sabato 27 agosto 2011

da ZimmerFrei, Campo Largo ( Mambo Bologna)


"Did you know ?
What ?
There will be glass over here one day, everywhere here on this concrete.
You can’t fall asleep, you can’t feel anything.
The Sheppard must come and give a look
Perspective, I need it, I can’t see everything, I can’t have the whole vision.
Things have to change, everything is going to change
In which direction?
It is already closed.”





















ZimmerFrei,    Panorami: Roma, Bologna, Atene, Harburg ( lavoro video)

La telecamera filma azioni quotidiane o performative, singole o di gruppo: movimenti, scambi, attraversamenti, “andate e ritorno” nello spazio;
E' una messa in risonanza vibratoria di corpi, storia di flussi, spostamenti, migrazioni, che divengono movimenti vorticanti sotto l’obbiettivo a una velocità di visione compressa e raddoppiata,
otto ore di video condensate in ventiquattro minuti.


Harburg: passaggi continui di gente nel punto nodale della piazza, traffico d’auto.
Traiettorie si disegnano, linee si iscrivono, si cancellano e poi si riconnettono ad altre costantemente. Interazioni, spostamenti e scambi mossi dalla legge di attrazione o repulsione nello spazio.
Angolo della strada: manifesti pubblicitari, cemento grigio, muri nudi.
Velocizzazioni nel tempo, passaggi a ripetizione, luci elettriche su giallo arancio al tramonto.

La piazza si svuota: movimenti lenti, terrestri ora funesti,
vorticanti, frenetici, ora crepuscolari.


Atene

L'immagine è rovesciata, la linea d’orizzonte è posizionata al posto di quella del suolo, il tessuto-reticolare metropolitano è visto a distanza come una linea d’orizzonte.

Al degradarsi lento della luce, l’oscurità irradia, tempestata di luci elettriche.

Città-cielo, blu, elettrica, grigio-argentea, annebbiata, ora plumbea, macchiata di punti neri, stormi d’uccelli vorticanti in aria in circoli eccentrici.
Mentre la città è ancora paralizzata nella foschia mattutina, gli stormi arrivano a fiotti come corpuscoli in scia dispersa e multiforme, aprendosi a scacchiera, a fiume, a vortice, a corrente,
a gradazione composita;
aprendosi in direzioni opposte e contrarie, in spinte violente e arresti improvvisi,
in scissione di nuclei, particelle o singole molecole ricongiungendosi a tratti,
in traiettorie sincroniche e cambi repentini di direzione.

La  città-reticolo è affollata in forme disuguali, nella sua tessitura non uniforme rischiarata dalla luce mattutina.

Movimento della telecamera: si avvicina, discende, rende visibile, lentamente, il centro della piazza vuota, lastricato, la strada,il passaggio di persone .

L’obbiettivo resta fisso sulla piazza lastricata, vuota, con al centro una fontana.
Volti in primo piano, gesti al rallentatore ora.

“Il messaggio era chiaro, diceva, restate qui, torneremo a prendervi intanto costruite una città”.
“Costruire una città, sarà la posizione giusta?”
“Sono secoli che aspettiamo, ci hanno lasciato qui da soli, questa è la verità.”

Strano geroglifico di linee e punti, curve e misurazioni di perimetro appena accennato al suolo.

“Tutto quello che ci serviva ma...non troviamo il modo di tornare a casa."
"Un’antenna forse... Prende, mi sentite? mi sentite?
"Forse ci sentono. Va bene, aspettiamo”.

Captazioni solari, raggi con vibrazioni luminose da rispecchiamento.
Spiazzo vuoto, ora rilucente alle luci elettriche simile a pista d’atterraggio.

“Vedi qualcosa? Segnali...”

Luci, palazzi illuminati si disegnano sullo sfondo. Attesa. Vibrazioni d’acqua affiorano nell’oscurità notturna della fontana, rosso, verde, arancio.
Visione  spaziale d'una città reticolo dell’universo.


Visione dall’alto, lontanissima, d’una città rovesciata, la terra al posto del cielo.
La città è reticolo stellato, elettronico, luminoso simile a linea d’orizzonte.
Graduale è il suo schiarirsi all’alba.
La terra vista da Marte è il pianeta nella sua estraneità, intensità e contraddizione (in una sorte di sublime numerico).

Bologna


Azioni performative o periferiche integrano, interrogano il tessuto della città creando intersezioni casuali, irruzioni sullo spazio urbano attraverso eventi, gesti o micro-narrazioni generati dalla casualità del momento.

Il gesto quotidiano in connessione con quello performativo crea ibridazioni  ironiche nel flusso degli scorrimenti continui.
Prese di posizione nello spazio, flussi, arresti, urti, accadimenti.
La portata dell’immagine elettronica agisce come movimento utopico sul reale.

Azioni: qualcuno si stende al suolo tra i passanti; due si baciano, fare pulizie, un bacio lungo e appassionato, uno straniero seduto sul quadrato della propria valigia, musica, suonare uno strumento.
Raccogliere quello che cade al suolo, la luce immobile del mattino sulla piazza deserta.
Arrampicarsi sulla grata d’un muro, guardare dall’altra parte, fermarsi.
Rovesciarsi una bottiglia d’acqua in testa, mettersi a torso nudo, divincolarsi, ridere a crepapelle.

Restare al suolo, raggomitolati su un lato, alzarsi, correre, fermarsi,
guardare intorno quello che accade, annunciare qualcosa di importante a sconosciuti,
far rimbalzare sassi sul marciapiede.
Attraversare in bicicletta, passaggi di cani, di bambini e pedoni, restare a guardare, scritte sui muri,
un filo elettrico,
foglio da disegno sull’asfalto, prendere il sole su una sedia a sdraio,
allungati sulla terrazza d’un caffè, bagnarsi nella fontana del Nettuno.
Lavarsi,
camminare a piedi nudi, lasciare impronte al suolo.

Lo sguardo della telecamera scopre il profilo del sito incontrando accanto ad ignari passanti che sfrecciano precipitosamente, "strani esseri ", perturbanti, disarmonici, intrusivi. Dormono, guardano, agiscono, abitano l’architettura del luogo offrendo segnali misteriosi.
Performers in un paesaggio temporale parallelo sperimentano tale "scorrere del tempo carico di presagi e visioni”.

"Durante la lavorazione di un film i sopralluoghi alla ricerca di “locations”, siti per la realizzazione filmica diventano fasi di appostamento, ricerca, stasi con rare apparizioni. Le epifanie accadono solo se ci si trova al posto giusto, al momento giusto. A volte possono passare ore senza che accada nulla, a volte l’evento è il vuoto oppure un colore invisibile a occhio nudo, un presentimento rapido o appena percettibile."





“Radura” Installazione 


Un'immensa tela bianca pendente dall’alto occupa l' intero spazio museale.
Presi sotto la tela, dentro la rete, il reticolo si espande in uno spazio-tempo sonorizzato, abitato da intercettazioni umane e creative. 


Reticolo: sistema di “messa in spazio”, “messa in rete” o interconnessione planetaria,
 sistema metaforico del nostro modo d’essere in relazione, virtualmente nello spazio. 

Rete in sospensione, espansione, dispersione ad ampio raggio,
maglie, smagliature nella rete. 

Intercettazioni : presi dentro la rete, disegnando strani reticoli d' ombre sui muri o al suolo.

Costruire un ambiente sonoro a tre dimensioni attraversato da striature, stonature, 
rumori che si ripercuotono l’un l’altro, ritmiche in basso continuo, lancinante dialogo di suoni.
Appelli senza risposta, stridori, brusii, battiti, repliche a intermittenza. 
Ora si odono solo suoni, solo rumori, poi melodiche improvvise che esplodono nella cacofonia esistente. 

Presi dentro la rete, impietriti nella tessitura immaginaria o reale, a ripetizione, a catena, a maglia,  ripetendosi sulle pareti dello spazio tridimensionale. 



Fotografie di Anna de Marincor, ZimmerFrei ( http://www.zimmerfrei.co.it/)


venerdì 5 agosto 2011

Da MARIANGELA GUALTIERI “Senza polvere senza peso” e intervista



















“Che cosa fa di noi solo un grumo nello splendore del mondo? Vedi, siamo solamente umani, solo terrestri. C’è splendore in ogni cosa, lo vedo. Ma tu non credere a chi dipinge l’umano come una bestia, e questo mondo come una fata zoppa. Non credere a chi dipinge tutto di buio pesto e di sangue. Noi siamo solo confusi, credi, ma sentiamo, sentiamo ancora, siamo ancora capaci d’amare. Ancora proviamo pietà”.

“ Cose meravigliose che volevo riscrivere, ci ho messo dentro tanto silenzio e tanto più vuoto, spogliazione. Il silenzio è per me un bene molto grande, va riempito, cresciuto, accresciuto, colmato, derivato, fatto deviare in altre mappature immaginarie".
La parola sfiora una profondità oscura, magmatica, fangosa mantenendo l’ombra di cui resta impregnata. Né esce fuori trasformata, prendendo quel fango e volgendolo in luce. Non cerca di dire cose ma solo di mettersi all’ascolto.




Getto parole lungo un sentiero scosceso, dentro un grande vuoto centrale.
Mi prende, mi avvolge, mi risucchia, voglio sapere tutto, sentire tutto, vedere oltre l’ammissibile.

Passo per un arrendevole cedimento, per un’ angusta quiete, per la piattezza levigata disuperficie,
attraverso i vortici esigui d’un attesa.
In quello scomparire passo. Non resto, mi assento.
Scrostando pezzo a pezzo, dissipo, dileguo, mi vedo scivolare via come foglia al vento,
fango liquido sulla pelle, pianta, arbusto per rinascere fiore un giorno forse.

“Se è ancora qui, per tornare a casa, il punto giusto della luce, né prima né dopo”.
Se è qui in questa agonia-tempo, in questo tempo-sempre che non passa e non trattiene nulla, e scambia morti e viventi.
Un tale strepito assolato, è penso l’andare indietro del tempo, l’andare al rallentatore delle ore,
lo scadere dei minuti a disposizione per terminare una prova,
lo scavalcare d’un buio pesto senza scollarsi di dosso il fardello.


“Cosa capisco io di qui? capisco cosa di questo, cosa capisco di questo vuoto?
C’è tempo, c’è risposta che viene, pazienta.
C’è risposta e c’è sollevazione.” C’è che tra poco viene, e sguscia via questo destino rotto,
lo manda in frantumi, lo fa a pezzi per divenire altro. C’è che tra poco sale la voce rotta in corpo,
sale dalla gola stretta, e il lamento si fa preghiera, canto e respiro.


Inchinati, resta silenziosa, non cedere quella tua forza indomita.
Stai zitta, quieta ora, resta a sentire quello che accade, non cedere al brusio di fondo che aumenta intorno.

E tu stai a cuccia, cane, bestia, serpe, poca cosa di questo mondo in-creato.

Pazienta adesso, tieni quel fastidio in petto. Con tutto cio’ che è angoloso. Spacca, getta, recidi. Poi prendi il mare aperto.
Scarica, butta la zavorra pesante al largo.
“Il mare prende e ingoia tutto, sceglie poco o nulla il mare, tutto divora ”

“Preghiamo, ancora si, preghiamo, chi, che cosa non so, non importa, qualcuno che ascolta c’è sempre”. Prendete questa mia preghiera e fatene qualcosa, briciole, parole tra le vostre mani,
state ad ascoltarla emissari divini, esattori celesti, mediatori dell’assoluto,
prendela e fatene qualcosa.







Acquarelli di Stefania Salti, www.stefaniasalti.it