venerdì 22 maggio 2015

Sulle "Voci di Tenebra Azzurra" del Teatro Valdoca ( Cesena Maggio 2015)






Il suono del liuto accompagna; una figura di tenebre azzurre compare simile a voce profetica, iridescente, turchese; nel controluce del nero si espande, celeste, luminosa nella performance dalla sua prima maschera, dal suo stato iniziale di figuretta in bianca tunica di scuola con il volto dipinto e il cappello a punta dell’ultimo della classe, a equilibrista sul filo teso del verso poetico. Quale maschera nuda da' respiro, parole alle diverse voci che in lei attraversano.
 All'inizio della performance  si sposta in fragile equilibrio tra meccanismi e supporti scenici messi a nudo, tra spot luminosi, fili elettrici sospesi nel vuoto, un tavolo, una lavagna, una campanella, un quaderno alla mano. Un cappello a cono in testa deposto più tardi, una gonna  in carta crespa che lascerà volteggiare in aria nell'oscurità , infine i microfoni sparsi in vari appostamenti ai quali l ' attrice si avvicina di volta il volta . Il volto è coperto da una densa patina di vernice bianca, l’azione resa minimale, ricondotta a pose immobili in un occultamento necessario della figura di cui solo lo sguardo limpido del poeta traspare: il vero volto, le voci che arrivano a lei attraversano il suo corpo quasi captate, intercettate nell’abbandono a questa "traspirazione dell'essere", nell’apertura o nella totale disponibilità ad accoglierle di volta in volta dal loro primo sussurrare, monologare o quasi imponendosi "per una auto-combustione" come afferma la Gualtieri .
Si rende necessaria, dunque,
 questa maschera nuda, tale nudità densa e opaca per svelare l’altro volto e lasciar parlare le ombre amplificate di tenebre azzurre, parole giunte lì "dal cuore silenzioso del loro primo raccoglimento", distillate una a una quasi per farsi portavoce dell'ineffabile, del sottile.

La parola proviene da qualche parte, da quell’altrove deve essere ascoltata, ricevuta, ritmicamente accolta attraverso il corpo di cui l’attrice riesce a farsi intermediaria. Essa si vuole respiro dal corpo alla voce; deve essere detta, sussurrata, lasciata fluire in una continuità impersonale, sospesa sulla scena come sulla pagina bianca, lasciata al suo silenzio, al vuoto che la circonda, che la precede e la segue. Più tardi parte della figura sarà occultata da un firmamento disceso sopra di lei come una volta celeste mentre una spada di luce bianca, elettrica, iridescente nell’oscurità comincerà a illuminarsi , ad accendere per intermittenza scintille, minuscole costellazioni celesti rivelate come voci di poesia all’improvviso dall’invisibile.

Le voci di tenebra azzurra nella poesia pascoliana citata alla fine della performance giungono al poeta da un altrove atemporale, sono quei “canti di culla che fanno ch'egli torni com'era”, quelle voci che lo riportano al mistero del vero e gli impongono di restare fedele alla sua più autentica natura perché  lo risvegliano in qualche modo dall'ottenebramento, dal torpore presente della sua anima. Dolci singulti sopraggiungono dopo l'aspro imperversare d'una tempesta finita in rivo canoro mentre le nubi più nere e i transitori fulmini nel giorno si sono trasformati in riflessi purpurei e d'oro e voli di rondini attraversano nella rosea, pallida sera.

Tali voci di poesia richiamano fuori dal tempo presente, verso un non-luogo della parola, qualcosa di originario cui sentiamo poeticamente, intrinsecamente di appartenere senza avere le parole, la facoltà o gli strumenti per dirlo. Ricordano alla poetessa la sua prima appartenenza all'essere, la riportano a quel luogo di verità originario della sua intrinseca esistenza, risvegliano in lei la necessità, il bisogno di ricongiungersi alla radice più autentica dell'io e lo fanno attraverso una dimensione sottile del linguaggio, quella dell'ineffabile, del sacro nel tentativo di riportare la parola alla forza primaria d'un ritmo poetico innato là dove essa diviene tutt'uno al senso.

In tale autenticità, ugualmente, la parola poetica riesce a rendersi strumento del proprio tempo per incarnare o dare forma poeticamente alle ombre inquietanti, alle figure di devastazione e morte che si profilano cupe sul tempo dell'attuale, che avvolgono devastanti come tenebre le legioni del mondo, e rendono le anime svuotate, lo stato delle coscienze inerti, logore, incapaci di reagire, e riconducono una civiltà al suo punto di declino o di non-ritorno. Le stesse provocano in una inesorabile reazione a catena le derive di singole esistenze, la lenta dissipazione delle nostre società come di interi continenti sotto effetto di grandi disequilibri climatici globali. Spada di luce, scintillante poeta-guerriero depone scie di parole simile prima a un saltimbanco, a un acrobata dell'essere, poi nella proiezione luminosa di sé a una figura espansa che riceve e trascrive facendosi tramite dell'Altro, dall'oscurità di tenebre azzurre, infine di nuovo come scolaretto in ascolto, in attesa.








“Ma non vedete, ci siamo persi, particelle nostre d’intesa stanno separate, nostre intensità annacquate e sempre hanno più forza le faccende minute. Si, voi dite, tornate ad esserci, interi, veri, attenti, concentrati, restate vuoti, sospesi, spalancati. Mi rallegro quando dite che c’è sempre un po’ di gioia, e persino il bello si trova accanto a noi, sotto la corteccia d’ogni ora, il cuore silenzioso del raccoglimento”,
 il momento silenzioso del ritrovarsi, dell'essere uno con sé stessi, intatti, integri, avvolti dalla potenza spirituale dell'alto e ricongiunti alle radici.

Il volto è coperto di bianca vernice, coperto da una sorta di patina solidificante, bianca matrice o maschera. Solo la voce s' ode, voce che appena sussurrata s'impone tuttavia, s'amplifica, prende vigore dal suo silenzio. Perché, come afferma la poetessa, queste voci di poesia giunte a noi dallo sconosciuto del corpo continuano il discorso di qualcun' altro, degli antenati, dei maestri e poeti che ci hanno preceduto o di quelli che ancora parlano in noi. Sono le parole che ci hanno consegnato, che vogliamo espandere, sospendere, vedere fluttuare nel vuoto della nostra anima, far continuare nel loro proprio discorso dentro la nostra voce mentre la medesima si libera dalle maschere, delle impostazioni o imposture che si è data per reggere l'urto del mondo.

“Voi dite che in ognuno di noi si nasconde l'uomo, la donna universale, invincibile, ma le genti mie sono tutte in sbando. Chiedono, nessuno sa ascoltare. Sentiamo un'ombra avvolgente cadere sulle generazioni del mondo, una generale scontentezza sporge tutti i cuori verso quel luogo dove tutto si rompe, dove tutto muore. E ancora in certe notti siamo lì, schiacciati sui guanciali da montagne d' ombre celebrali. Siamo lì spaventati per una prova imminente, doloranti per un abbandono insuperabile, e siamo soli senza parole”.


La maschera del poeta si mette a nudo ora letteralmente nella durezza della sua pelle-pietra, nel primo piano del volto occultato di cui solo la verità dello sguardo glaciale, limpido a poco a poco si lascia scorgere, trapassare insieme alla forza delle parole.

“Quante notti ancora vi chiedo dobbiamo attraversare, quante ombre in cui lasciare peso, e farci poi creature risorte fino a diventare per gioia contagiose. Si, questa la cosa più bella che dite, trasformare il dolore in bellezza”.

Nell'azzurrità delle tenebre la figura danza in un vorticare di parole, in cerchi concentrici deliberatamente trasformando la prima immagine anomala della scolaretta in bianco in un moto danzante e circolare dell'abito. La leggerezza della gonna in carta crespa- appare in un volteggiare di parole nel vento che le porta.

“Voi dite che sempre qualcuno c'è riuscito ma riusciremo ancora vi chiedo, ma c'è ancora dolore o solo distrazione, scontentezza, e una chimica che simula salvezza e ci deruba del nostro stare male e a volte nel dolore ci ottenebra, ci assopisce. Ma no, ma non lo dimentico, le vostre preziose parole, sii fedele a te stesso e al mistero, il resto è tradimento del vero, non lo dimentico care voci.”

La figura minuscola appare ora immensa contro la parete dove è proiettata nell'oscurità bluastra, riflessa nel controluce di tenebre, celestiale e insieme emanando una strana incandescenza simile a guerriera vestita di luce. La spada di parole alla mano, sola avanza contro l'oscurità, amplificata ai nostri occhi come proiezione luminosa fino a scomparire a poco a poco nella notte per lasciare posto alle parole: sole, immense, sconfinate, distillate goccia a goccia dal non-luogo della poesia in una loro intrinseca verità.