Uno degli aspetti più interessanti della sperimentazione surrealista_ tale che essa appare rivisitata nella mostra bolognese, "I Rivoluzionari del '900" attualmente a Palazzo Albergati_ è la ricerca di un automatismo nella creazione, la “scrittura automatica” per esempio modalità che libera l’artista o il poeta dal controllo della ragione intesa come quella gabbia di pensiero positivista, di moralismo borghese o del retaggio asfittico di una certa tradizione estetica in inizio ventesimo secolo. L’automatismo permettendo di eludere il controllo della coscienza, costituiva una via privilegiata per attingere a una sorgente più antica, perlopiù inconscia, riconnettersi a quella e liberare in questo modo radicalmente l'arte dai vincoli della realtà quotidiana. L’artista doveva semplicemente limitarsi a lasciar affiorare le linee e le forme quasi casualmente nei disegni automatici di Arp e Masson, nell’universo di segni primitivi di Joan Mirò o diversamente nelle solarizzazioni e sovrapposizioni fotografiche di Man Ray. Il surrealismo, liberando in tal modo il potere dell’immaginazione, intendeva riallacciarsi direttamente alla sfera del sogno, dell’inconscio, in qualche caso all’allucinazione prodotta dalla follia o al tutto possibile del gioco d’infanzia.
Nella scrittura automatica, secondo
Breton, l’intento surrealista del poeta
è quello di ottenere “ la rivelazione istantanea di tracce verbali la cui
carica psichica si comunica direttamente al sistema percettivo-cosciente”. Gli
accostamenti sorprendenti di soggetti su una tela, la scrittura prodotta da
sensazioni, memorie o idee in libera associazione o gli incontri fortuiti con
gli “oggetti trovati” sono alcune delle vie percorse dal surrealismo per
infondere nuova linfa vitale alla creazione artistica di inizio novecento. Vorremo
leggere qui di seguito alcune delle opere viste in senso surrealista giustapponendo immagini e
parole con una simile libertà espressiva scaturita dall' incontro fortuito tra la scrittura e le linee, le forme o i colori.
“Comincio a dipingere e la forma diventa
indice di qualcosa”
Joan Mirò: "Ballerina spagnola", 1927
Una nuvola bianca svapora in una gonna a balze di flamenco, un paio
scarpe a punta brillano nere e scintillanti richiamando alla memoria i piedi della
ballerina, una testa di pesce giallo boccheggia a lato mentre un verde intenso risuona dall’incavo di un
corno. Sullo sfondo il fondale uniforme e ocra dell’arenaria. Poi il filo di un
palloncino sale verso una sfera nera fluttuante, sospesa sopra la sua testa
simile a un cappello da circo lanciato in aria. Il corpo della ballerina di
flamenco appare in pochi tratti e macchie di colore, soave nella nuvola-gonna
vaporosa, fiero nello stendardo posto sopra la sua testa, ineluttabile nella
ritmica assoluta dettata dal battito dei piedi attraverso le scarpe
evocati. La linea appena accennata è già trasfigurata, appena allusa e già dissimulata mentre l’acquarello disegna lo
spazio con la forza innata di un movimento, la danza re-inventata attraverso la
pittura surrealista. Così, la tela libera l’immaginario dal puro figurale affondando
in un segno istintivo nato dall’automatismo di un gesto semi-cosciente.
La danza è una nuvola appesa e
fluttuante, bianca e svaporata, è un impulso, un innato movente che non trova
appiglio al suolo tuttavia, ma leggera,
aerea come la forma accennata di un corpo
vaga distante, legata alla terra da un solo filo: sottile, esile cordone
ombelicale che ancora la tiene ancorata per non voler volare via altrove. E’ ancora
un paio di scarpe nere, lucide e a punta, che sole danno il tempo ineluttabile,
le pause e la scansione ritmica dell’attesa. E’ una testa di pesce giallo-ocra
boccheggiante sulla sabbia, la nota sconosciuta di un corno verde brillante che
risuona o risponde a un richiamo; è un cappello da circo, un gioco gioioso, un
lancio di dadi nello svaporato etere dell’universo . E’ di quel sogno
proiettato, forse, solo lo schermo della pittura.
Breton: “La finestra scavata nella carne si apre sul nostro cuore, vi si vede un immenso lago dove a mezzogiorno vengono a posarsi libellule dai riflessi dorati e dal profumo di peonia. Che grande albero è questo dove gli animali vengono a specchiarsi…Tutto quello che dobbiamo fare è aprire le nostre mani e il nostro cuore e saremo nudi come in un giorno di sole”
Brassai, "Graffiti parisiens"
Un cerchio, una croce e una testa
incisa sul muro in pochi tratti primitivi. Sulla parete nuda e grezza di
cemento il segno richiama un alfabeto di geroglifici a noi sconosciuti:
incisioni sulla roccia d’epoca preistorica, impronte di volti oppure un disegno
infantile apparso per gioco su un muro.
E’ un uomo che lascia la sua traccia
sulla durezza della pietra, oppure un ritratto del medesimo visto dalla mente
fantasiosa di un bambino. E’ una firma, un’impronta, la propria unica e singolare sul
mondo impressa in segni di grafite sul muro. Sulla maschera primitiva
il sigaro lascia scorgere linee di fumo mentre lentamente si consuma in cenere
sulla superficie della roccia. Lo sguardo è affisso simile a un manifesto su
una parete; un piano inciso in solchi di vuoto.
Dopo uno scroscio di pioggia, il
volto è scorto in un improvviso bagliore nel contro-luce delle ultime
gocce.
“Portrait of Marchesa Casati”, Man Ray
Degli occhi che vedono in tre
dimensioni attraverso la pelle, l’apparire del viso è etereo, quasi avesse
attraversato una soglia di realtà per raggiungere una sfera sovra-sensibile,
ultra-umana mentre l’immagine fotografica appare qui solarizzata. Lei, dalla
maschera di cera, dal volto d’acqua, dallo sguardo fissato lontano, dagli occhi che
trafiggono, attraverso la materia verso una sovra-realtà.
Radiografia: la luce trafigge la durezza pietra, allo stesso modo l’energia irradia attraverso la pelle, vibra dentro la materia e mostra l’aurea degli oggetti nelle loro vere essenze messe a nudo.
Radiografia: la luce trafigge la durezza pietra, allo stesso modo l’energia irradia attraverso la pelle, vibra dentro la materia e mostra l’aurea degli oggetti nelle loro vere essenze messe a nudo.
In “Centauto nella foresta” di Hans
Arp e “disegno automatico” di Masson la
china affiora sul foglio portata da segni che appaiono accidentali e sul
cammino si investono di un senso, di una storia.
Man Ray, “Noire et Blanc”
Il primo piano è sul volto levigato,
candido e madreperlaceo, di un’idealità e una bellezza assoluta solarizzato
nell’effetto fotografico contro il nero d’avorio della maschera africana.
L’accostamento tra i due volti suggerisce il candore e insieme la lucentezza
, l’aspetto levigato della pelle e
dell’ebano, infine il bianco e il nero come la visione degli opposti che si
incontrano e si completano. Lo sguardo del fotografo portato su quel volto è
colmo di sensualità e desiderio ma il
ritratto resta epurato, tuttavia, d’ogni forma di reale carnalità quasi fosse ricondotto a
un archetipo universale del femminile .
Pablo Picasso, “Donna d’avanti al
mare”
Dalla citazione di Breton in commento alla tela leggiamo: “la mia donna dal sesso di specchio, dagli occhi pieni di lacrime, dagli occhi di savana".
“Sempre sotto l’ascia”, affermano questi versi , vale a dire frantumata nella figura secondo l’ottica di scomposizione cubista eppure “dagli occhi d’acqua da bere” in un’ulteriore versione della “donna che piange” picassiana. Con il viso tra la linea del mare e dell’aria, e il corpo scomposto nella pienezza delle masse, sintetica procede per blocchi essenziali, trascendente nello sguardo gettato sull’orizzonte azzurro-marino. E’ la donna picassiana inesorabilmente affranta nel volto ma dalla plasticità multipla e scomposta della figura vista da un punto di vista frontale e insieme obliquo sulla stessa tela. Infine appare immersa fino alla vita dentro il livello dell’acqua poi in continuità con quello dell’aria, in ricongiungimento al piano cosmico universale.
Biomorfismo
Jean Arp: "Torso e covone di fieno"
Questa forma liquida, sinuosa, modellata e malleabile come fosse d’acqua o d’argilla appena lavorata, impastata e resa fluida al tatto appare estratta in potenza dalla materia. L’essenza organica della figura resta impressa nella durezza ineluttabile e brillante del bronzo dorato come una presenza, un’energia vitale, una forma erotica d’una sorprendente plasticità qui impressa nella definitiva linea scultorea. Il corpo femminile appare in quest’ottica surrealista messo a nudo da uno sguardo maschile intrusivo e desiderante verso un oggetto ambiguo investito di molteplici forze attrattive e repulsive: idealizzato, inseguito, distrutto e ricomposto, frammentato e manipolato come un puro oggetto del desiderio su cui si proiettano paure, fantasie, angosce e pulsioni inconsce del soggetto .
Tale sguardo erotico si esprime al massimo grado nel bronzo traslucido della scultura di Arp, mentre egli plasma la carne in forme affusolate e femminili dentro rotondità di natiche e seni, nella continuità di un movimento organico, innato al corpo che lo fa apparire come puro involucro dorato.
Tanguy “Composizione”, (1927)
Forme galleggiano in queste profondità marine e desertiche: creature fossilizzate in un fondo petroso di desolazione e solitudine dove l’universo acquatico appare prosciugato o evocato solo come un lontano miraggio della memoria per lasciare posto, unicamente, a queste dissolvenze organiche sulla pietra . Nella prima versione, le forme ancora acquatiche appaiono sul fondale blu-grigio mercurio della marina, nella seconda, esse dissolte o dissipate atterrano sulla griglia desertica di un oceano prosciugato. Un solo bagliore di luce pallida permane evanescente e riflessa in lontananza.
Le vedute desertiche e sofferenti di
Tanguy riflettono da un lato la contingenza storica del secondo conflitto
mondiale in Europa e il pessimismo cosmico degli anni post-olocausto; dall’altro, incarnano l'ibridazione surrealista tra forme minerali, vegetali e
umane, organiche e formazioni rocciose, in una forza di vita convocata.
Il disegno automatico lascia
affiorare linee su un foglio, per scoprire in esse il senso, il disegno come prendesse forma da un casuale
tracciato di linee e di punti, come esistesse già là precedentemente e fosse semplicemente riportato in luce, restituito da una primaria
nebulosa di tratti e punti.
Sempre nel surrealismo si tratta del tentativo di espandere i limiti della mente razionale e cosciente, e liberare la forza creativa dell’inconscio attraverso l'arte .
Sono simili a raggi ultravioletti, la metamorfosi prodotta dall’occhio, nel quadro di Masson. Goethe scruta attraverso il suo sguardo percuotente, in scansione ultrasensibile sulla realtà e penetra attraverso quello, scompone, analizza e entra in vibrazione con la vita essenziale delle piante. Secondo la teoria sulla “Metamorfosi delle piante” di Goethe cui si ispira il quadro, l’essenza della forma, quel quid immutabile sul piano ideale si materializza negli oggetti in una modalità fluida sul piano fisico di multiple grandezze e colori. L’uomo, allo stesso modo, vive in questa continuità e non-separatezza al mondo, dentro uno stesso divenire cosmico. Il poeta, dunque, è per essenza "veggente e filosofo" visto nell’atto di guardare attraverso le cose e raggiungere la vera realtà, la surrealtà dell’oggetto passando per la mediazione di uno sguardo: forse di una “seconda vista”. La sua esperienza sensibile risponde a quella della vita della natura come fosse in una continuità , in una compenetrazione o quasi foto-sintesi tra la luce solare, il tessuto vegetale della pianta e la linea di luce proveniente dai suoi occhi. Per Masson come per Goethe lo sguardo e l’intuizione poetica passano attraverso il colore e la materia per giungere all’appercezione dell’essere.
Sempre nel surrealismo si tratta del tentativo di espandere i limiti della mente razionale e cosciente, e liberare la forza creativa dell’inconscio attraverso l'arte .
Sono simili a raggi ultravioletti, la metamorfosi prodotta dall’occhio, nel quadro di Masson. Goethe scruta attraverso il suo sguardo percuotente, in scansione ultrasensibile sulla realtà e penetra attraverso quello, scompone, analizza e entra in vibrazione con la vita essenziale delle piante. Secondo la teoria sulla “Metamorfosi delle piante” di Goethe cui si ispira il quadro, l’essenza della forma, quel quid immutabile sul piano ideale si materializza negli oggetti in una modalità fluida sul piano fisico di multiple grandezze e colori. L’uomo, allo stesso modo, vive in questa continuità e non-separatezza al mondo, dentro uno stesso divenire cosmico. Il poeta, dunque, è per essenza "veggente e filosofo" visto nell’atto di guardare attraverso le cose e raggiungere la vera realtà, la surrealtà dell’oggetto passando per la mediazione di uno sguardo: forse di una “seconda vista”. La sua esperienza sensibile risponde a quella della vita della natura come fosse in una continuità , in una compenetrazione o quasi foto-sintesi tra la luce solare, il tessuto vegetale della pianta e la linea di luce proveniente dai suoi occhi. Per Masson come per Goethe lo sguardo e l’intuizione poetica passano attraverso il colore e la materia per giungere all’appercezione dell’essere.
Accostamenti sorprendenti dalle arti
visive alla parola
La sezione raccoglie opere storiche
dadaiste come l’appropriazione ironica della Gioconda da parte di
Duchamps, “oggetti trovati” come la
celeberrima “Ruota di bicibletta”, poi ready-made e collage, montaggi di
diversi materiali su singole tele. Le opere dadaiste mettono in discussione
attraverso l’accostamento sorprendente di oggetti, il fotomontaggio o la trasposizione dal piano quotidiano all’onirico la morale borghese e l’estetica realista
aprendo la strada alle successive sperimentazioni surrealiste.
La mia mente, i miei anni, lo
specchio del mio volto in un cerchio di fuoco e di luce. L’alba luminosa di un
orizzonte che vedo troppo a distanza, aperto dentro una parentesi di infinito
sulla sordità del reale circostante.
La mia mente, i miei anni, a occhi aperti visualizzati da una sfera di
fuoco rischiarata dalla luce dell’alba. Una chiarezza laggiù, in
quell’orizzonte lontano. Il mio sogno di infinito riflesso in quel cerchio di
luce a distanza.
Tra gli oggetti surrealisti: la
pianta tridimensionale di una casa aperta e riportata su un foglio, finestre e
porte che danno su antri del sogno, cerchi concentrici (dell’immaginazione)
tenuti stretti da una molla, un gioco di dadi.
“Il sogno di una chiave di notte” smarrita perché qualcuno la ritrovi, missive segrete, una raccolta di lettere-allerte”, un “castello dalle mille scosse” sull’etichetta d’una bottiglia di vino svuotata. Ancora appare una scatola di legno dai tanti comparti aperta su tre dimensioni e poi richiusa dentro il vano di un muro: la mia piccola scatola dei sogni e dei ritagli, dei bijoux e degli oggetti sepolti del passato.
“Il sogno di una chiave di notte” smarrita perché qualcuno la ritrovi, missive segrete, una raccolta di lettere-allerte”, un “castello dalle mille scosse” sull’etichetta d’una bottiglia di vino svuotata. Ancora appare una scatola di legno dai tanti comparti aperta su tre dimensioni e poi richiusa dentro il vano di un muro: la mia piccola scatola dei sogni e dei ritagli, dei bijoux e degli oggetti sepolti del passato.
Infine, il " viso di di Mae West" di Salvaror Dalì diviene in un’installazione contemporanea di Oscar Tusquets Blanca una camera d’appartamento ricostruita all’interno del museo dove i grandi occhi appaiono come due immagini elettroniche scomposte in unità infinitesimali, fluttuanti e sfuocate. Sedendo sul divano a forma di labbra si riflette ambigua e scomposta la nostra immagine di spettatori osservata sulla parete opposta dello specchio.
Ancora due narici in plastica espanse divengono antri di camini rosso-carminio con fiamme artificiali brucianti al loro interno.
Le luci sono basse e sfumate, la vibrazione del rosso fuoco dominante sulle pareti.
La sensazione è quella di essere all’interno, nei recessi della stanza o di un corpo. Forse ancora, per l’artista, all’interno della psiche insinuandosi in un territorio abitato da pulsioni inconsce e desideranti.
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