lunedì 16 settembre 2019

Un libro e una città: Marguerite Yourcenar a Ravenna









Scriveva Marguerite Yourcenar in visita a Ravenna nel 1935 a proposito della città in un articolo poi confluito nella raccolta postuma “Pellegrina e Straniera”( 1989):



“Per queste strade fiancheggiate di case basse, dove di tanto in tanto esplode il banale fragore di una fanfara, tra negozi che espongono le loro lusinghe fuori moda, ogni tanto emana il sentore di noia delle giornate troppo lunghe, dei doveri monotoni, e l’Invidia è il più vezzeggiato dei sette vizi capitali. Le sole chiese_ nascoste qua e là dietro le loro facciate di mattoni ruvide, quasi sotterranee, accessibili solo attraverso corridoi lunghi e sinuosi_ si aprono come spiragli di un mondo dell’anima”.

 “Non c’è altra città dove si risenta maggiormente dello iato tra interno e esterno, tra la vita pubblica e la segreta vita solitaria. Sulla piazza il sole riscalda le sedie di ferro di fronte la porta di un caffè. Bambini sporchi, donne debordanti di maternità sfociano nelle strade tristi. Ma qui in questa purezza di tenebre, ben presto resa trasparente dall’abitudine, rilucono qua e là fuochi limpidi, come quelli di un’anima in cui lentamente si formino i cristalli della sventura.”

“Uno dei confini di Ravenna sta in questo confine dell’immobilità con la velocità suprema; essa conduce alla vertigine. Il secondo segreto di Ravenna è quello dell’ascesa nel profondo, l’enigma del nadir. Letteralmente i personaggi dei mosaici sono minati: hanno scavato in sé stessi enormi caverne nelle quali raccolgono Dio. Affondati nelle viscere dell’estasi partono alla ricerca di un sole di mezzanotte, ai mistici antipodi del giorno. La loro esperienza contraddice lo slancio gotico che tende le braccia a Dio. Rinchiusi in un sogno, imprigionati sotto la campana da palombaro delle cupole, sfuggono alla frenesia del mondo nella serenità del baratro.”  

In una simile parabola di “sogno, silenzio e catalessi” definisce Ravenna la scrittrice franco-belga Marguerite Yourcenar; un’imprescindibile  contraddizione resta qui insita tra lo splendore del passato_ gli ori dell’epoca imperiale, le basiliche irridenti di luce, di blu oltremare e verde smeraldo degli antichi mosaici_ e il lento inesorabile declino che seguì nei secoli successivi della dominazione ecclesiale. Di quell’immobilità facevano specchio i corsi d’acqua stagnante, le paludi, gli acquitrini di cui la città era circondata come le mura e le roccaforti che ne cingevano il perimetro esterno.

Tale immagine apparve a molti e illustri visitatori di Ravenna nel passato, per prima la Yourcenar,  una città dai colori e le prospettive infrante in un prisma riflesso tra ciò che era e non è più_ baluginante di splendore_ e l’aspetto immobile e austero, riservato e schivo che gli ha impresso addosso la storia successiva. Eppure, in quel prisma dovrebbero comparire, oggi, anche altri riflessi: la città tale che potrebbe essere domani, la città nel mentre del suo trasformarsi e divenire altra oggi, infine il volto segreto del centro antico dove scorci di basiliche e mausolei, archi in pietra a vista o esedre si lasciano intravvedere tra l’azzurro del cielo e il verde della residuale pineta.
Là, riflessi d’oro e cieli stellati avvolgono le cupole al loro interno.  
 

Forse vorrei invece parlare qui di un’altra città, di un volto differente, nuovo e inedito che esula dal centro storico, dalle case basse, serrate all’esterno e i sentieri bianchi in pietra a vista:  antico sepolcro di una capitale d’epoca gloriosa e remota. Vorrei parlare di una via navigabile, di un canale e una zona industriale esterna le mura costeggiando la quale si giunge attraverso la pineta alla porta d’accesso al mare. 
Vorrei parlare di una via aperta, percorribile dall’immaginazione, che attraverso le acque collega idealmente l’antico polo culturale della città alla fascia verde, balneare e costiera. Vorrei parlare un canale artificiale e un vecchio porto, la Darsena circondato da stabilimenti produttivi, aree libere e altre dismesse che sarà  riconvertito nel progetto di recupero urbanistico previsto per Ravenna nei prossimi anni.

Sembra ai miei occhi che questo passaggio di prospettiva trasformi la piccola vita di provincia di una cittadina statica e conservatrice in una ventata di freschezza e vitalità che traspira il sentore del mare, la salinità delle acque, i colori della verdeggiante pineta.
Qui, aghi silvestri si intrecciano a millenarie cortecce e chiome di pino sempre-verdi mentre la cinta muraria apre le sue porte a un fuori periferico, rigoglioso e costiero.  Il progetto della nuova Darsena attraversa e incorpora l’apparato industriale, il porto commerciale ricostruito a partire dagli anni ’80 per giungere ad aprire una finestra sul litorale adriatico. Quest’arteria commerciale, fulcro economico dalla città, balugina di infra-strutture: costruzioni industriali e container luccicanti di acciaio e cemento frammisti a mucchi di sabbia, ghiaia e colossali impianti chimici.
 


In particolare nella zona Baiona si fronteggiano da un lato le strutture futuriste, luccicanti e tentacolari del nuovo polo ravennate_ i ritmi frenetici, i suoni assordanti e le ecclettiche illuminazioni_ dall’altro  le piallasse stagnanti, le acque verdastre nell’immobile luce solare e le reti tese dei capanni da pesca. Rimandano al silenzio della fine del giorno,
a spazi ampi e vuoti, a un tempo dell’inerzia, dell’attesa.
 In tale specchio deformante un’immagine della città si riversa nell’altra: l’immobilità e la folgorante innovazione, la vacua lentezza e la velocità suprema che conduce alla vertigine. 
E, ancora, è la dicotomia tra il dialogo aperto con le nuove culture o etnie straniere e l’occlusione dei vecchi cerchi cittadini.

In tale prisma infranto vedo Ravenna e i suoi molteplici volti oggi ma, anche, in un corso d’acqua artificiale lungo il quale si sposta il nostro sguardo: punto di contatto, forse, tra le due anime eterne della città.



Fotografie di Ravenna industriale di Enrico Fedrigoli