“Per
queste strade fiancheggiate di case basse, dove di tanto in tanto esplode il
banale fragore di una fanfara, tra negozi che espongono le loro lusinghe fuori
moda, ogni tanto emana il sentore di noia delle giornate troppo lunghe, dei
doveri monotoni, e l’Invidia è il più vezzeggiato dei sette vizi capitali. Le
sole chiese_ nascoste qua e là dietro le loro facciate di mattoni ruvide, quasi
sotterranee, accessibili solo attraverso corridoi lunghi e sinuosi_ si aprono
come spiragli di un mondo dell’anima”.
“Non c’è altra città dove si risenta
maggiormente dello iato tra interno e esterno, tra la vita pubblica e la
segreta vita solitaria. Sulla piazza il sole riscalda le sedie di ferro di
fronte la porta di un caffè. Bambini sporchi, donne debordanti di maternità
sfociano nelle strade tristi. Ma qui in questa purezza di tenebre, ben presto
resa trasparente dall’abitudine, rilucono qua e là fuochi limpidi, come quelli
di un’anima in cui lentamente si formino i cristalli della sventura.”
“Uno dei confini di
Ravenna sta in questo confine dell’immobilità con la velocità suprema; essa
conduce alla vertigine. Il secondo segreto di Ravenna è quello dell’ascesa nel
profondo, l’enigma del nadir. Letteralmente i personaggi dei mosaici sono
minati: hanno scavato in sé stessi enormi caverne nelle quali raccolgono Dio.
Affondati nelle viscere dell’estasi partono alla ricerca di un sole di
mezzanotte, ai mistici antipodi del giorno. La loro esperienza contraddice lo
slancio gotico che tende le braccia a Dio. Rinchiusi in un sogno, imprigionati
sotto la campana da palombaro delle cupole, sfuggono alla frenesia del mondo
nella serenità del baratro.”
In una simile
parabola di “sogno, silenzio e catalessi” definisce Ravenna la scrittrice
franco-belga Marguerite Yourcenar; un’imprescindibile contraddizione resta qui insita tra lo
splendore del passato_ gli ori dell’epoca imperiale, le basiliche irridenti di
luce, di blu oltremare e verde smeraldo degli antichi mosaici_ e il lento
inesorabile declino che seguì nei secoli successivi della dominazione ecclesiale.
Di quell’immobilità facevano specchio i corsi d’acqua stagnante, le paludi, gli
acquitrini di cui la città era circondata come le mura e le roccaforti che ne
cingevano il perimetro esterno.
Tale
immagine apparve a molti e illustri visitatori di Ravenna nel passato, per
prima la Yourcenar, una città dai colori
e le prospettive infrante in un prisma riflesso tra ciò che era e non è più_ baluginante
di splendore_ e l’aspetto immobile e austero, riservato e schivo che gli ha
impresso addosso la storia successiva. Eppure, in quel prisma dovrebbero
comparire, oggi, anche altri riflessi: la città tale che potrebbe essere
domani, la città nel mentre del suo trasformarsi e divenire altra oggi, infine il
volto segreto del centro antico dove scorci di basiliche e mausolei, archi in
pietra a vista o esedre si lasciano intravvedere tra l’azzurro del cielo e il
verde della residuale pineta.
Là,
riflessi d’oro e cieli stellati avvolgono le cupole al loro interno.
Forse vorrei invece
parlare qui di un’altra città, di un volto differente, nuovo e inedito che
esula dal centro storico, dalle case basse, serrate all’esterno e i sentieri bianchi
in pietra a vista: antico sepolcro di
una capitale d’epoca gloriosa e remota. Vorrei parlare di una via navigabile, di
un canale e una zona industriale esterna le mura costeggiando la quale si
giunge attraverso la pineta alla porta d’accesso al mare.
Vorrei parlare di una
via aperta, percorribile dall’immaginazione, che attraverso le acque collega
idealmente l’antico polo culturale della città alla fascia verde, balneare e
costiera. Vorrei parlare un canale artificiale e un vecchio porto, la Darsena circondato
da stabilimenti produttivi, aree libere e altre dismesse che sarà riconvertito nel progetto di recupero urbanistico
previsto per Ravenna nei prossimi anni.
Sembra
ai miei occhi che questo passaggio di prospettiva trasformi la piccola vita di
provincia di una cittadina statica e conservatrice in una ventata di freschezza
e vitalità che traspira il sentore del mare, la salinità delle acque, i colori
della verdeggiante pineta.
Qui,
aghi silvestri si intrecciano a millenarie cortecce e chiome di pino sempre-verdi
mentre la cinta muraria apre le sue porte a un fuori periferico, rigoglioso e
costiero. Il progetto della nuova
Darsena attraversa e incorpora l’apparato industriale, il porto commerciale ricostruito
a partire dagli anni ’80 per giungere ad aprire una finestra sul litorale adriatico.
Quest’arteria commerciale, fulcro economico dalla città, balugina di
infra-strutture: costruzioni industriali e container luccicanti di acciaio e
cemento frammisti a mucchi di sabbia, ghiaia e colossali impianti chimici.
In
particolare nella zona Baiona si fronteggiano da un lato le strutture
futuriste, luccicanti e tentacolari del nuovo polo ravennate_ i ritmi
frenetici, i suoni assordanti e le ecclettiche illuminazioni_ dall’altro le piallasse stagnanti, le acque verdastre
nell’immobile luce solare e le reti tese dei capanni da pesca. Rimandano al
silenzio
della fine del giorno,
a
spazi ampi e vuoti, a un tempo dell’inerzia, dell’attesa.
In tale specchio deformante
un’immagine della città si riversa nell’altra: l’immobilità e la folgorante
innovazione, la vacua lentezza e la velocità suprema che conduce alla
vertigine.
E, ancora, è la dicotomia tra il dialogo aperto con le nuove culture
o etnie straniere e l’occlusione dei vecchi cerchi cittadini.
In tale prisma
infranto vedo Ravenna e i suoi molteplici volti oggi ma, anche, in un corso
d’acqua artificiale lungo il quale si sposta il nostro sguardo: punto di
contatto, forse, tra le due anime eterne della città.
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