Aggiungi didascalia |
Una Parigi popolare e romantica, ora grottesca e sfavillante emerge scorrendo attraverso le immagini del noto fotografo francese Robert Doisneau a Palazzo Pallavicini per dare vita al suo “racconto autobiografico del mondo”. Sono i quartieri popolari di una Parigi antica, intrisa di poeticità e bellezza quella che ci mostra au dalla Resistenza francese negli anni ‘40 ai decenni successivi. Sono i ritratti degli artisti e delle celebrità negli anni ‘50, gli interni delle loro dimore o atelier, i personaggi eccentrici incontrati casualmente lungo le strade o nei caffè, infine i bambini solitari o ribelli colti in improvvisi slanci di libertà. Perché la fotografia sarà sempre per Doisneau, “la cattura di piccoli momenti” osservando il mondo che gli appartiene in scatti di poesia e vita quotidiani.
1 Interni
di artisti e di atelier
Interni di vita, di spazi vissuti
intimamente nel confinamento e, insieme nella creatività di ciascun artista. Sono interni di
appartamenti, ora soffocanti e colmi di oggetti, ora bianchi e vuoti come il tempo
di una sospensione, di una sosta inattesa.
Colette nel suo studio
Allungata di fronte al leggio corregge
le pagine dei suoi scritti. Bottiglie, bicchieri, ampolle e sfere colorate in
vetro rendono in primo piano la scena quasi barocca. La scrittrice, ormai
anziana, è vista sullo sfondo, immobile, immemore di fronte ai suoi fogli. Immersa,
raccolta nel silenzio del luogo in semi-oscurità cerca la parola giusta, il
tempo inesorabile della scrittura. Nel monotono protendersi di un ritmo lento e
cadenzato la parola echeggia sovrana dal foglio alla stanza fino a far risuonare il suo universo di
scrittura.
Simone de Beauvoir, scrittrice e intellettuale dell’esistenzialismo francese, donna della borghesia parigina colta e raffinata, negli anni della Resistenza durante la guerra è immortalata nel celeberrimo caffè Les Deux Magots. Questa volta l’interno è ampio e spazioso, piuttosto vuoto nelle grandi finestre che incorniciano il Faubourg Saint Germain: le tende bianche e velate, i grandi tavoli in legno opaco sgombri di ogni suppellettile, nessun cliente nella sala. Solo il suo profilo a distanza appare. Legge china sul grande tavolo da lavoro in legno. I capelli raccolti, il volto austero e concentrato, una camicetta bianca e sobria, gli amici e i prossimi lontani, forse in prigionia.
Fuori i bombardamenti della guerra.
Appare al centro di un universo di pittura fatto di immense tele,
spatole e macchie di colore. I grandi cavalletti sono appoggiati al muro sullo
sfondo, le tele rovesciate da un lato. I
tubetti di colore spremuti restano ammonticchiati sul tavolo insieme alle
bottiglie, agli imbuti e ai barattoli di vernici. L’artista siede in mezzo allo spazio illuminato dalle grandi vetrate,
nella piena luce del giorno. Lì in un universo di materia che crea linee, forme
e abbozzi primitivi di volti di getto nella pittura. Lì, a creare senza sosta
per contrastare il vuoto della tela in una molteplicità infinita di figure. A buttare
vernice come macchie di colore in un corpo a corpo immenso con il fondo.
Dalla finestra a grate di una specie
di cella, cava e insieme laboratorio il profilo esile di Giacometti appare dall’alto,
ripreso a distanza all’interno del suo atelier. In una sorta di prigionia
scelta e voluta, chiuso dentro la sua gabbia e fornace di creazione.
Le statue sottili e allungate, si
stagliano affilate a drammatizzarne lo sfondo. Poi ancora si vedono degli abbozzi
di sculture e altre statuette più piccole sul tavolo. Giacometti passava ore di
fronte ai suoi modelli indagando in modo critico e approfondito il soggetto, cercando attraverso la scultura la sua più
intima verità. L’interno qui è spazio
di vita, di isolamento e reclusione ma anche di ricerca e creatività.
Paul Leautaud e i suoi gatti
Lo studio del vecchio scrittore è
abitato da aristocratici felini, signori e dominatori del luogo. La luce soffusa
proviene dal una fonte esterna alla foto infiltrandosi misteriosamente per
illuminare la scrivania ricoperta di fogli sparsi da un lato e il tavolinetto
accanto alla poltrona logora dall’altro. Accoccolati sul tavolo, in bilico sul bracciolo
della sedia o camminando sugli scaffali dei libri i gatti troneggiano nello
spazio immobile della stanza. Il vecchio
scrittore inerte, attonito, in una sorta di estasi contemplativa, guarda fuori,
all’esterno. Immobile attende. Forse la fine del giorno, della vita. Guarda
fuori, riversa lo sguardo oltre lo spazio e il tempo presente. Lì, a contemplare
la luce alla fine del giorno.
Sabine Azéma nei giardini Carnevalet
Un giardino può divenire un labirinto di sentieri simmetrici allo sguardo dove forme di bonsai intagliati si disegnano un una perfetta armonia dalla chiarezza apollinea.
Sul sentiero di sassolini fini e
bianchi una giovane donna corre vestita di libertà.
Il suo slancio oceanico e inaspettato.
Elegante, corre via in bianco inconsapevole della macchina fotografica di fronte a lei. Ritrova spazio, respiro e libertà sfuggendo dalla reclusione dell’interno. Un mondo altro che potrebbe rivelarsi fuori dal labirinto della sua mente.
2
Ritratti di bambini
Doisneau: “ Il mondo che stavo cercando di mostrare è un mondo in cui mi sarei
sentito bene, dove avrei trovato la tenerezza che volevo ricevere. Le mie foto
erano la prova che questo mondo poteva esistere”.
Doisneau rimasto orfano a sette
anni, da sempre flaneur e fotografo delle strade parigine riesce a cogliere con
ironia e leggerezza un mondo traslato oltre la più scontata realtà per dare
spazio a una versione più umana, comprensiva dell’altro, di una gentilezza quasi
utopica per lui come empatia verso l’ umanità intera. Emozione, invenzione e
disobbedienza : con queste tre parole
Doisneau definisce il suo stile fotografico
unendo all’intuitività dell’immagine_ la bellezza effimera di un gesto o di un
momento _ l’originalità del tracciare una propria via. Anticonformista nel rifiuto
delle regole formali si concentra invece sulla necessità di raccontare una
storia, un’emozione o una verità sensibile in ogni scatto. Ispirato dagli
scrittori e dagli artisti figurativi, ma anche dai bambini che incontrava per
strada Doisneau volge le spalle a ogni
perfezione formale per volersi in prima persona attore di un racconto autobiografico
per immagini colmo di gentilezza verso tutto ciò che vede.
“ Si vede una proposta del caso e si continua una storia, si attende il
momento in cui gli attori entrino in conformità con quello che voi credere
siano..”
Bambini dickensiani, solitari o abbandonati
dal mondo, visti in assenza di una famiglia in scorci in cui si ritrovano felici
e gioiosi per le strade, sorpresi nel vortice del gioco o come emissari quasi da
un altro mondo: angeli e insieme piccoli ribelli.
Gambe in aria contro un muro
giocano, si sollevano da terra nelle prodezze dei loro movimenti in strada, o
sulle riva alla Senna. Saltano in aria nel vuoto come volassero verso la vita
con la gioia sfavillante dei loro anni spensierati. Ancora, trascinano un
carrello per la raccolta del carbone sul canale Saint Martin, soli contro la
luce del tramonto; i palazzi della città favolosa alle spalle, oltre i riflessi
argentei delle acque del canale.
Bambine con le spalle volte contro un muro scrostato alto e invalicabile in “la prima maestra”, la terra ai loro piedi. Incidono le iniziali del loro nome con un frammento di pietra. Lettere della scrittura. Imparano il segreto per oltrepassare quel muro. Disegnano iniziali, lasciano le loro impronte contro la durezza della pietra, prima loro maestra.
Una sorta di affinità elettiva lega le fotografie di Doisneau alle poesie di Prevert, entrambe nate a stretto contatto con la città nel vagabondaggio attraverso le strade, nei bistrot o nei quartieri popolari, durante la guerra, nel vuoto dell’occupazione nazista e più tardi nella città liberata nei pressi di Hotel de Ville, sulle rive della Senna o a Saint Germain de Près. Parigi resta un vero e proprio crocevia di sguardi e ricettacolo di immagini attraverso i volti iconici visti camminando dai quartieri della ricca borghesia parigina a quelli periferici delle banlieue. Tra le immagini più esemplari sono gli interni dei bistrot affollati e pieni di fumo dai vetri dei bicchieri riflessi, una fisarmonicista enigmatica in uno di questi, il bacio sorpreso dei due innamorati a Hotel de Ville, una pittoresca portinaia all’ingresso di un tipico palazzo parigino, gli interni borghesi, un cagnetto in contemplazione a Pont des Arts, i mercati rionali variopinti e animati, la gente affacciata ai balconi, i ballerini sfrenati nei locali scantinati parigini.
“Condividere uno sguardo può aiutarci a sopportare il reale” affermava Doisneau. Oppure ad abitarlo meglio, a renderlo di nuovo libero, vibrante di vita, a volte intriso di desiderio o malinconia. A renderlo nuovamente vivo contro l’apatia o lo svuotamento in atto restituendogli un’immagine di grazia e empatia ancora possibile.
“E’ sempre all’imperfetto
dell’obbiettivo che tu coniughi il verbo fotografare” affermava Prévert
dell’amico Doisneau, perché non era alla perfezione formale dell’immagine
quanto all’intensità della visione o di quella storia suggerita da un volto che
mirava il fotografo. Solo quel tempo
imperfetto, infatti, aperto o non concluso avrebbe potuto mantenere ancora le
sue promesse: restituire momenti di felicità, un mondo rinato attraverso le
immagini. O come affermava Doisneau:
“Dovremmo cercare di essere felici se non altro per dare l’esempio”.
Nessun commento:
Posta un commento