Quattro
le tematiche intorno alle quali si è svolta la mostra conclusa pochi giorni fa ai
Magazzini del Sale a Cervia in provincia
di Ravenna_ donne, guerra, immaginario e ambiente_ paradossalmente in
concomitanza con l’emergenza nella stessa area geografica delle violente alluvioni e scompensi climatici che hanno
stravolto in maniera inaspettata la quiete e laboriosa provincia romagnola.
“Make art not war” “ create arte e non guerra” è la monografia e insieme
l’excursus essenziale su uno degli Street
artist più noti in America e
nella blogsfera digitale grazie ai canali mediatici e al web, ai suoi
manifesti e t-shirt stampate e riprodotte in maniera seriale. Politicamente
impegnato sul fronte della critica sociale Shepard Fairey, per tutti “Obey”,getta
il suo sguardo ironico e disincantato sulle tematiche più scottanti del mondo attuale
e soprattutto del proprio paese realizzando
nei suoi più noti manifesti un metissage singolare tra cultura pop, fotografia
e grafica modernista.
L’arte
di Fairey sulla scia di altri noti predecessori come Banksy si dispiega
attraverso le strade e gli spazi metropolitani sullo sfondo delle città di
oggi, attraverso muri rubati e occupati da tag e manifesti; altrove, si sposta
nello spazio virtuale della rete sulle pagine condivise del web e i suoi canali.
Lo stile unico dell’artista emerge dalla combinazione personale tra muralismo
messicano e avanguardia futurista russa in ritratti dai forti contrasti tra
pochi colori vintage da un lato_ blu, rosso e nero_ e la necessità espressiva di
un ideale condiviso dall’altro. Si immerge nel mondo contemporaneo con una
imprescindibile punto di vista politico creando icone dissidenti rispetto al main-stream
americano.
Come
Obey afferma: “L’America è sempre più il
paese del consumismo, il paese dove si mangia troppo, si spende il denaro che
non si ha e si vive la propria vita come debitori, sempre in arretrato con i
pagamenti. E’ il paese in cui si obbedisce.” Di qui l’ironia del nome che
rovesciando la logica dominante del verbo “obbedire” incarna ironicamente i panni di un’artista della
controcultura divenuta nel tempo parte di un immaginario globale condiviso.
“Stickers”, adesivi inizialmente incollati sui
muri della cittadina natale americana, (il più noto: André the giant has a
posse”) e più tardi manifesti di tutte le dimensioni hanno tappezzato la stessa
intervenendo sul tessuto urbano, poi sullo spazio virtuale attraverso i social
media fino ad occuparlo, imprimervi il proprio marchio in un appello visivo,
fisico e sensoriale immediato atto a risvegliare una presa di posizione critica
in chi osserva. Basti pensare al celebre ritratto di Barack Obama sottotitolato
“Hope” realizzato in migliaia di manifesti per la campagna elettorale del 2008
che ha apertamente sostenuto l’elezione del primo presidente afro-americano
negli Stati Uniti. La sua arte sulla scia di Banksy si vuole empatica,
democraticamente condivisa sul web ma anche essenzialmente decisa ad affrontare
tematiche scottanti come l’emergenza ecologica, le guerre, l’immigrazione
spesso evidenziando le contraddizioni più palesi di un post-capitalismo globale
del terzo millennio improntato sull’uso incondizionato delle tecnologie. Vogliamo soffermarci in particolare su alcuni
ritratti della serie, We the people esposti
negli Usa nel 2017 in occasione della Marcia
delle Donne: primi piani di volti femminili, il cui impatto visivo e
dimensione estetica appaiono particolarmente significativi prima ancora di
interpellare la critica sociale e il messaggio politico soggiacente. Emerge qui
la forza espressiva e l’intimità di una storia raccontata attraverso un volto,
in particolare nel dettaglio
espressionista dello sguardo per la serie dei ritratti.
“We the people” ( 2017)
Sono volti in primissimo piano di una limpida ed essenziale forza espressiva, semplicemente volti di donne: afroamericane, musulmane, latino-americane scelte per rappresentare l’America come unità secondo lo slogan “we the people”, oltre e in funzione di tali differenze somatiche e culturali viste non come stigma o esclusione delle minoranze da parte del discorso dominante bianco ma come forza inclusiva. Lì nel mosaico composito generato da tali minoranze risiede, secondo Shepard Fairey, la vera e più autentica identità americana da dover essere riaffermata con forza in tempi in cui la tendenza politica dominante nel paese con l’elezione di Donald Trump appariva essere risolutamente conservatrice e repressiva . Tali immagini condivisibili gratuitamente sul web dal sito dell’artista sono divenute simbolo della lotta per i diritti civili da parte delle minoranze. Rivendicano l’idea di una nazione più inclusiva e democratica per gli USA, una identità condivisa per sollevarsi oltre le discriminazioni o le palesi lacerazioni che ancora dilaniano il paese. La scelta delle tonalità a livello grafico attraverso il rosso, il blu e il bianco riprende volutamente i colori della bandiera americana riaffermando l’idealità whitmaniana di un’America vitale, unita e profondamente democratica proprio perché vista attraverso le sue mille sfaccettature, i tanti volti e diversi modi di essere Americani.
Queste
immagini di donne_ antidoto alla xenofobia e al razzismo diffusi nel paese_ risplendono
in primo piano illuminate nella loro semplicità
e bellezza essenziale marcando una singolarità o differenza etnica e
culturale: valore aggiunto di una identità collettiva espressa dalla variabile
del singolo e dalla sua peculiarità.
Così il volto della giovane messicana dai capelli lunghi, mossi e corvini e gli
occhi neri, grandi e profondi appare stagliarsi magnificente sulla carnalità
delle labbra, di un rosso intenso che in contrasto al nero si ripete anche nel
colore della maglietta. Un fiore rosso tra i capelli, una rosa secondo l’usanza
messicana, e in primo piano il volto della giovane nella sua seducente bellezza.
La giovane donna musulmana ritratta in primissimo piano in un altro manifesto è
avvolta dai colori a stelle e strisce della bandiera americana che le funge da
copricapo secondo l’usanza delle donne
islamiche mentre il viso dai tratti intensi e marcati, le labbra rosso vivo e
gli occhi grandi e oscuri appaiono stagliarsi nella forza incisiva dei loro
tratti arabeggianti sul velo a stelle e strisce. Ancora in un altro ritratto le
treccine rasta dei lunghi capelli cerchiano il volto della giovane
afro-americana dalle labbra carnose e i tratti marcati sotto lo slogan: “noi,
le persone, ci proteggiamo gli uni con gli altri”. Ogni volta in ogni singolo
ritratto condiviso sui muri è il volto come singolarità, differenza espressiva
e significante nel melting-pot
dell’identità americana mostrando una ricchezza e unicità da preservare; ogni
singolo tassello di un grande mosaico di voci, identità e differenze.
Dalla serie “Barack Obama” ( 2008)
Particolare
rilievo, infine, meritano i manifesti di Obey dalla grafica straordinaria disegnati
per la campagna elettorale di Barack Obama nel 2008 che intendevano volutamente
invocare un cambiamento politico e sociale per il paese, la svolta dalle
precedenti forze politiche conservatrici e anacronistiche in senso utopico e
democratico come sottolineato con forza dalla
figura di Obama. Citando McLuhan: “la
maggior parte dei mezzi di comunicazione ha grande potere e influenza sulle
persone. Il mio progetto invece vuole dimostrare come il singolo può ancora
avere forte impatto sulla società; si tratta solo di tenere sotto controllo gli
strumenti.[1]”
L’arte di Obey si vuole fermamente incentrata su temi fondamentali di oggi quali
la lotta contro l’emergenza climatica, il pacifismo o la giustizia sociale per
contrastare violenza e discriminazione; un’arte decisa a cambiare o ricollocare
la sfera politico-sociale del proprio paese_ l’America ma indirettamente tutta
la società occidentale_ nel tentativo di abitare il presente ed esserne parte
integrante. Il ritratto del nuovo presidente nel 2008, ispirandosi allo stile
grafico di avanguardie storiche quali suprematismo e futurismo, incarna
perfettamente questa idealità del volto in primissimo piano nel contrasto
tonale del nero e del rosso, disegnato di luci e ombre, abitato da uno sguardo
che si proietta lontano oltre il presente, abbracciando un destino differente
per il proprio paese: una visione altra e utopica, forse irrealizzabile ma pure
vista come orizzonte di pace e giustizia verso la quale tendere. La parola “hope”, speranza, come ultimo baluardo a
cui aggrapparsi guarda lontano in questo appello deciso, chiaro e
democraticamente rivolto alla nazione nella sua unità per invocare un’azione
partecipativa, la svolta generata da un autentico coinvolgimento delle persone.
Diplomazia contro violenza: “Marianne” sulla guerra in Ucraina
“ Da quello che vedo,
non importa quale sia la bandiera o l’ideologia che l’avvolge, la violenza è
sempre motivata dall’ego, dall’avidità, o dall’impossibilità di cooperare in
maniera diplomatica con gli altri. Nel caso dell’invasione ucraina credo che
tutti questi fattori siano all’opera allo stesso tempo e molte persone stiano
soffrendo in maniera ingiustificata. Questa immagine simboleggia il supporto al
popolo ucraino e a chiunque creda che la pace sia preferibile alla guerra”.
Dare
spazio alla creatività e alla diplomazia rispetto alla violenza; mostrare
solidarietà al popolo ucraino, questi gli intenti del messaggio politico
veicolato dall’immagine iconica rivisitata di una giovane donna “Marianne”
simbolo della Rivoluzione francese in un primo tempo utilizzata dall’artista
per rendere omaggio alle vittime degli attentati terroristici in Francia nel
2015. In questa nuova versione il volto della giovane è segnato da una lacrima
blu che irrompe inaspettata sulla natura
epica e celebrativa dell’icona contornata di una ghirlanda di fiori nel
contrasto violento del giallo e del blu sullo sfondo a ricordare la bandiera
ucraina: “Make art not war” Create arte, date voce in maniera creativa al
vostro potenziale umano e immaginativo
anziché alimentare la violenza, il conflitto fine a sé stesso e in senso più
ampio la guerra su un territorio. Ancora una volta si parla di prendere una
posizione chiara sull’attualità del presente per l’artista Obey veicolando
valori democratici e un approccio costruttivo, impegnato sul fronte della
resistenza attiva contro ogni forma di violenza e usurpazione. Anche in termini
concreti i profitti ricavati da quest’opera sono stati devoluti in favore del
popolo ucraino diffondendo un messaggio di solidarietà attraverso il web con i
suoi poster riproducibili liberamente dal sito.
L’’arte
si immerge nell’attualità e diviene militanza politica utilizzando il
linguaggio del disegno e una grafica assolutamente unica intensa e inimitabile
nel lavoro di Shepard Fairey creando immagini che come simboli o icone globali
percuotono, risvegliano le coscienze e lasciano un segno.