venerdì 16 maggio 2014

Attraverso i luoghi e i non-luoghi del contemporaneo ( dal laboratorio “Folle agire urbano” con Silvia Calderoni e Ilenia Caleo)


















Folle agire urbano” il laboratorio condotto da Silvia Calderoni e Ilenia Cadeo si voleva come un passaggio guidato a piedi attraverso la città di Milano utilizzando l'azione del corpo nello spazio urbano in cui ci troviamo quotidianamente a interagire. Dall'azione performativa all'accadimento casuale i partecipanti si sono mossi tra gesto istantaneo, sguardo che conduce, incidente, caso, o reale evento scenico attraverso le vie della città. Il laboratorio pensato in relazione alla presenza pervasiva delle telecamere di sorveglianza nella città milanese è sfociato in una serie di micro-azioni nello spazio pubblico, in un attraversamento collettivo del medesimo, nell' esperienza volutamente "ingenua" d'una passeggiata o fuga, d'una corsa o sosta obbligata sotto l'occhio pervasivo delle telecamere, sotto l'occhio indifferente o incuriosito dei passanti, attraverso i territori, gli spazi urbani e le loro mutevoli sembianze.
 Siamo di fronte alla presenza invisibile di questo invisibile e onnipresente sguardo dell’alto. L'esplorazione dello spazio metropolitano con i suoi luoghi e non-luoghi e le possibilità di azione o interazione scenica in esso danno vita a “folle agire urbano”.









L’immaginario dello spazio nella contemporaneità si espande e si amplifica dalla nozione di luogo antropologicamente dato a quella di non-luogo; si decentralizza anche nello spostamento dell’epicentro, del punto focale del nostro sguardo dalla nozione di centro a quella di periferia, di bordi o di margini. Ridisegna costantemente lo spazio abitato attraverso una serie di straniamenti del punto di vista, usa i termini di rottura e discontinuità per definire l’esperienza percettiva dell’individuo nello spazio. Nel breve saggio di di Marc Augé,1 i luoghi antropologici tradizionalmente sono definiti dalle persone che vi abitano, vi lavorano, ne segnano i punti cruciali, li difendono e ne sorvegliano le frontiere. Per Augé tradizionalmente “i luoghi sono identitari, relazionali e storici" 2. Posseggono un nome proprio, un’identità assegnatagli dagli individui che li abitano, sono là dove si esprime l’identità come la superficie prima e immobile d’un corpo spazializzato e la relazione come il suo essere in connessione, in scambio, in interazione con tutti gli altri piani del sociale. Sono anche storici i luoghi perché vivono nel tempo, posseggono la stabilità di radici storiche, provengono da qualche parte, continuano verso un altrove nel tempo, coniugano segni e tracce dal presente al passato, divengono “luoghi di memoria”3 quando iscrivono le tracce d’una differenza come di quello che essenzialmente non si è più. Riflettono l'immagine d’una società ancorata da tempi memorabili alla perennità delle proprie radici, non scalfita ancora dall’oscurità delle guerre o dalla sua interna o esterna dissoluzione, confermano così l'illusione di trasparenza d'una società che si organizza nei suoi luoghi propri, costituiti, investiti di senso per coloro che vi abitano come per le loro istanze e istituzioni.

Il dispositivo spaziale del luogo, dunque, esprime l’identità d’un gruppo fondandosi sul medesimo principio per una società localizzata nel tempo e nello spazio stabilendo trasparenza, reciprocità tra cultura e individuo, tra il proprio esserci e lo spazio sociale, esistenziale di tale accadimento. Nel centro della città per esempio i monumenti, le chiese, i musei, le istituzioni sociali e politiche sono luoghi propri che simboleggiano l’autorità religiosa, civile o istituzionale d’una società. I centri possono essere intesi come luoghi antropologici per eccellenza, centri storici e cittadini, centri nevralgici del potere politico, finanziario o commerciale d’una città, piazze e centri sociali di incontro e scambio delle comunità. Là gli itinerari dei singoli si incrociano e si mescolano, le parole si scambiano, i contratti o le alleanze di potere si stringono: questioni di intersezioni, incroci, nuclei e punti nevralgici di relazione. I centri sono agglomerati che polarizzano attività, energie, individui identificandosi come luoghi significativi della modernità, luoghi di stabilità e residenza improntati su specifiche attività. Tuttavia, questi luoghi incarnano, anche, storicamente, l’ordine sociale esistente quanto la permanenza delle istituzioni e dei governi ufficiali nella storia divenendo per questo luoghi chiusi, facciate imbiancate del potere, luoghi del silenzio delle istituzioni ufficiali che misurano la loro reale distanza all’individuo, i monumenti vestigie del passato, i musei depositi stratificati di storia o le chiese luoghi vuoti di culto. Augé identifica e oppone ad essi nel nostro mondo contemporaneo quei non-luoghi prodotti dalla “sovra-modernità”4 del presente che non necessariamente si integrano ai luoghi antichi ma si affiancano e si confrontano ad essi. Essi sono “punti di transito, occupazioni provvisorie o abusive”, luoghi segnati dall’impermanenza e dalla mobilità quali i villaggi turistici, i campi profughi, le vie aeree, ferroviarie o autostradali, gli aeroporti, i treni e le auto, le stazioni, le grandi catene alberghiere, i centri commerciali o le strutture per il tempo libero, infine le reti cablate o senza fili delle nostre inter-connessioni planetarie in rete.
Sono in definitiva questi spazi provvisori o transizionali che si danno come messa in movimento, animazione dei luoghi precedenti, implicando l’esperienza d’un attraversamento o d’una permanenza temporanea, localizzati dall’entrata e l’uscita dai medesimi. Quali spazi astratti introducono anche l’idea d’una rottura, dell’impossibilità di radicarsi pienamente a un luogo; rovesciano in qualche modo la logica identitaria di un soggetto connaturato al proprio luogo d’appartenenza in una versione negativa del medesimo. Là, l’assenza identitaria del luogo e dell’individuo si definisce invece nel passaggio, nel movimento che sposta le linee decentrando i medesimi in spazi marginali, periferici, in zone interstiziali o di transizione.


Durante la fase finale del laboratorio, “folle agire urbano” l’attraversamento della città si è tradotto nell’esplorazione attraverso i luoghi e non-luoghi dello spazio urbano contemporaneo: attraversare ed essere transiti da questi molteplici spazi, guardare ed essere guardati dalla presenza pervasiva delle sue telecamere di sorveglianza, eludere quello sguardo attraverso delle azioni performative nella città, disperdersi o perdersi rispetto al gruppo e ritrovarsi in azioni singole o in duo; orientarsi e disorientarsi attraverso i punti di riferimento disegnati sulle mappe.

Penetrare dalle zone periferiche, suburbane del sito scelto come punto di partenza al centro della città; gradualmente inoltrarsi, camminare attraversare i quartieri blindati della borghesia benestante milanese, nei luoghi delle sue istituzioni consolari o ufficiali, attraverso i suoi deserti residenziali; risalire a poco a poco le grandi arterie commerciali, interfacciarsi allo spazio aperto delle stazioni ferroviarie, alle uscite e alle entrate delle metropolitane, ai crocevia delle linee tranviarie, ai nodi di fili dove si incrociano le reti dei filobus sul cielo milanese.


Milano luoghi e non-luoghi
















Non-luoghi: punti di transito, occupazioni provvisorie o non istituzionali della contemporaneità che implicano un decentramento dello spazio urbano. Sono questi spazi abbandonati e rioccupati, trasformati, transiti da nuovi movimenti ed energie nel moto di riqualificazione dei vecchi quartieri cittadini, in una sorta di re-investimento della materia nel tempo sotto altra forma. Vecchi edifici in cemento grezzo, facciate con colonne e scalinate in esterno, tale il “centro per le arti” Macao dove si è svolto lo stage, all’origine una palazzina liberty del settecento rimasta inutilizzata per anni, appaiono non-luoghi per eccellenza della nostra “sovra-modernità”: spazi di rioccupazione delle periferie urbane. Nello specifico questo sito posto sotto il segno del transitorio è investito dai frequenti passaggi di artisti o persone invitate in residenza temporaneamente ad occuparlo, coloro che ne modificano radicalmente con le proprie energie creative la scena, l’uso, l’apparenza, abitandolo ogni volta differentemente.
E’ non-luogo perché soggetto a un moto di riappropriazione costante, di evoluzione e involuzione nei suoi interni spazi o in ogni caso di messa in movimento rispetto a un potenziale di materiali depositati nel luogo. All’interno si presenta come un'ampia area architettonica aperta con colonnati in stile liberty scrostati del loro intonaco originario, soffitti che recano antiche tracce di stucchi bianchi e pareti in cemento grezzo lasciate al grigio, alle zone d’umidità, d'evaporazione in macchie tonali che affiorano naturalmente sui muri; e poi, ancora, vi sono le grandi scalinate in marmo bianco d’epoca antica, i grandi corridoi, gli uffici abbandonati con scrivanie, scaffali semi-svuotati, vecchi tavoli e polvere ovunque, le sedie ammassate, qua e là e i cumuli di oggetti in disuso. 
Un corridoio con grandi specchi appoggiati alle pareti, forse d’una antica galleria del palazzo, assi di legno al suolo in alcuni angoli, lastre di vetro, anche, come quelle che trasparenti ricompongono il nucleo nello spazio performativo al piano terra.


L’immaginario della città nell’esperienza contemporanea si descrive come passaggio costante dal centro ai margini e viceversa; ci obbliga a decentralizzare il nostro sguardo dall'atto del guardare, l'osservare l’esterno con i suoi paesaggi all'essere guardati, osservati, registrati, filmati o schedati dai sistemi di video-sorveglianza in atto. La città si ridisegna anche attraverso una serie di traiettorie percorribili nello spazio: linee dritte come strade orizzontali o verticali e punti di intersezione o di incrocio come rotture sul percorso; piazze dove fermarsi e circoscrivere un campo di visione sui passanti, le cose, ciò che accade. 
Proseguire , avanzare, poi incrociare spiazzi, rotatorie, crocevia, chiese o luoghi di sorveglianza strategici delle telecamere; fermarsi, interrompere il cammino e li’ esplorare lo spazio, interrogarlo e occuparlo attraverso azioni sceniche che ne rovesciano i termini nel rapporto tra osservare-osservato.




Incursioni urbane e costruzioni dinamiche teatrali


Una persona si sposta sorvolando il paesaggio circostante, le cose che incrocia per strada avanzando e scopre che il suo campo visivo è circoscritto, assediato, tenuto sotto controllo da un gruppo di individui a distanza , dal movimento erratico d’uno stormo umano muovendosi a macchia intorno a lui, da uno sguardo collettivo, dalla presenza insidiosa di questo gruppo-stormo spostandosi in parallelo al suo percorso, intercettando o perfino anticipando i suoi movimenti per chiuderli dentro un' orizzonte circoscritto, per farli precipitare in quel punto creando intrusione, infrazione, interruzione sul suo cammino o campo d'azione. Come se una telecamera invisibile e intrusiva fosse lì ad assediarlo ad ogni passo, perfino a distanza e senza che se ne renda conto nel tempo mentre lo stormo continua a sussistere come un'ombra inquietante, insidiosa intorno al suo spazio, come l'affacciarsi di oscuri presagi profilandosi a tratti per scomparire nascosti tra gli edifici, negli agglomerati urbani d'altri siti, separandosi per ricomporsi in altre forme, in sottili sembianze, in sinuose insinuate presenze,
in subliminali profili d' ombre tra gli oggetti anche se molto più lontano, prima o dopo, obliquamente ma sempre in intercettazione voluta.

D'un tratto scopre di non essere più libero, di spostarsi, di muoversi, d’agire dentro la propria visione; scopre di essere circoscritto, osservato, messo tra parentesi da questo punto focale e invisibile, d’essere seguito, inseguito , implicitamente controllato dal suo grande occhio tecnologico, nel suo modo anche di rinviare lo sguardo, di rispondere allo stato d'assedio esercitato dal medesimo. Scopre che il suo pensiero è insediato da quello sguardo disciplinare a distanza. Cerca di sviare il percorso, di far perdere le proprie tracce, di zigzagare il cammino per rompere quello stato d’assedio sottile e stringente, ossessivamente ripercuotendosi come una presenza che dilegua a tratti per ricomporsi in altre sembianze, per appropriare e distorcere il suo campo di visione, la sua figura reale e l’aurea emanata dalla medesima, il suo spazio interiore.


Creare accadimenti nello spazio urbano significa eludere lo sguardo della video-sorveglianza in atto. Azioni quotidiane divengono accadimenti: in una piazza in mezzo al passaggio frequente di auto e persone indifferenti, nella pausa d’una domenica pomeriggio soleggiata , uno spazio comune si trasforma in uno spazio performativo, un’azione si trasforma in un avvenimento. Qualcosa accade dentro uno spazio circoscritto al suolo da un gessetto bianco sull'asfalto grigio, sul cemento d’una città che non fa attenzione alla nostra presenza. Un momento di verità, la vita passa lì in quel punto, lascia li ‘le sue tracce, qualcosa si lascia vedere, lascia che l’evento o l’immagine si manifesti.

Intorno a una piazza un centro commerciale, negozi pubblici, facciate di palazzi atoni, cemento, acciaio, marmo o vetrine abbaglianti di negozi. L’idea della mobilità, del perpetuo movimento delle cose intorno a un fulcro centrale. Le telecamere di video-sorveglianza sono installate in punti strategici, ai lati d’una banca, vicino agli ingressi di molti edifici, agli angoli delle strade e dei negozi. Un gruppo apparente di giovani turisti sugli scalini d’una gradinata: inizialmente se ne stanno li’ tra loro chiacchierando in disparte, seduti sui gradoni, poi dal gruppo qualcuno si alza in una direzione, altri lo seguono verso altri punti della piazza. Passano, attraversano la strada, si fermano ciascuno di fronte a una telecamera e cominciano a osservarla fissamente, a circoscrivere il loro campo di visione intorno a quella. Restano li’ immobili un minuto, due minuti, cinque, minuti fissamente in dialogo con quell'interlocutore invisibile, osservandolo osservati, filmati, rinviando quello sguardo, sovvertendo e rovesciando i termini del gioco. 
Distribuiti e invisibili in mezzo alla folla la gente prima li ignora, poi comincia a notarli, a osservarli perlomeno sorpresi, voltandosi passando su quella piazza senza capire quello che stanno facendo lì insieme e separati in punti distanti nello spiazzo a guardare.


Delle azioni cominciano a seguire dentro i riquadri di gessetto disegnati al suolo: un ragazzo entra nello spazio chiuso e si siede al suolo sull'asfalto, resta immobile lì a guardare, un altro si aggiunge, poi un terzo, lì seduti aspettano, senza nulla dire, di fronte a loro l'andirivieni lento e incessante della città. Una donna con un cappello e occhiali da sole rapidamente attraversa, ora in piedi una ragazza con occhialini da sub e capelli raccolti da una cuffietta balneare sul bordo mima lentamente, lunghe braccia e ginocchia piegate, fende l'aria con ampi movimenti , i gesti di qualcuno intento a tuffarsi in una piscina. Gli altri, i-pod alle orecchie cominciano a muoversi leggermente al suono della musica, poi a ondeggiare. Ballano, saltano su verso l’alto, cercano di veder dentro quello specchio di vetro invisibile sopra di loro, continuano per un po’, invano, poi se ne vanno. Un ragazzo si toglie la maglia, la depone al suolo e vi si siede sopra, qualcuno si stende accanto a lui sul cemento, un altro segue, aprono cartelli su loro distesi con scritto “aspettando il sole”. Una ragazza arriva, appoggia pennarelli e fogli al suolo e comincia a scrivere, a spargere cartelli a terra, un primo, un secondo, un terzo e cosi' via: “una donna di fronte a una telecamera”, “una donna guarda”, “una donna sola guarda una telecamera” . Immobile, nuda allo sguardo della folla, ora, con quei cartelli in mano. Sollevati, lì di fronte a loro, a lasciarsi guardare.


Qualcuno riceve una telefonata in mezzo al gruppo , risponde, sembra inizialmente parlare disordinatamente, a voce troppo alta a un altro interlocutore dall’altra parte del filo come se la comunicazione fosse in parte disturbata, interrotta. Poi comincia a parlare sempre più forte, a gridare, la gente si volta, lo credono prima ubriaco, poi folle, ridacchiano, lo ignorano. Dice frasi a pezzi, a frammenti, ma le sue frasi lanciate nello spazio esplodono, risuonano, tagliano l’aria. Parole sempre più forti, nitide, alla deriva, lasciate là in attesa che qualcuno venga a raccoglierle, in attesa di risposta, sono lanciate come un grido silenzioso, come un’esplosione di rabbia o di follia, come un bisogno, un fardello gettato lontano, una circostanza, un accadimento intangibile. Parla a un interlocutore invisibile, a sé stesso, a Dio, a un grande altro, crea un’eco nell’aria, sono costretti ad ascoltarlo. Dice cose a pezzi come5:


Non appaio simile a voi, non me lo posso permettere. Quello che in inizialmente vi dirò.. ciò’ di cui di giorno e di notte, di cosa ho paura... Assuefatti, in seguito a uno sporco calcolo, per profitto.. stanno tentando di distruggere le nostre società, alla fine d'ogni giornata il flusso dei profitti...
Ancora non conosciamo chi siano esattamente questi uomini o bestie piuttosto, quali animali da preda, si avventano sui nostri giovani…come si trovassero in piena giungla o in un paese straniero, non nel nostro. Veleni preparati e miscelati con ogni tipo di sudiciume, distruggono il cervello, questo male esige da noi il suo tributo".

"Si alzano queste case a considerevole altezza nel cielo ora infuocato dal terribile sole d’estate. Si alzano come giganteschi libri di pietra sui quali nulla è scritto. I profili altissimi di ghiaccio silenziosi. Lapidi per una folla, costruzioni sottilissime quanto elevate, grattacieli dei poveri, ospizi dell’avvenire. Una sorveglianza delicatissima e il sospetto permanente, cui i più si rassegnano che la vita non sia alla base dei loro interessi. La vita cioè, i rapporti umani, l’amicizia, il discutere, l’intelligenza d’uno sguardo."

"Le città sono idee, io sono un occhio, il cielo è ancora abbastanza azzurro da mostrare i profili delle cime degli alberi, dei camini, salendo sopra i ripetitori televisivi."

"C’è una preoccupazione, un’apprensione, qualcosa da compiere.
Il mondo è tutto ciò’ che accade…la totalità dei fatti, non delle cose; una cosa può accadere o non accadere, l’immagine presenta la situazione nello spazio, il sussistere o il non sussistere di stati di cose."

"Bisogna essere affacciati su una piazza da tutti e quattro i punti cardinali per conoscerla a fondo. Bisogna anche averla lasciata in tutte e quattro le direzioni."

"Non saperti orientare in una città non significa molto. Ci vuole invece una sorta di pratica per smarrirsi in essa, i nomi delle strade devono parlare all'errante…le vie del centro scandire senza incertezze le ore del giorno.
La forza d’una strada è diversa a seconda che uno la percorra a piedi o la sorvoli in aeroplano, come la forza d’un testo è diversa a seconda che uno lo legga o lo trascriva."

" I marciapiedi e i selciati recano una quantità di dettagli e indizi. Perlopiù cose sorprendenti: fiori appassiti, schegge di cristallo, mozziconi di sigarette, fiocchetti perduti di fermagli da bambine, ami arrugginiti. I segni marginali più frequenti sono bottoni, monete di rame, chiodi e mozziconi di sigarette.”

L'occhio stesso ha una funzione ”apprensiva“ non solo “visiva”, non solo raggiunge o registra la realtà ma la fabbrica, la costituisce , la determina chiudendola dentro un proprio campo immaginativo. 

Le azioni assumono l'intenzione tacita, lo stato di violenza di due corpi implicati in una lotta , sono rivestite della stessa densità e presenza anche se il loro sguardo è volto altrove,  puntato verso un terzo occhio invisibile.

Ancora materiali dal laboratorio..

Quanto distante il suolo, quanto lontano il cielo
il colore di un pezzo di carta, la struttura d'un muro,
quanto distante da ogni lato, quanto distante l’uno dall'altro.
La radice d'un lavoro, la natura d'uno spazio,
una distanza tra due punti, una relazione tra due persone.
Qualcuno mi guarda, che guardo, quello che chiedo ai miei occhi di  non vedere.


Continenti derivano, stagioni cambiano
uno strano tipo di memoria, uno strano tipo d’ assenza.
le forme evolvono, i solidi disciolgono, ricorda un momento in cui sei stato felice,
ricorda un tempo in cui...
le cose che non dici, le cose che non sai, il tempo resta immobile , le storie si ripetono.

Ricorda un tempo di confusione, un tempo di realizzazione,
le tue parole su un pezzo di carta...
E' l’amore che prevale, la luce che prevale?
Spostiamo le cose da un' altra parte, spostiamoci da qualche altra parte,
permettiamo a un evento di accadere, a un atto di lasciarsi affiorare.
Conserviamo qualcosa di occhi che ci guardano,
quello che vediamo, quello che cerchiamo".









1Marc Augé, Non-luoghi, Eleuthera, p 73
2Ibid., p. 73
3Ibid., p. 74
4Ibid., Augé p. 86


5Cfr, Raccolta di testi di vari autori selezionati per il laboratorio “Folle agire urbano”