giovedì 20 agosto 2009

Gabriele Basilico, fotografie, Maison Européenne de la photo, Paris



L’esplorazione del cantiere del teatro di Carignano

Stratificazioni di visioni evolvono definendo nuove geografie possibili, immaginarie per questo luogo immerso nel caos, nell'incongruità degli oggetti accumulati,
nell'incomprensione totale dello spazio e della materia,
nel disordine di involucri ammassati e a metà ricoperti,
come una sorta di costellazione o galassia nata da un'esplosione disordinata del cosmo dove a poco a poco iniziano a affiorare nuove prospettive o linee di fuga possibile che convergono in un centro e fissano un punto di gravità riequilibrando
lo spazio circostante.

Il rovescio della cornice maestosa di un antico teatro, barocco probabilmente, e, ancora, il fuori-quadro di una scena classica occupata ora da impalcature, indicazioni di lavori in corso, scritte a matita rossa o nera sui muri, plastiche a ricoprire gli antichi palchi, corde, fili scoperti a terra;
terreno sconquassato, scoperchiato dalla pavimentazione fino alle fondamenta,
fino a lasciare intravedere sassi, pietre, discrepanze del terreno, passerelle precarie sospese in aria che attraversano l'intero spazio .

Ora lo squarcio d'una parete s'apre come un'irruzione, fonte singolare di luce, senza vederne chiaramente la provenienza;
restano aree dell'antico decoro, zone d'eruzione disastrosa, sassi e materia, poi nuovi materiali ammassati, impalcature, assi di un territorio in costruzione, ipotetico, incerto, virtualmente esistente eppure caotico ancora.
Fondamenta messe allo scoperto; pareti di pietre e sassi nude.
Ai lati della scena palchi di un antico teatro; al centro un cantiere di lavori in costruzione.

Teatro di frammenti, di débris, di rimaneggiamenti, di cavi scoperti e impalcature a vista;
sito di lavori occultati e a metà coperti lasciati nel non-finito della materia.
Scorcio di parete nera crepata d’una linea d'ombra distesa su quella da parte a parte.


Ora l'immagine vista dal centro del palco di un'architettura in ferro fatta di linee geometriche, di barre in alluminio essenziali che ne disegnano nuove prospettive:
metallo, ferro, una materia spessa e polita che si distende in linee geometriche regolari,
in geometrie enormi e luccicanti di linee verticali e orizzontali alla convergenza di angoli e punti.


Luogo in costruzione che porta in sé la fine di un altro luogo, la fine di un inizio tale un palinsesto riscritto sulle tracce di un antico supporto.
Scrittura su scrittura. Un'immagine nasce nascondendone o velandone un'altra: rosa incisa su rosa, mano distesa su mano, fotografia impressa su pittura. « Una foresta di simboli, forse giardino o giungla » .
Comunicazione interrotta; interferenze; lotta tra figura e fondo, tra l'originale e la copia.
Rimaneggiamenti, sovrapposizione di strati, ombre anonime come macchie d’inchiostro che si frappongono all'antico dipinto.
Alla ricerca dell'aurea perduta.


Distruzioni, rifacimenti, ricreazioni, débris; composizione fatta di un'accumulazione di frammenti; meteore esplose di una antica forma alla ricerca di una nuova
non-forma.
Sulle impalcature immagini d’antichi affreschi semi-scrostati oppure in progetto di restauro. Volti di un'antica bellezza, contro le impalcature di ferro appesi, come immagini semi-sbiadite che abitano quel luogo, anime della sua vita precedente risvegliate dalle ombre della notte.




Scena vuota. Nero di parete sullo sfondo.
Rotoli di plastica arrestati nell'atto di srotolarsi, cartelli con segnali di pericolo; precarietà nell'atto della trasformazione.
Divenire nella polvere dei lavori presenti, (à l'ombre de revenants en train de disparaître.)
Spazio vuoto ma denso, visto nell'atto di divenire qualcosa dove i riflessi di luce creano forme plastiche, d'una densità abitata anche se non visibile ancora in tutte le sue parti.

Il silenzio di qualcosa che si perpetua da un prima a un dopo, lo stesso silenzio esploso per altra via. Il vuoto di un inizio, d'un eternel re-commencement, dove le tende di plastica hanno sostituito gli antichi tessuti e gli attrezzi di lavoro sono visibili a vista, tracce di un' alterità come lo spazio di una nuova scena a riempire.

venerdì 14 agosto 2009















Immateriali: assenze ingiustificate, casuali, non previste,
irrisorie, banali assenze di sé al mondo, a una situazione, un evento, una decisione,
quando una parte del corpo o dell'essere vi abbandonano;
assenze cercate, volute, sottilmente indotte, segretamente convocate;
assenze di voi a voi stessi; assenze di forma, di norma, di decisione,
d’equilibrio, di direzione.
L'assenza di sé al mondo, del mondo dentro sé;

Ritrazioni di materia, di spazi, di possibilità, restrizioni di figure, di corpi, di voci intorno, dell'aria a respirare
Sparizioni d' oggetti, di persone, d’autorità, di divinità,
dell'idea di dio in sé,
di santi, guaritori, amuleti; di psichici, terapeuti; di porzioni magiche che vi salvano la vita o vi promettono l’eterna felicità
Oblii di parti di sé, della propria storia, della propria integrità personale,
di quello che non abbiamo voglia di fare e che puntualmente omettiamo al quotidiano,
d’ appuntamenti, convocazioni, orari, d’impegni fissi, d’ abitudini consolidate,
delle parole d’altri, di parole mai dette, mai pronunciate;
d` incontri formali a onorare, d’ etichette a rispettare,
d’incontri mai avvenuti.

Eclissi solari, di senso, di sensazione; annebbiamenti allora..
Lapsus: dimenticanze, improvvise, inspiegate, volute
Amnesie puntuali di memoria, ritorni repentini al passato
Accecamenti temporanei della vista , fenomeni fugaci di visione: dubbiosi, incerti, allucinatori…
Cliché fatti di immagini fisse dove la realtà sembra immutata, la superficie liscia, intatta in apparenza, la forma patinata, senza crepe e come fissata in un’istante atemporale di memoria, una fotografia aggiunta a un album di ricordi a conservare.
Distruzione di quello pensiamo essere la forma della realtà, l’immagine tale che essa ci viene data e dove non ci riconosciamo più, il quadro composto da qualcun altro, la cornice dove non riusciamo più a rientrare.

Monocromi: spazi di colore uniforme dati da quell'unico rosso o blu, assoluti, perfettamente accordati, diffusi a plat sulla superficie come per un intervento divino o semplicemente riuscito del caso.

Semplicità del fare: rigore di una forma che aspira all'infinito e riassorbe in sé tutte le incrinature della materia che l’ ha costituita.
Ripetizione del medesimo: variazioni su uno stesso motivo fino alla sua dissoluzione come nelle immagini messe a morte dai ritratti seriali di Andy Wharol.


giovedì 6 agosto 2009

elles@centrepompidou























La forza politica di un corpo, luogo privilegiato della rimessa in questione di stereotipi e immagini limitanti legate alla rappresentazione del soggetto femminile nel XX secolo.
Cambiare la direzione dello sguardo storico nello sforzo di ridefinire categorie estetiche e concettuali dell’ordine sociale esistente, retaggio di un sistema patriarcale passato.
Preoccupazioni personali e intime si uniscono a problematiche, politiche, estetiche e sociali.
Desiderio di libertà rispetto alla visione dominante, prettamente maschile;
l'avventura di una scrittura fisica e performativa infinitamente a re-inventare.
Riappropriare la rappresentazione del sé “capire come rappresentare un corpo per farne « un'esperienza umana », il materiale stesso dell'arte creando un'empatia, un'identificazione. “Gli uomini da sempre hanno fatto questo figurando il corpo femminile; é ora tempo per le donne di dare una propria visione .” (Kiki smith)

« Mi sono data la forma di una dea, di un angelo o di una martire per espellere i simboli femminili creati dagli uomini e dare così alle donne un nuovo statuto, un nuovo linguaggio formale. In particolare ho voluto riaffermare la natura fisica del corpo che sembrava essere divenuta estranea più che mai nel mondo della decostruzione . Le donne hanno sempre servito d'ideale d'ispirazione creatrice degli uomini. Creare le proprie immagini in quanto artista era importante perché rifiutavo totalmente d'essere oggetto. Mi sono trasformata in oggetto per restituire loro un corpo: riprendere possesso del mio corpo piuttosto che farlo creare da qualcun 'altro. »(Hannah Wilke)

«Avanzavo nella vita, tutto sembrava normale ma in realtà mi sentivo limitata, intimamente impedita, bisognava che uscissi di là. La ragione per la quale ho intrapreso quest’azione performativa di legarmi con corde fino ad avere la sensazione di soffocare. Avevo bisogno di ricorrere a un'immagine forte per esprimere questo stato emozionale, così ho pensato a un'azione dura e difficile da realizzare, dolorosa, dove si respira a fatica e si rischia di precipitare. » (Francoise Jammicot)

« Bisognava che facessi altro che divertirmi. Bisognava che lavorassi come un uomo, che facessi qualcosa che valga la pena piuttosto che le solite « cose da donna ». Dovevo essere bene e anche meglio di loro. Bisognava che diventassi qualcosa, che facessi qualcosa d'altro anche se non potevo cambiare le cose, bisognava almeno che provassi. Fare delle cose a modo mio e non a modo loro, secondo i miei desideri; cambiare, aggiustare, rifare, trasformare, migliorare, ricostruire il mondo intorno poiché non riuscivo a cambiare me stessa » (Louise Burgois)

« Lavoro con le emozioni, la memoria, l'idea di documentare non nel senso storico ma in quello emozionale. Voglio che il mio lavoro sia recepito e ricordato da chi lo guarda sotto forma di un sentire. Voglio che il pubblico acceda alla pièce come a un'esperienza fisica e porti con sé questo sentire come fosse una propria memoria vissuta. Vorrei che il mio lavoro non fosse solo visto ma anche ricordato. » (Sonia Khurana)

« Il corpo é il luogo dell'esteriorità dell'essere e dell'interiorità del mondo. Togliere per far vedere di più ». (Isabelle Waternaux)
La bellezza e la sensualità sono interiori all'umano, dell'anima prima che rinviate unicamente all'esteriorità del viso, della figura. Esiste una sorta di integrità ideale tra l'uno e l'altro come partendo dall'esterno per andare verso l'interno e viceversa

« Nel mio lavoro recente esploro due zone dell'esperienza: l'interiorità come esperienza incarnata e la dinamica dell'identità. Il mio recente corpus di lavoro si concentra sulla poetica dell'esperienza interiore principalmente attraverso il video e la performance. I limiti evolutivi del video permettono di dispiegare una narrazione che ripone su una memoria collettiva e su una critica della narrazione lineare”. (Sonia Khurana) Utilizzo spesso il mio corpo come luogo di traslazione, di trasmissione e d’interazione. Esploro le tensioni esistenti tra le differenti forze: sociali e culturali, oniriche e libidinali là dove il comico e il 'profondo', l'irrisorio e il tragico si confondono in un equilibrio veritiero quanto precario .

"E' forse dalla mia infanzia a Cuba che ho cominciato a essere affascinata dall'arte e dalle culture primitive. Sembra che queste culture siano dotate di una conoscenza interiore e di una prossimità alle risorse naturali. E' questa conoscenza che da una propria realtà alle immagini create. E' un sentimento di magia e di potere dell'arte primitiva che influenza la mia attitudine personale verso l'arte contemporanea. Durante gli ultimi cinque anni ho lavorato in esterno esplorando la relazione tra me, la terra e l'arte. Utilizzo il mio corpo come referente per creare opere, trascendendomi in una immersione volontaria nella natura per identificarmi totalmente ad essa.» (Anna Mendieta)

« Per me il punto di partenza é il corpo grazie al quale percepisco, misuro e lascio la mia impronta. Il corporeo, il tattile restano una fonte prima di comunicazione, di conoscenza, di trasmissione.» (Andriena Simotova)

Sovversione, violenza, rifiuto, decostruzione nella critica del logocentrismo, del fallocentrismo. Posizionare il linguaggio al cuore del processo artistico. Avvicinare la parola all'atto attraverso la performance o investendo l'arte del non-luogo del quotidiano.

Gesti semplici, apparentemente innocui come piegare, tagliare, rompere, accartocciare, accumulare, sovrapporre, fondere, bruciare, sciogliere, mordere, spostare, mischiare, lanciare o lasciar cadere, rivelano tensioni soggiacenti al soggetto preso nella trappola della rappresentazione ideologica e sociale.

« La performance é stata per me una forma che ha reso possibile questo salto mentale. Inizialmente quando lavoravo sola l'elemento del pericolo, del dolore o lo spossamento delle forze fisiche erano molto importanti in quanto stati di presenza totale del corpo, stati che mantengono una persona sul chi vive e cosciente. » (Marina Abramovic)

« Nel 1961 ho sparato su dei quadri perché sparare mi permetteva di esprimere l'aggressività che sentivo. Un assassinio senza vittime. Ho sparato perché volevo vedere il quadro sanguinare e morire. Ho sparato per toccare quell'istante magico, quella specie di estasi come un momento di verità; tremavo di passione e desiderio sparando sui miei quadri. »(Niki de S Phalle)

« Ho costruito qualcosa rovesciando qualcos'altro: la distruzione diventa costruzione ». (Hanne Darboven) L'azione irrompe sulla contemplazione per realizzare qualcosa uscendo dal caos della non-scelta.

« Il concetto di labirinto é importante nella mia idea d’accentramento. Il labirinto é concepito come un puzzle, un cammino in confusione, un tragitto deliberatamente indiretto verso il centro. Se ci credete e avrete la resistenza troverete forse la via d’uscita . » (Roni Horn)

Pagine-paesaggi, immagini astratte, distaccate ma personali, non il simbolo di qualcos'altro, prese nello slancio tra tensione e libertà come un discorso fisico, visivo e tattile incrostato nel sensibile. Alla ricerca di un linguaggio insieme corporeo e astratto, organico e sensuale.

« i miei disegni sono come delle lettere fluttuanti sulla pagina, pagina bianca, zampe bianche ma a volte incisive, la matita come uno scalpello ». (Anne-Marie Schneider)
Bolle di sapone in testa, scatole di conserva che s 'aprono brutalmente per il troppo contenuto e si versano all'improvviso senza forma. Ho l'impressione qualche volta di camminare su una tela sottile, di tessere lentamente quella tela e riparare, così con le mie dita, là dove il tessuto s'é strappato.

« il mondo naturale, il cosmo, gli esseri umani, i fiori e tante altre cose impresse violentemente a fuoco sulle pareti della mia visione, del mio udito, del mio cuore ... Avvenimenti carichi di mistero, di terrore e di sopranaturale imprigionandomi fino a non più lasciarmi. Spesso cose strane e indefinibili appaiono nei piani occulti dell'anima: il solo modo di sfuggirli é riuscire a rappresentarli visivamente . » (Yayoi Kusama)

« Quello che m’interessa sono le manifestazioni fisiche della realtà emozionale, quando l''invisibile diventa visibile, il normale anormale, il famigliare estraneo. La vita ordinaria é fonte senza fine di fascino. Organizzo gli elementi trovati dal caso e costringo la forma a modellarli a mio grado.» (Sandy Skoglung)


« Quello che cerco nel disegno é che sia trasparente, che si veda attraverso la pelle la struttura del corpo, l'ossatura; che riunisca il detto e non-detto. » (Chloe Piene)


« Parto sempre dalla stessa realtà, vale a dire, l'avvenimento fisico della sensazione interna al mio corpo. Localizzare le zone dove si concentra la sensazione per ritrovarla nel ricordo. Si può fare vivere qualunque parte del corpo attraverso una presa di coscienza: un ginocchio, la schiena, il naso, una gamba. Le sensazioni fisiche sono alla portata di ciascuno, ecco perché costituisco per me la materia prima del mio lavoro. Anche se si tratta di una soggettività spinta all'estremo.» (Maria Lassnig)

« Spesso la gente considera lo spazio come vuoto; in realtà lo spazio gioca un ruolo vitale nella nostra esistenza ». (Louise Nevelson) Quello che mettiamo in uno spazio crea a sua volta un nuovo spazio, umano, relazionale, esistenziale. Si può vedere qualcuno entrare in uno spazio e occuparlo, dominarlo, investirlo del gioco di forze che si instaura, allora, tra chi é là presente, oppure qualcuno uscire all'improvviso da uno spazio creando un vuoto attraverso l'’atto di un semplice cammino. Quando lo spazio assume una dimensione mentale, soggettiva, si carica di un soprasenso proprio a chi lo abita, nel modo in cui lo vive, lo rende visibile, lo sottrae o lo rende disponibile agli altri, dando a quello spazio «un valore aggiunto, « mentale per così dire, un colore proprio, uno spessore a lui solo.