lunedì 14 dicembre 2009

Estratti di "Tra due Silenzi" , Peter Brook


























«Tutto comincia cosi’, con un silenzio, ma ci sono due tipi di silenzio, o forse ce ne sono molti di più, ma in definitiva, non ce ne sono che due: un silenzio di piombo, questo silenzio senza vita che non aiuta e, l’altro, il vero silenzio, quello che unisce misteriosamente e innegabilmente persone ordinariamente divise. Un vero momento di condivisione. Tra questi due silenzi, quello senza vita_quello della noia del teatro_e l’altro, pieno di vita, d’una vita straordinaria, tra questi due silenzi mille questioni si pongono.”

Quello che concerne veramente il teatro, il regista, é tentare di capire cio’ che accade al cuore dell’esperienza per continuare a lavorare partendo da tale comprensione. E allora, da subito, una domanda essenziale si pone: perché fare teatro, perché passare tanto tempo a guardare gente nell’atto di fare delle cose? Questa questione resta al centro del mio lavoro. Siete seduti di fronte a me, sono seduto di fronte a voi; ponete una domanda, rispondo, non ha importanza. Quello che é importante é che sentiate, quando ponete la vostra domanda, che essa valga la pena d’essere risposta. Lo stesso accade nella messa in scena. Il teatro parla della vita, di cosa d’altro si potrebbe parlare? Si puo’, per un breve momento, entrare in una situazione nuova, in maniera più intensa, differente da quella che si vive nella vita ordinaria? Credo che questa sia, in definitiva, l’unica questione.”
“ Non credo che il teatro sia al suo meglio quando evoca il punto di vista di una sola persona. Che cosa lo rende cosi’ eccezionale? E’ perché il pubblico può’ vivere, là, in piena luce, contraddizioni che di solito lo sommergono; può’ allo stesso tempo comprendere il gesto d’Otello e provare un’immensa compassione per Desdemona, e può’ sentire profondamente questo. La necessità del teatro, permette di entrare, più profondamente in una situazione data. La scena o il testo devono servire la complessità della vita, non essere servitori di un singolo punto di vista.








Su Artaud: “ una personalità unica e complessa...resta per noi una visione del teatro, una visione estrema, totale, da visionario, mentre il teatro perde spesso il suo lato “extra-ordinario”, cadendo facilmente sotto il fascino di un mondo soave, ordinario, compiacente e piccolo borghese”.
Su Grotowski: “nelle forme tradizionali di teatro, in India, Giappone o nelle vecchie pantomime europee si trovano spesso codici sterili, fossilizzati, non più viventi,
Si deve incoraggiare l’attore a non ripetere quello che ha già fatto, appreso o visto; trovare un ritmo della parola che non sia quello della parola ordinaria, intonazioni che non siano quelle dell’abitudine, gesti che non siano dati. Sviluppare il suo corpo, la sua voce per permettere all’impulsione più intima, più segreta di salire in superficie”.

“ ...la ricerca di un movimento che puo’ toccare ciascuno per la sua purezza era anche alla base del nostro lavoro. Attraverso un semplice gesto, fatto in un modo preciso, un attore é capace di catturare l’attenzione di un intero pubblico. In quel semplice gesto sono riunite purezza, trasparenza e chiarezza. Scoprivamo, da parte nostra, che si poteva trovare la stessa purezza attraverso gesti semplici, i più ordinari della vita quotidiana”.

La questione dell’innocenza: “ ..Si é persa la propria innocenza lungo il cammino, e le complicazioni, i problemi sorgono. Si deve attraversare questo e tentare di trovare una nuova innocenza, non quella dell’infanzia, sarebbe troppo facile... Molti scrittori usano l’immagine della traversata d’una foresta; si deve attraversare una foresta oscura e insidiosa, e, se si arriva a uscirne allora una nuova forma che puo’ chiamarsi innocenza sarà trovata. La prima é data, la seconda é da scoprire”.

“ Facendo un enorme salto attraverso gli anni, a poco a poco, é il contenuto umano del lavoro, che é diventato più importante. Siamo partiti, un piccolo gruppo d’attori e io, all’incontro di gente molto diversa, bambini, handicappati, vecchi. Siamo andati in Africa, in Iran; abbiamo improvvisato partendo dal nulla per gente che non conosceva il teatro come lo conosciamo noi in occidente. E là, il mio lavoro ha preso un’altra piega.[..] In primo piano, ora, sono degli esseri umani che fanno cose e altri che li guardano; é chiaro che tutta la storia che si vuole raccontare, rendere vivente, parte da questo”.

Sans-forme: “ cominciare la giornata seguendo un’intuizione, sapendo che finirà, senza dubbio, per cambiare forma. Alla fine della giornata cambierete direzione, voi e quelli che lavorano con voi, non importa. Siete coscienti che la vera direzione non si troverà che molto più tardi, e che allora, tutti quei momenti d’improvvisazione troveranno il loro vero posto, la loro utilità fondamentale. E’ un processo, non c’é altro modo per descriverlo, come il processo per il quale passa un pittore. Quello che chiamiamo un processo: si va a destra e a sinista, si cambia, si attraversano momenti di totale disperazione, sé e gli attori, momenti dove si crede in qualcosa e gli altri non ci credono, momenti dove gli altri credono e non voi, momenti dove nessuno ha l’impressione d’essere sulla buona strada ma durante tutto quel tempo il lavoro continua. E’ un processo, si deve prendere il rischio.”

Un riflesso della realtà...un riflettore puntato sulla realtà. Quello che accade in teatro non é mai reale, é un’imitazione nel miglior senso del termine. Non mostra la realtà, l’esprime attraverso uno specchio, uno specchio che é allo stesso tempo lente attraverso la quale si puo’ osservare quello che ci sfugge, normalmente, nei movimenti caotici della vita”.
“Abbiamo cominciato a lavorare con attori provenienti da diversi paesi del mondo per una ragione molto semplice...l’essere umano non é finito; l’essere umano ha bisogno dell’aiuto d’altri. Nella sua ricerca individuale non ha soltanto bisogno di compagni di viaggio ma anche di capire che un’altra persona puo’ apportargli quello che lui da solo non potrebbe sviluppare. E’la cosa più interessante lavorando con persone provenienti da paesi e culture diverse”.

Il Mahabharata é un’opera incredibilmente complessa, densa; a un certo livello parla di conflitti che possono sorgere in qualsiasi famiglia, a un altro, parla del conflitto essenziale nell’individuo, dell’essenza della guerra, dell’eterna lotta tra i popoli, dell’uomo contro l’uomo e, a un livello ancora più vasto, del senso interno, della ragione d’essere del conflitto in quanto tale, non del conflitto nella società ma nell’essere umano o, potremmo dire, nel cosmo. Qual’é il senso del conflitto, totalmente negativo, positivo, come comprenderlo nel ciclo di creazione dell’umanità? Immensa questione; si parte da un conflitto personale, per entrare con Krishna che é il rappresentante dell’umano, nella grande opera di creazione e distruzione”.





















Teatro come spazio : spazio dove lo sguardo puo’ aprirsi e la voce, il gesto dirigersi verso l’altro, l’alterità per eccellenza;
invio proiettivo, movimento che si proietta verso l’esterno in un indirizzo reale o metaforico, in un’atto di condivisione, scambio, messa in circolazione delle correnti multiple che si traversano.
Esperienza dove il mondo non schiaccia l’individuo ma lo induce a trovare una propria completezza interiore.
“Alterità”, anche, come il margine esterno dell’io, il luogo del corpo dove la forza, l’eros o la pulsione prima, la carica energetica pura e potenzialmente distruttiva
s’ergono contro il nostro stato d’esseri costituiti.

La superficie del quadro o della tela s’apre, qui, a una terza dimensione; diviene volume, profondità d’uno spazio reale attraversato con i sensi tutti,
condiviso, abitato d’una serie d’eco e risonanze dell’ordine dell’umano.
Raramente neutrale, si carica di forze e tensioni, si nutre di quello che passa sottilmente, impercettibilmente tra le forme, gli atti e i corpi.
Spazio che destabilizza o anima l’individuo dandosi come profondità, come densità, sempre e comunque mobilitato, investito, messo in vibrazione.
Induce a rompere le linee verticali e orizzontali raggruppando tracce interrotte, frammenti, residui, coaguli o nodi di materia vivente; rifiuta la linearità di antiche prospettive dandosi come
non–forma alla ricerca di altra, possibile definizione.
Esperienza che si rende presente nel qui e ora , irripetibile, mai identica a sé stessa, legata all’effimero del momento, al qui e all’ora dello sguardo , come esistesse al momento in cui é vista, come ci si trovasse di fronte all’avvenimento, al centro dell’esperienza soli con sé stessi.

Non-luoghi del mondo, luoghi possibili a reinventare: luoghi marginali o marginalizzati, periferici, disertati, lasciati all’abbandono o pronti per essere distrutti, luoghi che testimoniano d’una durata e si collegano a una storia. Luoghi dilatati da intersezioni di nuove forme e strutture possibili. Luoghi per espandere, dare spazio al pensiero, installazioni per dare forma al possibile. Luoghi di investimento utopico per credere alla non-riproducibilità, alla non-vendibilità di ogni cosa; per pensare quello che supera i limiti dell’attuale, del dato, dell’assorbito, dell’assunto. Spazi contro la rassegnazione, il già ricevuto, già consumato, già visto.

"L’intimo", non più assimilato al dominio psicologico, al ripiegamento sull’io
é “espressione diretta e apertura senza riserve” nella visione di Brook.
L’essere é quello che si rivela inaspettatamente, la cosa che si ignorava e che giunge a esporsi, ad assumersi, ad affermarsi quando si entra nel momento/movimento danzato. Trascende la psicologia individuale per darsi come atto, “momento impersonale che illumina l’essere senza riserve”.

Improvvisazione: per vedere il fuori-scena di un testo, di una partizione, di una frase coreografica; per andare oltre, per trovare dove il movimento, continua, da dove proviene, dove va a finire, dove si ricongiunge con la corrente fluida che lo porta, come la voce puo’ sommarsi, come il suono puo’ modificarlo, quali immagini puo’ rivelare in sé. Allenarsi per “ rendersi pronti all’imprevisto” secondo Brook: “essere disponibili a quello che avviene” in questo stato di ascolto, d’apertura ai sensi che si traduce nell’ immediatezza dell’atto improvvisato.

Cerchio/spirale/doppio: il cerchio esterno del mondo, il cerchio interno dell’io, tra i due il linguaggio, la forma, la rappresentazione.
L’unicità del centro: la completezza dove tutti i punti si ricongiungono nella perfezione di una sfera.
La spirale: forza in espansione verso l’esterno partendo da un fulcro energetico primo in un movimento circolare volgendo verso il mondo.
La figura del doppio speculare: "L’uno é forma della certezza, l’altro della relatività. L’uno permette di ritrovarsi, l’altro di evolvere” nella definizione di Brook. Come conciliare l’assoluto e il relativo, l’erranza e la stabilità,
la liquidità e la materia, il disordine e il controllo? L’impusione pura e sragionata che agisce al fondo del corpo e la forma,
la stabilità o la struttura prima che questa divenga mortale. Alla ricerca di un’armonia degli opposti.