompresi nel gioco di sdoppiamenti d’una stessa figura vista per parti asimmetriche allo specchio: volto solare su corpo spigoloso di profilo o viceversa profilo oscurato su corpo luminoso e curvilineo.

Volto malinconico, blu indaco spento, ora immerso nella solarità piena del giallo e del bianco ispirati dalla vitalità e alla freschezza di Marie-Therèse Walter. Da un lato forme tondeggianti e sinuose del corpo riportano alla linea continua, alle forme volumetriche d’ispirazione surrealista; dall’altro il volto di profilo s’incupisce, inabissando nel nucleo d’uno specchio oscuro, in neri contorni serrato, opprimente e minaccioso presagio di un cupo’ a-venire’. C'è disgiunzione, rottura, incastro a-simmetrico tra le due figure in uno specchio dove, tuttavia, sono a stretto contatto; l’una è riflesso dell’altra seppure in una non-coincidenza esatta mai, ciò che ribadisce il lavoro di disintegrazione di realtà o adesione a una sua più profonda somiglianza secondo l’ottica della pittura picassiana. E’ la rotondità d’epoca surrealista di forme sensuali e presenti, onnipresenti nelle masse o linee del corpo contro il geometrismo, la sobrietà, la spigolosità data al viso di profilo soggetto a forze d’alterazione, di de-figurazione come vedremo nelle serie successive a partire della “donna che piange”.

           

“Ritratto di Dora Maar”(1937)




Sfaccettature, abbozzi simultanei dello stesso volto visto frontalmente e in senso obliquo in una sorta di sdoppiamento o visione complessa, frammentaria della figura.  Si tratta dell’impossibilità intrinseca di riassorbire il volto in una forma unitaria o forse della scelta voluta di restituirlo su piani non coincidenti attraverso una serie di rotture – gli occhi dilaniati, in altre versioni i tratti del viso deformati da pianto. Se, la pittura come afferma Picasso, è “un’azione drammatica nella quale la realtà si trova disintegrata”- ne risulta questa scomposizione o visione complessa del ritratto- lo sguardo è, al contrario, ciò che permane oltre tale frammentazione incarnando al di là di tutte le varianti un’essenza di realtà, un’intuizione essenziale sul soggetto. Dora Maar l’essenza del dolore, del tragico nella visione picassiana, Marie Therèse quella dell’ottimismo, della solarità vitale.
Contro il geometrismo del volto scomposto di Dora Maar lo sguardo appare vivo, incarnato, abitato d’una profondità imperscrutabile sullo schermo di occhi-maschera immensi, caricati d’una densità tragica e come memori d’un antico dolore. Picasso legge in quegli occhi la prefigurazione di un destino già scritto lì su quel volto, in quello sguardo che da dramma individuale si estenderà per divenire simbolo d’un compianto collettivo, presagio delle barbarie a-venire, feroci abbattendosi su tutta Europa,
la guerra civile spagnola, l’avvento della dittatura in primo luogo .
In versioni successive, “La donna che piange diventerà “ La supplice”; il volto completamente dilaniato sarà qui lasciato al contrasto cupo tra bianco e nero, preda di forze oscure, invasive. La bocca come orifizio dovrà essere dentellata, ferocemente intagliata dall’interno, esplosa, digrignante sotto l’effetto d’una violenza indicibile fino a trasformare quel volto in qualcosa di disumano, di mostruoso.
Il volto, così istintivamente compreso, diviene mappatura di forze di distruzione fisiche e psichiche interne all'individuo, che poi saranno le stesse agite dal volto astratto della guerra, ritrovate e espanse su un piano storico e collettivo in “Guernica”, aprendo all’artista una via d’accesso privilegiata alla sua visione.








   
  1Pablo Picasso, Scritti, p. 19, 20
 2 Ibid., Scritti
3 Ibid., Scritti
4 Ibid., Scritti


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