venerdì 17 marzo 2023

Scorci contemporanei sulla poetica del paesaggio

 

Paesaggio: sentieri battuti e nuove prospettive 

(Riflessioni a partire dalla mostra al Museo Civico di Bagnacavallo)









Una lettura contemporanea sul tema del paesaggio reinterpretato nelle arti visive oggi, tale la riflessione che emerge dall’esposizione appena conclusa al Museo Civico delle Cappuccine in provincia di Ravenna, “Paesaggi”,  pensata come “un percorso stilistico e tematico”, volutamente non cronologico, vale a dire una vera e propria passeggiata esplorativa di ispirazione potremmo dire quasi calviniana tra sentieri battuti e nuove prospettive per rivisitare tale tema intramontabile dell’arte. Citando Calvino non possiamo non richiamare alla mente la figura del labirinto presente in molte delle sue opere come percorso reticolare  dal quale diramano molteplici vie o storie, ipotetiche combinazioni di eventi aleatori o percorribili dall’immaginazione che si tradurranno o meno nella realtà della pagina scritta. Da una parte, tale struttura labirintica incarna un modo di leggere il mondo contemporaneo rifiutando visioni troppo semplicistiche che continuano a reiterare le nostre “abitudini di visione”. D’altro lato, il piacere di perdersi nel labirinto diviene la possibilità di tuffarsi in forme non ancora esplorate della rappresentazione , quel caos apparente che comincia ad assumere senso vagandoci attraverso senza trovarne subito una via d’uscita:  la sfida al labirinto ma non  la sua resa incondizionata.

Passeggiare, spostarsi, divagare da un paesaggio all’altro potrebbe, allora, divenire una chiave d’accesso per questo percorso sfaccettato e multiplo di visioni contemporanee dal figurativo all’astratto, dal realistico all’onirico, dalla predilezione per il paesaggio naturale  nel filone appena conclusosi alla mostra a quello invece più propriamente urbano che sarà al centro della  seconda parte prevista per la fine del 2023. Tecniche e sensibilità si intrecciano  e si contaminano nell’espressione degli artisti contemporanei abbattendo barriere di stili e generi o le grandi avanguardie estetiche dell’epoca moderna. Il percorso si apre a questo proposito come esplorazione del paesaggio nel ventesimo secolo con una sala dedicata ad alcuni artisti noti che hanno segnato la strada ad inizio ‘900 tracciando linee-portanti dalla metafisica post-futurista di Carlo Carrà alle periferie urbane asettiche e grigie di Sironi alla sperimentazione dell’ “action painting” di Mario Schifano, infine alle acqueforti di Giorgio Morandi o la “Black city” astratta di Congdon esposta a New York nel 1949. Le sezioni principali della mostra sono poi raggruppate in maniera tematica attraverso la scelta dei tre elementi portanti del mondo naturale: l’acqua, l’aria e la terra mentre si scorre agevolmente da una generazione all’altra di artisti, dal realismo al surrealismo pittorico, dalla fotografia all’astrazione, dall’incisione, all’arte informale. Particolare interesse desta, infine, la sezione conclusiva denominata “Il sogno del paesaggio” dove il cerchio spazio-temporale del percorso si chiude esplorando tecniche e sensibilità differenti per opere che spaziano liberamente nel panorama variegato dell’arte attuale.

 Il paesaggio, in definitiva da quanto emerge tra gli artisti esposti, può essere letto nell’ottica dell’umano, del sociale o della sfera globale, riallacciarsi al filone onirico del surrealismo, raffigurare un sogno o una proiezione distopica della realtà in senso satirico o meno. Ancora, può  incarnare attraverso la rappresentazione uno stato mentale, emozionale o del desiderio ma, anche, al contrario, esprimersi semplicemente come un insieme di segni e tracce, esplorazione della materia o della pelle per esempio nella micro–visione di un dettaglio della natura o dell’ epidermide. Altrove, su versanti completamente differenti, l’immaginario contemporaneo ci rimanda a scenari emergenziali  di intere regioni e aree geografiche della terra devastate da disastri naturali o dalle emergenze ambientali in corso in varie parti del mondo che periodicamente investono di reportage i nostri media e da cui anche alcuni artisti o fotografi contemporanei traggono materia per il loro lavoro. Infine, la natura  per altri artisti giunge in inevitabilmente a confrontarsi o scontrarsi con la tecnologia nella sua visione esaltante o critica del futuro attraverso un’immagine avvenente della realtà aumentata o nel suo versante opposto e  più deleterio quando mostra  i limiti e le derive prodotte dalle  medesime tecnologie.

Il sogno del paesaggio: alcune opere a confronto …


“Mi basta aprire la finestra per vedere i campi, il fiume. Non è sufficiente non essere cieco per vedere gli alberi e i fiori. E’ necessario anche non avere alcuna filosofia. C’è solo una finestra chiusa e tutto il mondo là fuori; e un sogno di quello che si potrebbe vedere se la finestra si aprisse, che mai è quello che si vede quando si apre la finestra”. ( Fermando Pessoa)


Manuel Felisi, “Vertigine ” (2022) e CaCO3 “Cattedrale n. 42”( 2016)

In Felisi è soprattutto una vertigine di colore, simile all’immersione in un campo magnetico avvolgente fatto di rami che definiscono lo scheletro esterno, la struttura portante di una forma arborea immensa, espansa sui due pannelli della tela, attraverso la quale penetra la luce irradiando aloni luminescenti di blu, viola, arancio o  rosato attraverso le sue fronde. Così appare come il sogno di un paesaggio espanso attraverso la lente di una visione onirica e soggettiva, ingrandita quasi in quel telescopio poetico dove le linee dei rami e delle foglie si espandono in finissima tessitura che contiene al suo interno un iride dei colori accesi  di luce.  Così, noi spettatori siamo attratti e catturati entrando nella stanza, prigionieri di tale visione.

Per CaCO2  sono fittissimi tasselli di vetro brillante assemblati insieme in mosaico simili all’onda verde e incontenibile di un prato o di uno spiazzo erboso,  vibrante ai nostri sensi, infuso di movimento, muovendosi in ondulazioni ritmiche accordanti e discordanti secondo il fluire dei venti o di ipotetici correnti che lo attraversano. Scintillante sogno di paesaggio ugualmente rifulgente di luce dove la materia appare fuoriuscire dal quadro, prendere il sopravvento dalla forma che all’origine doveva definirla per tuffarsi anche qui in un vortice di senso, di materia e di visione. Come se la natura diventasse per questo collettivo d’artisti uno spazio completamente mentale, immateriale, generato dalla percezione di chi guarda e tendente verso una dimensione altra, essenziale e puramente immaginativa.

 

José D’Apice, “Occidente” (2014)

Se dipingere per l’artista italo-brasiliano Jose D’Apice è “ addentrarsi nell’ignoto”, affondare nell’immaginario condiviso per indagare quelle pieghe e scarti che la nostra società esclude o volutamente ignora, tale è la sua visione inquietante e oscura della terra che lascia intravvedere vaghi presagi per le sorti dell’umanità e del mondo. Come se queste ombre oscure, i rilievi tracciati in fine inchiostro nero e matita colorata, questo sole tenebroso incombente sulla terra lasciassero presagire contro la leggerezza del tratto un destino funesto incombente sull’occidente. L’artista ispirandosi a sapienti citazioni pittoriche a china riesce a mescolare tale raffinatezza compositiva a una sensibilità più aspra e contemporanea sul presente, questo mondo naturale che da un’emergenza planetaria all’altra appare imboccare inesorabilmente la via della propria auto-distruzione. 

 

Enrico Minguzzi, “Germogli d’inverno” (2021)

Paesaggio post-atomico, incendiario e apocalittico. Fluorescente indaco rosso vivo su una natura inerte, grigia, quasi arsa da un’esplosione.

Come la terra negli ultimi cinquant’anni è stata oggetto di una massiccia azione dell’uomo tale da trasformarla, appropriarla e arrenderla a processi irreversibili di contaminazione, allo stesso modo la visione di Minguzzi non può che riflettere una simile ricerca d’artificio che si traduce in un uso personale e saturante del colore fatto di contrasti violenti_ dal vibrante al cupo_ per rendere la nuova era antropologica in cui siamo immersi. Il paesaggio resta irreale, contaminato da luminescenze incendiarie e rossicce che sanciscono la fine del mondo naturale, rigurgitato forse da un evento apocalittico e l’inizio di un’altra era post-atomica, post-industriale tendente implicitamente  verso la propria entropia.

 

Mattia Moreni, “Un pezzo di anguria come paesaggio”  (1968)




La materia è viva, presente nella tela come colore e come traccia densa lasciata dalla pittura ad olio pulsante di soggettività impersonale, tanto da diventare essa stessa paesaggio materico e insieme, prettamente espressivo. Angurie compaiono in questa serie di quadri di Moreni  come densità materiche che assorbono lo spazio e dileguano ogni altro soggetto mentre tendono a disfarsi, dissolvere di fronte a chi guarda dal rosato al bianco, infestate di piccoli segni simili a semi o insetti neri presenti sulla materia in disfacimento. Le forme sembrano liquefare in puri correlativi emozionali totalmente impersonali, in  tele successive alludendo apertamente agli organi sessuali femminili seppur liquidati come forme. L’idea di paesaggio qui è in maniera assoluta spazio di elaborazione del sensibile oltre la frontiera dell’apparente ma sempre partendo o restando ancorati all’esperienza della materia, del colore e della traccia emozionale che incide e plasma la tela. 

 

 “Exodus” (2021 ), Fabio Giambietro

Il paesaggio è  per Giampietro esaltazione di un mondo avvenirista  e virtuale o la sua negazione? Da una parte questa  vista urbana immensa e magnificente su una ipotetica città moderna appare sprofondare simile al vortice di torri e palazzi verticali verso le profondità infernali della terra; dall’altra, se vista in senso opposto, la città sembra elevarsi a dismisura verso l’alto dal sottosuolo oscuro da cui ha tratto origine  occupando  anche orizzontalmente l’intera parete della galleria. E ancora, l’opera è pensata per essere guardata attraverso un visore di realtà aumentata che permette allo spettatore di tuffarsi in quel paesaggio smisurato fino a esserne ingurgitati quasi là dove l’immagine tridimensionale prodotta dalla tecnologia lo getta letteralmente e in modo spaventoso dentro il quadro. L’opera è dunque leggibile come un’esaltazione cieca e smisurata del potere della tecnologia sulla natura oppure come il suo opposto destabilizzante e minaccioso per l’uomo. L’immagine di realtà aumentata confonde e fa perdere le coordinate spazio-temporali allo spettatore; allo stesso modo un possibile uso e abuso delle tecnologie implica derive irreversibili quando induce all’annullamento dell’umano, alla distruzione della natura e alla catastrofe ecologica in corso. Domanda aperta forse cui la mostra come labirinto di possibilità espressive e interpretazioni sul tema paesaggio da parte di questi artisti contemporanei non può dare facile risposta, semmai lasciando questa via aperta e da esplorare nella seconda parte del percorso  che si aprirà alla fine del 2023.