“I muri sono sempre stati i luoghi migliori dove pubblicare i lavori. Contrariamente a quanto si va dicendo non è vero che i graffiti siano la più infima forma d’arte. ..il verità è una delle forme più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo ne ostentazione, si espone sui migliori muri che la città abbia da offrire e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.”
Più di cento opere e oggetti originali ci conducono
attraverso la mostra ferrarese a Palazzo
dei Diamanti del noto quanto discusso street
artist britannico Banksy la cui
identità resta tuttora avvolta nel mistero. Dipinti a mano, stencil e serigrafie
simili ad affreschi popolari investono i muri del museo con questioni
fondamentali della nostra società al centro della sua poetica, in primo luogo la
critica stringente alle derive del capitalismo occidentale, la guerra, le
manipolazioni mediatiche, infine, il controllo sociale contro la libertà
individuale. L’insieme della sua opera diviene asserzione originale di una voce discordante, ironica e dalla risonanza profondamente
etica. La sua è un’arte nata nelle
strade di Bristol e di Londra fatta di incursioni solitarie nella notte, pareti
rubate agli spazi colonizzati della città, luoghi pubblici investiti di
graffiti, spray o acrilico al crocevia tra
pop art, cultura hip-hop e quella digitale d’oggi. L’artista sceglie di
restare senza volto o meglio la sua identità emerge unicamente attraverso il comparire
repentino e ironico di un alfabeto visivo inconfondibile in immagini o tag sui
muri e gli edifici in giro per le città del mondo. Come per non smettere di ricordarci il ruolo
di un’arte autentica che elude la legge del mercato e si vuole libera, portatrice
di una propria critica sociale, investita di un senso politico e globale insieme.
Non elitaria ma che si espone, con gratuità allo sguardo di tutti.
“Se
vuoi dire qualcosa e avere persone che ti ascoltano allora devi indossare una
maschera. Se vuoi essere onesto devi vivere in una bugia.”
Banksy, auto-ritratto (2001)
Gli occhi irrompono attraverso la maschera di presunti
occhiali rotti o sfregiati e arrivano dritti al cuore dello spettatore. Un
rigagnolo di vernice verde oscura cola sulla tela. Lo sguardo attraversa la
macchia colante al di sotto in un muro di silenzio. Percuotente, attraversa la
barriera di anonimato gridando una propria verità dal volto-maschera appena simulato.
“Tutte le immagini nella loro equità mediano le relazioni tra noi come persone. L’intera vita della società è un immenso repertorio di immagini”.
Nella placard rats series Banksy si nasconde dietro le sembianze di un roditore che in una delle immagini della serie solleva un cartello rosso con la scritta “ esci finché puoi”. L’artista simile all’animale sotterraneo appare come una specie di strana creatura che si cela nel sottosuolo impugnando un grammofono per amplificare la propria voce. Marginale, afferma la propria condizione di separatezza dalla superficie del mondo ma dall’inferno che percepisce inizia a dar voce a una critica profonda di quella società , grammofono o cartello rosso su stencil nero alla mano. Lab rat tra i primissimi lavori del 2000 in vernice spray e acrilico_ all’origine pannello laterale di un palco allestito per un festival musicale_ appare come l’ingrandimento di una lente trasparente di vetro: esplosione di punti radianti, giallo vivo a metà tra la tecnica puntillista e il pixel dell’immagine elettronica. Tra le linee traspare il profilo iconico del piccolo roditore nero coperto o dissimulato dalla superficie luminescente e puntillista. Al centro dell’obbiettivo è l’occhio messo a fuoco, evidenziato in rosso come un bersaglio celato sotto il manto dorato: preso di mira, braccato come il target da un esterno ipotetico mirino e, insieme, l’occhio vigile, attento dell'artista pronto a cogliere il fulcro del proprio
In un’altra immagine della serie lo stesso piccolo roditore è visto dipingere un grande cuore rosso su un muro invisibile, un pennello tra le mani, la vernice ancora gocciolante ai suoi piedi. Altrove, indossa un’uniforme da lavoro nera e una catena d’oro al collo di fronte a uno stereo portatile in cui si trasmette musica hip-hop dalla cultura underground newyorkese. L’acronimo delle lettere POW , “Pictures on the wall”, “quadri sul muro”, è dipinto ugualmente in vernice alle sue spalle. Un grande cuore colante di rosso, un piccolo ratto nero ingigantito dallo sguardo dell’artista, ogni atto o simbolo, non importa quanto piccolo o insignificante appare degno di nota e può divenire centro dell’immagine simile a una lettera d’amore indirizzata segretamente alla propria arte. Come Banksy scrive: “ Loro ( i topi) esistono senza permesso, sono odiati, braccati, perseguitati, vivono in una tranquilla disperazione eppure sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà”. Lo “steet artist” allo stesso modo è l’outsider, il marginale che si sposta nei sotterranei della città, utilizza gli spazi collettivi, i muri come fossero le sue tele; incarna la rivolta contro una logica di potere che produce ingiustizia e discriminazione, infine, con il suo stile provocatorio apre crepe sulla superficie del nuovo capitalismo globale. Definisce la sua arte originale e non- vendibile, come i tag e graffiti apparsi misteriosamente nella città di notte in un alfabeto inconfondibile di segni a lui singolari.
“Nola” è il nomignolo affezionato che gli abitanti di New Orleans utilizzano riferendosi alla propria città. La serigrafia si ispira all'inondazione che avvenne in seguito al collasso dei litorali che avrebbero dovuto proteggerla dall’uragano Katrina. La bambina appare sotto un ombrello dal quale pioggia oscura cade disegnando linee nere e oleose verso il suolo. L’acqua sembra provenire da dentro l’ombrello stesso; il mondo precipita ai suoi piedi insieme alla pioggia oscura, acida e inquinante che deposita un’impronta sinistra tutt'intorno insieme al nero dell’abito e dell’ombrello. Ancora in “Virgin Mary”( 2003) ribattezzata “Toxic Mary” Banksy utilizza il procedimento della dislocazione d’immagine: dipinti noti, cristallizzati nella memoria d’arte collettiva vengono manipolati e ricollocati attribuendo loro nuovo significato. Così questa Vergine tratta dall’iconografia sacra è vista nutrire con un biberon riempito di veleno il piccolo nascituro; possibile critica al ruolo della religione e dell’educazione oggi là dove la bellezza della Vergine, l’atto con il quale teneramente stringe il figlioletto al seno si accompagna al simbolo di pericolo di morte impresso sulla bottiglietta. Il nutrimento come educazione appare nel suo versante distruttivo in una critica stringente ai modelli occidentale distorti assimilati dai figli, bambini e adolescenti.
Wall and piece
“
Mi piace pensare che ho il coraggio di far sentire la mia voce, anche se anonima
nella democrazia occidentale e domandare cose in cui nessun altro oggi crede come
la pace, la giustizia e la democrazia”.
Il tema dell’anti-militarismo dominante in Banksy appare nella raccolta “Wall and Piece”, libro editato dall’artista stesso che raccoglie stencils, quadri modificati, installazioni, irruzioni dentro e fuori le gallerie d’arte tra il 2002 e il 2005. Tra i più significativi lavori su carta è “Love is in the air”, apparso per la prima volta nel 2003 a Gerusalemme sul muro che separa lo stato palestinese da quello israeliano nella zona più infuocata dagli scontri tra i territori occupati e Israele. Muro a cielo aperto, si estende per oltre settecento kilometri_ illegale secondo il diritto internazionale_ controllato da una serie di posti di blocco che, nelle parole di Banksy “ha reso la Palestina il più grande carcere a cielo aperto del mondo”. Un giovane militante palestinese è rappresentato nel gesto violento, esplosivo e pieno di rabbia di lanciare un’arma contro il nemico ma, qui, non si tratta di una bomba come ci si aspetterebbe bensì di un mazzo di fiori, simbolo di pace e bellezza, conciliazione nel luogo primo del conflitto tra i due stati. Altri varchi di colore sono aperti dall’artista su questo muro di segregazione, squarci di un cielo azzurro che un bambino con un secchiello giallo è intento a dipingere contro l’aridità desertica intorno. Altrove, una scala bianca sale verso il cielo disegnata sul grigiore atono e incolore delle pietre, ora si apre uno scorcio tropicale, un gioioso cavallo in scuderia, una macchia di blu in mezzo al vuoto dominante.
“There is always hope”
Un cuore rosso vola verso il cielo nel celeberrimo graffiti di Banksy; la bambina
tende la mano verso l’alto, verso quel simbolo di speranza e d’amore inseguendo
il sogno che vede allontanarsi sopra la sua testa. Lo rincorre come una linea appena tracciata visibile all’orizzonte
e verso cui si allunga il proprio profilo. Una piccola figura in nero sulla terra,
avvolta d’oscurità, dissimulata d’ombre è tesa in un anelito verso l’alto dove un
sogno volerebbe via come quel palloncino se lei non fosse lì pronta ad afferrarlo
. Contro il muro oscuro di potere sulla terra, fluttuante come una scia luminosa verso il cielo.
“Laugh now but one day
we’ll be in charge”, “Ridi ora ma un giorno saremo noi a comandare” titola
uno degli stencil conclusivi alla mostra mentre una scimmia nera che solleva
sul petto il cartello contenente il
messaggio. Ancora una volta la sua arte sembra
restituire la parola ai margini della terra o a quelli che si trovano all’opposto
del sistema capitalista dominante , agli antipodi dei monopoli di potere, contro-corrente
o ponendosi in opposizione ad esso.
Ancora una volta assistiamo a uno spostamento di prospettiva dal centro alla
periferia, dall’unico alla pluralità, da un’arte colta e elitaria a una della strada democraticamente condivisa da tutti e come tale immersa nella
cultura hip-hop, nell’ underground e nel sincretismo dell'epoca globale.
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