Tra i temi più interessanti proposti dalla Fondazione Fotografia di Modena per la selezione dei giovani artisti di Master Photography emergono il viaggio visto nei suoi limiti più remoti di un paesino dimenticato della Sicilia, di un villaggio del Medio-Oriente o nelle regioni impervie dell'Ucraina, poi in visioni assolutamente soggettive che sfiorano il sogno, il paradosso surrealista o l'irrealtà ricreate dall’immaginario dei singoli artisti. Segue il riflesso della società contemporanea attraverso la corsa caotica e disordinata della metropoli nell’ora di punta, infine la casa vista come luogo fisico dell’abitare e insieme nucleo primo di relazioni complesse, conflittuali, certamente mai neutrali che si riflette nel nodo problematico della società : cellula destrutturata e ricomposta nelle più svariate forme oggi.
Nell’ uso
incondizionato e pieno del colore questi giovani artisti proseguono sulla scia
dei grandi nomi della fotografia contemporanea come Martin Parr o Steve McCurry
qualche volta gettando uno sguardo ironico, critico, senza dubbio irriverente o
umoristico e su alcuni aspetti della cultura pop, consumista o della realtà a
loro contemporanea. Altrove creano visioni oniriche e mondi paralleli
attraverso l’immagine, mitologie di luoghi originali o di popoli distanti nel
tempo e nello spazio come gli eschimesi
della Lapponia o alcuni scorci dell’Ucraina. Sempre, in ogni caso, a
prescindere dal soggetto e dallo stile
lo sguardo fotografico supera la soglia di riconoscibilità dove l’immagine scivola
non-vista, fluida tra le pagine dei quotidiani per provocare, al contrario un
punto di intensità o di contrasto nella visione, per mettere in rilievo un
paradosso di quella realtà.
Si viaggia ma si resta fermi, perduti nell’immobilità di un paesino del profondo sud Italia a Ragusa oppure dentro un dedalo labirinto di strade e palazzi dalle alte mura di cretese memoria dove gli individui restano intrappolati, reclusi o perduti entro stretti sentieri in pietra e cunicoli di percorsi che li riportano sui loro passi deviando costantemente dal tracciato senza trovare via d’uscita. Si viaggia con la mente e il cuore costruendo scenari del sogno, visioni di non-luoghi risuonanti di antica bellezza la cui essenza richiuderebbe in sé l’idea pura del viaggio ma si resta fermi, serrati entro i limiti insondabili di strade lastricate, e mura in pietra a vista di millenaria provenienza . Un uomo cammina volgendo a noi le spalle attraverso uno di quei sentieri sassosi mentre la cittadina dall’alto resta arroccata sulla pietra, dormiente nella sua folgorante apparizione, scintillante di luci riflesse come tutte le città del sud. Una cattedrale chiusa da una cancellata, un vecchio seduto a un caffè, alle sue spalle una piazza. Barocca e austera la cattedrale si erge in una immensa solitudine come il vecchio aspettando la discesa della notte mentre scruta il paese svuotato, i gomiti appoggiati alla tela verde cerata.
Sono in fila
lungo il marciapiede aspettando una metropolitana.
Spazi vuoti o
sovraffollati di metropoli moderne, spazi grigi di cemento o vetro riflesso,
anonimi, senza volto nella massa disuguale e invisibile dei volti e presenze
che affollano la striscia di cemento sottile in procinto dei binari. Figure o
masse in movimento sono riprese dall’effetto sfuocato dell’obbiettivo,
silhouette di uomini rapidamente attraversano la strada, biciclette in corsa
sull’asfalto bagnato e luccicante sotto l’effetto delle luci riflesse, la città
sullo sfondo, oppure una figura precipitandosi attraverso la scalinata di una
metropolitana. Un abbraccio rapido nella notte contro i fari abbaglianti delle
auto, altrove rincorrendo l’ora, gettando ansiosamente lo sguardo sull’orologio
della stazione, pressando la folla, correndo attraverso scale mobili, saltando
dentro le porte aperte d’una metropolitana.
La metropoli
è linea grigia e metallizzata di una sopraelevata, astrazione artificiale di
periferiche o strade ferrate viste dall’alto e
ricondotte a linee elettriche e vibranti nella notte oppure a tracciati
luminosi e ellittici, in navigazione libera sullo skyline virtuale e
informatizzato dello spazio urbano. Visioni notturne perturbanti si alternano a
quelle puramente astratte d’una città
che diviene creatura della notte dai risvolti illeciti o rimossi nella
piena coscienza borghese; d’indaco e idrogeno si riveste nel contrasto violento
delle luci artificiali, aggredenti contro l’oscurità; nel calore freddo a neon l'insegna lampeggiante di in sex shop invitando a paradisi perduti.
Home
La casa in questa serie è immagine di individualità e conflitto, opposizione di volti, non-comunicazione. Visivamente è la rottura dell’unità compositiva che riflette una cellula famigliare infinitamente spezzata e ricomposta, divisa e allargata in ogni caso composita, mai neutrale oggi.
La casa è anche la solitudine dei volti, gli
sguardi ipnotici di adolescenti fissati su uno schermo o i primi piani di occhi
che vi guardano senza vedersi veramente nel rapporto tra genitori e figli. In
un altro punto di vista l’idea di casa appare
attraverso gli alloggi precari degli immigranti verso l’Europa: spazi provvisori o riadattati
dei centri sociali per accoglierli, i luoghi occupati o abusivamente squattati
dagli illegali.
Casa è una
riunione di migrati in un appartamento clandestino di notte tra birra, alcool e
fumo di sigarette alla musica intonata da una chitarra; casa è una cena
solitaria su un tavolino di fiori finti, nel centrotavola plastificato di un
tavolo rilucente e la stanchezza di occhi che si chiudono dentro una testa
sovraccarica di pensieri. Casa è la cena di una coppia su un sofà di fronte a
un mega schermo rilucente di televisore, è il riunirsi intorno al fuoco in una
tenda eschimese in Lapponia.
E’ ancora lo
sbattere la testa contro un vetro gocciolante di pioggia o vista dall’interno
di un lavaggio industriale; è un abbraccio di corpi, una porta che si apre su
una baita in montagna e tre bambini ridenti affacciandosi da quell’ antro del
sogno. E’ una capriola su un sofà e un neonato a carponi; o ancora un bambino
incuriosito che getta lo sguardo dentro una latta rilucente insieme a un
vecchio in un garage polveroso dell’est Europa; là, in quello scantinato scintillante
di pezzi d’acciaio e ferri vecchi ovunque intorno.
Nella sezione
“popoli dal mondo” è ancora una famiglia
riunita di fronte alla soglia d’una casa medio-orientale, di cui sono visibili
in primo piano solo la tenda che ne cela l’interno, il pezzo di muro sbiancato dal sole in esterno e il rosso carminio della terra che la re-incornicia; l’uomo
è al centro, le donne dal capo coperto sollevano il loro sguardo all'obbiettivo in una sorta di quadro famigliare radicato nella tradizione islamica e nel modello
patriarcale ma aperto verso l’avvenire come lo sguardo di questi bambini proiettato fuori, oltre l'orizzonte
frontalmente a noi.
Osserva
l’alfabeto, l’immensa immensa pagina di scrittura universale incisa sulle pareti
del mondo, qui mentre compare su questo muro
esterno d’edificio in terra rossiccia e geroglifici arabi. Lei, bambina
minuscola con lo zaino in spalle, in assenza di altri segni del reale s’arresta
sul sentiero polveroso che la porta verso la scuola coranica; osserva l’immensità
smisurata della parola, dettata o rivelata dai profeti nel libro sacro,
ripetuta, imposta e salmodiata dai
versetti del Corano lì trascritti su quel muro del villaggio. Non banchi ne libri, nessuna lavagna per
imparare a leggere e scrivere, comincia a decriptare l’alfabeto del mondo, il
linguaggio universale e segreto delle cose; interroga semplicemente la simmetria
precisa dei caratteri, la cornice a inchiostro che creano ripetendosi
sull’ immenso foglio-muro della composizione-mondo.
Sugli Urali tra gli altopiani desolanti e brulli dell’Ucraina, una musica di tamburi al tramonto. Un gruppo di musicisti eleva il proprio canto di bellezza e ispirazione al cielo sollevando gli strumenti e le braccia verso l’alto contro la luce refrattaria e argentea della sera. Inviano questo canto all’infinito, a una presenza universale e divina sopra di loro mentre la luce declina sfuggente al tramonto e le distese brulle in pietra si snodano contro le asperità degli altopiani circostanti. Ancora in Ucraina, una donna si affaccia, tondeggiante al centro della sua casa mentre in quiete cucina con le poche cose a disposizione sulla stufa a legna sorridente nel vetro di una finestra riflessa.
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