mercoledì 22 novembre 2017

…Writing-Surrealism ( suggerito dalla mostra "I Rivoluzionari del 900", Palazzo Albergati, Bologna)








Uno degli aspetti più interessanti della sperimentazione surrealista_ tale che essa appare rivisitata nella mostra bolognese, "I Rivoluzionari del '900" attualmente a Palazzo Albergati_ è la ricerca di un automatismo nella creazione, la “scrittura automatica” per esempio modalità che libera l’artista o il poeta dal controllo della ragione intesa come quella gabbia di pensiero positivista, di moralismo borghese o del retaggio asfittico di una certa  tradizione estetica in inizio ventesimo secolo. L’automatismo permettendo di eludere il controllo  della coscienza, costituiva una via privilegiata per attingere a una sorgente più antica, perlopiù inconscia, riconnettersi a quella e liberare in questo modo radicalmente l'arte dai vincoli della realtà quotidiana.  L’artista doveva semplicemente limitarsi a lasciar affiorare le linee e le forme quasi casualmente nei disegni automatici di Arp e Masson, nell’universo di segni primitivi di Joan Mirò o diversamente nelle solarizzazioni e sovrapposizioni fotografiche di Man Ray. Il surrealismo, liberando in tal modo il potere dell’immaginazione, intendeva riallacciarsi direttamente alla sfera del sogno, dell’inconscio, in qualche caso all’allucinazione prodotta dalla follia o al tutto possibile del gioco d’infanzia.
Nella scrittura automatica, secondo Breton,  l’intento surrealista del poeta è quello di ottenere “ la rivelazione istantanea di tracce verbali la cui carica psichica si comunica direttamente al sistema percettivo-cosciente”. Gli accostamenti sorprendenti di soggetti su una tela, la scrittura prodotta da sensazioni, memorie o idee in libera associazione o gli incontri fortuiti con gli “oggetti trovati” sono alcune delle vie percorse dal surrealismo per infondere nuova linfa vitale alla creazione artistica di inizio novecento. Vorremo leggere qui di seguito alcune delle opere viste  in senso surrealista giustapponendo immagini e parole con una simile libertà espressiva  scaturita dall' incontro fortuito tra la scrittura e le linee, le forme o i colori.













Joan Mirò, “Women and birds”

 “Comincio a dipingere e la forma diventa indice di qualcosa”














“E’ la traccia grossolana lasciata da un colpo di spatola nero, una pennellata spessa e corposa su una tela bianca. La neve si riempie di forme guizzanti, colorate e libere in un mare cromatico e gioioso, fluttuante sullo sfondo. Chiazze di colore primario entrano in lotta tra loro come degli opposti attraendosi e respingendosi senza sosta: rosso ardente e infuocato, verde genuino, giovane e rigenerante, giallo vivido e splendente, blu intenso e oltremarino. Al di sopra, una nera impronta si avvolge a spirale, la trama di un gioco avverso del destino; una nuvola oscura si propaga attraverso la tela, sopra il taglio netto di una corda avvinghiante che si annoda su sé stessa fino a soffocarli. Si viaggia attraverso i sensi nel campo magnetico creato sullo sfondo dai colori primari: giallo, sensuale forza di vita, rosso essenza-radice, blu oltremare, azzurro etereo, celestiale come il vagare di una mente nel sogno, poi la traccia nera a raso, esposta e barrata in esterno sul bianco candore. Esplosione violenta di un tratto che marca irreversibile e essenziale.



Joan Mirò: "Ballerina spagnola", 1927

Una nuvola bianca svapora  in una gonna a balze di flamenco, un paio scarpe a punta brillano nere e scintillanti richiamando alla memoria i piedi della ballerina, una testa di pesce giallo boccheggia a lato mentre un  verde intenso risuona dall’incavo di un corno. Sullo sfondo il fondale uniforme e ocra dell’arenaria. Poi il filo di un palloncino sale verso una sfera nera fluttuante, sospesa sopra la sua testa simile a un cappello da circo lanciato in aria. Il corpo della ballerina di flamenco appare in pochi tratti e macchie di colore, soave nella nuvola-gonna vaporosa, fiero nello stendardo posto sopra la sua testa, ineluttabile nella ritmica assoluta dettata dal battito dei piedi attraverso le scarpe evocati. La linea appena accennata è già trasfigurata, appena allusa e già  dissimulata mentre l’acquarello disegna lo spazio con la forza innata di un movimento, la danza re-inventata attraverso la pittura surrealista. Così, la tela libera l’immaginario dal puro figurale affondando in un segno istintivo nato dall’automatismo di un gesto semi-cosciente.

La danza è una nuvola appesa e fluttuante, bianca e svaporata, è un impulso, un innato movente che non trova appiglio al suolo tuttavia,  ma leggera, aerea come  la forma accennata di un corpo vaga distante, legata alla terra da un solo filo: sottile, esile cordone ombelicale che ancora la tiene ancorata per non voler volare via altrove. E’ ancora un paio di scarpe nere, lucide e a punta, che sole danno il tempo ineluttabile, le pause e la scansione ritmica dell’attesa. E’ una testa di pesce giallo-ocra boccheggiante sulla sabbia, la nota sconosciuta di un corno verde brillante che risuona o risponde a un richiamo; è un cappello da circo, un gioco gioioso, un lancio di dadi nello svaporato etere dell’universo . E’ di quel sogno proiettato, forse, solo lo schermo della pittura. 

Breton: “La finestra scavata nella carne si apre sul nostro cuore, vi si vede un immenso lago dove a mezzogiorno vengono a posarsi libellule dai riflessi dorati e dal profumo di peonia. Che grande albero è questo dove gli animali vengono a specchiarsi…Tutto quello che dobbiamo fare è aprire le nostre mani e il nostro cuore e saremo nudi come in un giorno di sole”

Brassai, "Graffiti parisiens"




Un cerchio, una croce e una testa incisa sul muro in pochi tratti primitivi. Sulla parete nuda e grezza di cemento il segno richiama un alfabeto di geroglifici a noi sconosciuti: incisioni sulla roccia d’epoca preistorica, impronte di volti oppure un disegno infantile apparso per gioco su un muro.
E’ un uomo che lascia la sua traccia sulla durezza della pietra, oppure un ritratto del medesimo visto dalla mente fantasiosa di un bambino. E’ una firma, un’impronta, la propria unica e singolare sul mondo impressa in segni di grafite sul muro. Sulla maschera primitiva il sigaro lascia scorgere linee di fumo mentre lentamente si consuma in cenere sulla superficie della roccia. Lo sguardo è affisso simile a un manifesto su una parete; un piano inciso in solchi di vuoto.
Dopo uno scroscio di pioggia, il volto è scorto in un improvviso bagliore nel contro-luce delle ultime gocce.


“Portrait of Marchesa Casati”, Man Ray



Degli occhi che vedono in tre dimensioni attraverso la pelle, l’apparire del viso è etereo, quasi avesse attraversato una soglia di realtà per raggiungere una sfera sovra-sensibile, ultra-umana mentre l’immagine fotografica appare qui solarizzata. Lei, dalla maschera di cera, dal volto d’acqua, dallo sguardo fissato lontano, dagli occhi che trafiggono, attraverso la materia verso una sovra-realtà.
 Radiografia: la luce trafigge la durezza pietra, allo stesso modo l’energia irradia attraverso la pelle, vibra dentro la materia e mostra l’aurea degli oggetti  nelle loro vere essenze messe a nudo.
In “Centauto nella foresta” di Hans Arp   e “disegno automatico” di Masson la china affiora sul foglio portata da segni che appaiono accidentali e sul cammino si investono di un senso, di una storia.


Man Ray, “Noire et Blanc”

Il primo piano è sul volto levigato, candido e madreperlaceo, di un’idealità e una bellezza assoluta solarizzato nell’effetto fotografico contro il nero d’avorio della maschera africana. L’accostamento tra i due volti suggerisce il candore e insieme la lucentezza ,  l’aspetto levigato della pelle e dell’ebano, infine il bianco e il nero come la visione degli opposti che si incontrano e si completano. Lo sguardo del fotografo portato su quel volto è colmo di sensualità e desiderio ma  il ritratto resta epurato, tuttavia, d’ogni forma di reale carnalità quasi fosse ricondotto a un archetipo universale del femminile .


Pablo Picasso, “Donna d’avanti al mare”


Dalla citazione di Breton in commento alla tela leggiamo:  “la mia donna dal sesso di specchio, dagli occhi pieni di lacrime, dagli occhi di savana".
“Sempre sotto l’ascia”, affermano questi versi , vale a dire frantumata nella figura secondo l’ottica di scomposizione cubista eppure  “dagli occhi d’acqua da bere” in un’ulteriore versione della “donna che piange” picassiana. Con il viso tra la linea del mare e dell’aria, e il corpo scomposto nella pienezza delle masse, sintetica procede per blocchi  essenziali, trascendente nello sguardo gettato sull’orizzonte azzurro-marino. E’ la donna picassiana inesorabilmente affranta nel volto ma dalla plasticità multipla e scomposta della figura vista da un punto di vista frontale e insieme obliquo sulla stessa tela. Infine appare immersa fino alla vita dentro il livello dell’acqua poi in continuità con quello dell’aria, in ricongiungimento al piano cosmico universale.


Biomorfismo

Jean Arp: "Torso e covone di fieno"






Questa forma liquida, sinuosa, modellata e malleabile come fosse d’acqua o d’argilla appena lavorata, impastata e resa fluida  al tatto appare estratta in potenza dalla materia. L’essenza organica della figura resta impressa nella durezza ineluttabile e brillante del bronzo dorato come una presenza, un’energia vitale, una forma erotica d’una sorprendente plasticità qui impressa nella definitiva linea scultorea. Il corpo femminile appare in quest’ottica surrealista messo a nudo da uno sguardo maschile intrusivo e desiderante verso un oggetto ambiguo investito di molteplici forze attrattive e repulsive: idealizzato, inseguito, distrutto e ricomposto, frammentato e  manipolato come un puro oggetto del desiderio su cui si proiettano paure, fantasie, angosce e pulsioni inconsce del soggetto .
 Tale sguardo erotico si esprime al massimo grado nel bronzo traslucido della scultura di Arp, mentre egli plasma la carne in forme affusolate e femminili dentro rotondità di natiche e seni, nella continuità di un movimento organico, innato al corpo che lo fa apparire come puro involucro dorato.



Tanguy “Composizione”, (1927)




Forme galleggiano in queste profondità marine e desertiche: creature fossilizzate in un fondo petroso di desolazione e solitudine  dove l’universo acquatico appare prosciugato o evocato solo come un lontano miraggio della memoria per lasciare posto, unicamente, a queste dissolvenze organiche sulla pietra . Nella prima versione, le forme ancora acquatiche appaiono sul fondale blu-grigio mercurio della marina, nella seconda, esse dissolte o dissipate atterrano sulla griglia desertica di un oceano prosciugato. Un solo bagliore di luce pallida permane evanescente e riflessa in lontananza.
Le vedute desertiche e sofferenti di Tanguy riflettono da un lato la contingenza storica del secondo conflitto mondiale in Europa e il pessimismo cosmico degli anni post-olocausto; dall’altro, incarnano l'ibridazione surrealista tra forme minerali, vegetali e umane, organiche e formazioni rocciose, in una forza di vita convocata.



Masson, “Goethe e la metamorfosi delle piante”

Il disegno automatico lascia affiorare linee su un foglio, per scoprire in esse il senso,  il disegno come prendesse forma da un casuale tracciato di linee e di punti, come esistesse già là precedentemente e fosse semplicemente riportato in luce, restituito da una primaria nebulosa di tratti e punti. 
Sempre nel surrealismo si tratta del tentativo di espandere i limiti della mente razionale e cosciente, e liberare la forza creativa dell’inconscio attraverso l'arte  . 
Sono simili a raggi ultravioletti, la metamorfosi prodotta dall’occhio, nel quadro di Masson. Goethe scruta attraverso il suo sguardo percuotente, in scansione ultrasensibile sulla realtà e penetra  attraverso quello, scompone, analizza e entra in vibrazione con la vita essenziale delle piante. Secondo la teoria sulla “Metamorfosi delle piante” di Goethe cui si ispira il quadro, l’essenza della forma, quel quid immutabile sul piano ideale si materializza negli oggetti in una modalità fluida sul piano fisico di multiple grandezze e colori. L’uomo, allo stesso modo, vive in questa continuità e non-separatezza al mondo, dentro uno stesso divenire cosmico. Il poeta, dunque, è per essenza "veggente e filosofovisto nell’atto di guardare attraverso le cose e raggiungere la vera realtà, la surrealtà dell’oggetto passando per la mediazione di uno sguardo: forse di una “seconda vista”. La sua esperienza sensibile risponde a quella della vita della natura come fosse in una continuità , in una compenetrazione o quasi foto-sintesi tra la luce solare, il tessuto vegetale della pianta e la linea di luce proveniente dai suoi occhi. Per Masson come per Goethe lo sguardo e l’intuizione poetica passano attraverso il colore e la materia per giungere all’appercezione dell’essere.




Accostamenti sorprendenti dalle arti visive alla parola

La sezione raccoglie opere storiche dadaiste come l’appropriazione ironica della Gioconda da parte di Duchamps,   “oggetti trovati” come la celeberrima “Ruota di bicibletta”, poi ready-made e collage, montaggi di diversi materiali su singole tele. Le opere dadaiste mettono in discussione attraverso l’accostamento sorprendente di oggetti,  il fotomontaggio o la trasposizione dal piano quotidiano all’onirico la morale borghese e l’estetica realista aprendo la strada alle successive sperimentazioni surrealiste. 


Joseph Cornell, “The sixth dawn”, l’alba di un cerchio d’oro e d’angeli a forma di uccelli alati.

La mia mente, i miei anni, lo specchio del mio volto in un cerchio di fuoco e di luce. L’alba luminosa di un orizzonte che vedo troppo a distanza, aperto dentro una parentesi di infinito sulla sordità del reale circostante.
La mia mente, i miei anni, a occhi aperti visualizzati da una sfera di fuoco rischiarata dalla luce dell’alba. Una chiarezza laggiù, in quell’orizzonte lontano. Il mio sogno di infinito riflesso in quel cerchio di luce a distanza.


Tra gli oggetti surrealisti: la pianta tridimensionale di una casa aperta e riportata su un foglio, finestre e porte che danno su antri del sogno, cerchi concentrici (dell’immaginazione) tenuti stretti da una molla, un gioco di dadi. 
“Il sogno di una chiave di notte” smarrita perché qualcuno la ritrovi, missive segrete, una raccolta di lettere-allerte”, un “castello dalle mille scosse” sull’etichetta d’una bottiglia di vino svuotata. Ancora appare una  scatola di legno dai tanti comparti aperta su tre dimensioni e poi richiusa dentro il vano di un muro: la mia piccola scatola dei sogni e dei ritagli, dei bijoux e degli oggetti sepolti del passato.



Infine, il " viso di di Mae West" di Salvaror Dalì diviene in un’installazione contemporanea di Oscar Tusquets Blanca una camera d’appartamento ricostruita all’interno del museo dove i grandi occhi appaiono come due immagini elettroniche scomposte in unità infinitesimali, fluttuanti e sfuocate. Sedendo sul divano a forma di labbra si riflette ambigua e scomposta  la nostra immagine di spettatori osservata sulla parete opposta dello specchio.
 Ancora due narici in plastica espanse divengono antri di camini rosso-carminio con fiamme artificiali brucianti al loro interno.
 Le luci sono basse e sfumate, la vibrazione del rosso fuoco dominante sulle pareti.
 La sensazione è quella di essere all’interno, nei recessi della stanza o di un corpo. Forse ancora, per l’artista, all’interno della psiche insinuandosi in un territorio abitato da pulsioni inconsce e desideranti.   










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